Ode al pomodoro…. secco

[…] “e sopra
il tavolo, nel mezzo
dell’estate,
il pomodoro,
astro della terra,
stella
ricorrente
e feconda,
ci mostra
le sue circonvoluzioni,
i suoi canali,
l’insigne pienezza
e l’abbondanza
senza ossa,
senza corazza,
senza squame né spine,
ci offre
il dono
del suo colore focoso
e la totalità della sua freschezza.”

Pablo Neruda scrisse questa Ode nel 1954, per celebrare quello che è indiscutibilmente il re della tavola degli italiani, e non solo. Le sue parole sono un capolavoro, così come è un capolavoro il Solanum lycopersicum, nome scientifico della bacca (sì, è una bacca!) dal caratteristico colore rosso che accompagna in modi sempre diversi un buon numero delle nostre preparazioni culinarie.

Non voglio star qui ad annoiarvi con termini scientifici o improbabili storie del pomodoro. Vi presento semplicemente i miei pomodori secchi sottolio.

Li ho acquistati per la prima volta qualche anno fa a S. Giovanni Rotondo: mi trovavo lì con la famiglia di mio marito in visita al santuario di San Pio di Pietrelcina e fuori da una minuscola bottega c’era un cesto enorme pieno fino all’orlo di questo “oro rosso”.  Li avevo già assaggiati, ma prima di allora mai preparati. Non ho saputo resistere: ne ho comprati un paio di chili, e felicissima li ho portati con me in valigia fino a casa, impaziente di mettermi all’opera.

La settimana scorsa sono andata al mercato con mio cognato Walter e tra le tante bancarelle ho notato che su una c’erano loro: i pomodori secchi. Era tempo che mio marito mi chiedeva di rifarli, e così ne ho presi un po’. Sbollentati nell’aceto, conditi con capperi, acciughine, aglio, prezzemolo e dell’ottimo olio di oliva di casa, eccoli! Quasi pronti per essere mangiati (aspettiamo qualche giorno, si fanno più buoni!), troneggiano nella mia dispensa fieri di essere stati preparati e invasettati. Pochi, ma buoni!

E voi invece come li preparate? Federica