Una giornata dedicata alla scuola, al cibo e alla sicurezza alimentare. La propone il Ministero dell’Istruzione (MIUR), insieme a quello degli Affari Esteri, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione che, ogni anno, si celebra il 16 ottobre. E chi non ha mai capito o non vuole capire la filosofia della mia cucina, forse, sprecando qualche minuto, potrebbe finalmente comprendere.
La popolazione mondiale cresce sempre di più ( 7 miliardi, 9 miliardi nel 2050) e allo stesso tempo cresce la richiesta di cibo: le risorse del pianeta non sono infinite, quindi urge l’esigenza di sfruttare meglio quello che produciamo. Sulla base della crescita prevista per la popolazione mondiale si stima che l’attuale produzione alimentare dovrebbe aumentare del 70%, ma prima sarebbe auspicabile un maggiore impegno nella riduzione degli sprechi. Un più efficiente utilizzo dei prodotti alimentari sarebbe sufficiente per sfamare tutto il pianeta e per ridurre il crescente consumo di risorse. E’ soprattutto una questione di buon senso, ma fino a oggi ancora poco è stato fatto per ridurre lo spreco di cibo, assolutamente commestibile, che ogni giorno si verifica lungo tutta la filiera alimentare.
Come sostiene Maurizio Pallante in “Meno è meglio”, il 3% del PIL italiano è costituito da cibo che si butta. Non solo, il 70% dei consumi energetici è costituito da sprechi che non servono a nulla se non a incrementare le emissioni di CO2 e l’effetto serra.
Di fronte a questi dati sembrerebbe logico concentrarsi su una riduzione degli sprechi piuttosto che preoccuparsi di aumentare la produzione. Questo problema non riguarda solo i paesi industrializzati (670 milioni di tonnellate di sprechi alimentari all’anno), ma anche quelli in via di sviluppo (630 milioni di tonnellate). I soggetti maggiormente responsabili degli sprechi cambiano da paese a paese. Così, come nei paesi in via di sviluppo i consumatori sprecano dai 6 agli 11 kg di cibo pro capite all’anno, in Europa arriviamo a sprecare 47 kg di cibo pro capite all’anno, mentre negli Stati Uniti a più del doppio (Global Food Losses and Food Waste, FAO, 2011). Cosa ne dite di fare qualcosa?
Soggetti responsabili degli sprechi
Secondo uno studio del 2011 pubblicato dalla Commissione Europea, nel nostro continente scartiamo un terzo del cibo che produciamo, a cui corrispondono 179 kg complessivi all’anno a persona. Lo spreco domestico è responsabile del 42%, i produttori di circa il 39%, i rivenditori, compresa la GDO, del 5%, i ristoranti e i catering del 14%.
In Italia questi valori sono leggermente diversi e, a fronte di 8.778.000 tonnellate complessive di sprechi alimentari, i maggiori responsabili risultano essere i produttori. Ma vediamo nel dettaglio il settore domestico.
Case e settore domestico
A differenza di quanto si possa pensare, i consumatori sono tra i maggiori responsabili della produzione di scarti alimentari. Nel 2010 in Italia abbiamo scartato circa 20 tonnellate di cibo.Nella classifica dei paesi più spreconi occupiamo il settimo posto dopo Regno Unito, Germania, Olanda, Francia e Polonia. Secondo uno studio, sempre nel 2010, le fa.iglie italiane hanno buttato nel cassonetto circa 454 euro, che corrisponde all’8% della spesa totale. Il 35% dei prodotto che di buttano sono quelli fraschi. Tra i prodotti che si buttano sono quelli freschi. Tra i prodotti più sprecati visono il pane (19%) e i prodotti ortofrutticoli (16%). La quantità di cui effettivamente siamo responsabili, ovvero il contributo delle case allo spreco di cibo, è in media di 47 kg pro capite all’anno. Secondo uno studio condotto nel Regno Unito il 64% degli sprechi alimentari sarebbe facilmente evitabile e un ulteriore 18% potrebbe essere evitato adotta ndo comportamenti virtuosi. Ecco da cosa scaturiscono i nostri errori: scarsa conoscenza dei problemi connessi alla produzione e alla gestione dei rifiuti e dei benefici economici che si avrebbero da un più efficiente utilizzo; scarsa conoscenza di come utilizzare in modo più efficiente il cubo acquistato; sottostima del valore del cibo; scarsa pianificazione degli acquisti ( spesso ci lascia tentare dalle offerte dei supermercati come il 3 x 2 e le confezioni maxi); errata interpretazione delle date di scadenza; conservazione non ottimale dei prodotti; scarsa capacità di utilizzare parti di frutta e verdura meno belle o difficili da preparare; preparare più porzioni per golosità.
Conseguenze degli sprechi
Gli sprechi alimentari generano tre tipi di conseguenze: ambientali, economiche ed etico-sociali.
Conseguenze ambientali
- Maggior uso di fertilizzanti e altri prodotti chimici: se si spreca occorre mantenere alto il volume complessivo della produzione e per farlo bisogna impiegare grandi quantità di fertilizzanti, pesticidi e altri prodotti chimici derivati del petrolio.
Ciò comporta:
– intossicazione dei lavoratori del settore;
– progressivo inaridimento del terreno;
– inquinamento di fiumi, laghi, mari e falde acquifere;
– presenza di sostanze chimiche negli alimenti.
- Emissione di CO2 e di metano in atmosfera: anche qui l’aumento dei volumi di produzione determina una maggiore emissione di anidride carbonica e di metano, gas responsabili dell’effetto serra e del conseguente innalzamento della temperatura nell’atmosfera terrestre (global warming). Teniamo presente, tra l’altro, che le emissioni si verificano in tre momenti distinti, prima nella fase produttiva, poi nel trasporto ed infine nello smaltimento dei rifiuti.
In Italia il settore dell’agricoltura emette 33 milioni di tonnellate di CO2 equivalente ed è quindi il secondo responsabile delle emissioni di gas serra a livello nazionale. Fonte: Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) |
- Aumento del volume dei rifiuti: gli sprechi incrementano la quantità complessiva dei rifiuti prodotti, fenomeno che di per sé ha un forte impatto ambientale, giacchè la maggior parte dei sistemi di smaltimento oggi utilizzati presenta criticità. In particolare, è noto che le discariche tendono a inquinare le falde acquifere e i termovalorizzatori producono polveri sottili il cui effetto sulla salute, anche se non giudicato dannoso, è difficile considerare positivo. Occorrerebbe allora destinare i rifiuti organici al compostaggio.
- Difficoltà a far fronte all’aumento della domanda alimentare derivante dall’incremento demografico: i demografi indicano nel 2050 l’anno in cui la popolazione mondiale raggiungerà il suo picco massimo, mentre dopo quella data comincerà a scendere. In numeri, si stima che entro il 2050 il nostro ‘piccolo pianeta’ ospiterà più di 7 miliardi di persone, con una domanda alimentare accresciuta sino al 70% rispetto all’attuale.
Il problema è che se da qui al 2050 perpetueremo l’attuale tasso di sprechi alimentari, per sfamare la crescente popolazione mondiale saremo costretti ad aumentare la produzione aggravando tutte le conseguenze indesiderabili di cui parliamo in questa sezione. Al contrario, riducendo il tasso di spreco potremmo attutire gli effetti della crescita della domanda alimentare entro limiti tollerabili.
- La crisi idrica: la filiera agro-alimentare assorbe, a livello mondiale, circa il 70% delle risorse idriche disponibili. Appare allora evidente comesprechi e abitudini alimentari sempre più ‘idrovore’ contribuiscono in maniera determinante ad aggravare la scarsità d’acqua che si sta manifestando per effetto del riscaldamento globale, dell’inquinamento di molti bacini idrici, dell’aumento della domanda da parte delle economie emergenti e del problema delle dispersioni nelle reti acquedottistiche.
Conseguenze economiche
- Diminuzione del reddito disponibile: se spendiamo denaro per acquistare cibo che poi non consumiamo, ci ritroviamo nell’impossibilità di utilizzare quel denaro per soddisfare altre nostre esigenze (alloggio, istruzione, salute, abbigliamento, ecc.), con possibile pregiudizio per la qualità della nostra vita e con effetti distorsivi sull’economia in generale.
- Maggior costo dello smaltimento rifiuti: gli sprechi alimentari generano una grande quantità di rifiuti evitabili il cui smaltimento contribuisce a mantenere elevato il costo del servizio e il livello del corrispondente prelievo tributario.
- Inutile consumo di energia: gettare via cibo ancora commestibile implica un duplice spreco in termini di energia perché si perde sia quella contenuta nel prodotto sia quella impiegata nel processo produttivo. Una perdita che diviene triplice quando occorre consumare dell’altra energia nella fase di smaltimento degli alimenti divenuti rifiuti.
Una ricerca dell’Università di Stoccolma ha quantificato l’input energetico occorrente per un cheeseburger servito nei fast food in un valore variabile fra le 7.500 e le 20.000 kcal/kg |
Conseguenze etico-sociali
- Problema della fame nel mondo: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa 870 milioni di persone (in pratica 1 persona su 8) non mangiano a sufficienza per poter essere considerate in stato di buona salute. Si tratta di un dato inaccettabile se si considerano i progressi tecnologici e l’attuale capacità produttiva dell’agricoltura industriale.
Se si considera poi che circa un terzo della produzione alimentare mondiale finisce in pattume, appare evidente che una forte riduzione degli sprechi e un’attenta politica di riallocazione delle risorse alimentari disponibili potrebbero ridimensionare drasticamente il problema della fame nel mondo. Occorre purtroppo constatare che la governance mondiale appare attualmente incapace di organizzarsi efficacemente per raggiungere questo obiettivo.
Ogni anno nel mondo vengono sprecati 1,3 miliardi di tonnellate di cibo ancora commestibile, circa 4 volte la quantità necessaria a sfamare gli 870 milioni di affamati nel mondo. Fonte: From Kyoto to Milan, Barilla Center for Food & Nutrition, Novembre 2013 |
- Scarsa qualità dell’alimentazione delle fasce più deboli della popolazione: il fenomeno degli sprechi alimentari fa sì che il livello della domanda rimanga elevato e che quindi chi gestisce l’offerta possa mantenersi su un range di prezzi medio/alti. Questo vale soprattutto per i prodotti di qualità che diventano sempre meno accessibili a quelle fasce di popolazione che, per effetto della crisi, sono entrate a far parte della categoria dei ‘nuovi poveri’. Il risultato è che, mentre i ricchi (che, nel frattempo, diventano sempre più ricchi) continuano a mantenere un alto tenore di vita, ipoveri (individui o gruppi che siano, nuovi o vecchi che siano) sono costretti ad alimentarsi di meno, ma soprattutto ad alimentarsi peggio. Non è un caso che oggi, per la prima volta nella storia dell’umanità, i poveri siano più grassi dei ricchi perché si alimentano di cibo spazzatura (junk food).
In parte tratto da “Ecocucina” di Lisa Casali. E aggiungo un ringraziamento speciale per quello che fa ogni giorno, sempre di più e sempre meglio. Basta sprechi. Grazie Lisa.
In parte tratto da Una buona occasione.it con i miei ringraziamenti.