La cucina di Pasqua nelle ricette tipiche regionali

Come è facile intuire la cucina di Pasqua è la diretta conseguenza del lungo periodo di magra rappresentato dalla Quaresima, quindi è improntata sull’abbondanza degli ingredienti. Non bisogna dimenticare che in passato il divieto di consumare la carne era esteso a tutto il periodo quaresimale e veniva prescritto anche il digiuno in giorni prestabiliti, come i venerdì.

Sulla tavola del giorno di festa riapparivano dunque tutti quei cibi che per quaranta giorni erano stati banditi: carne, salumi, dolci, insieme alle uova, simbolo di rinascita in memoria della resurrezione di Cristo.

Le lasagne verdi alla bolognese o i timballi di maccheroni di Campania e Sicilia, aprono il pranzo, per poi proseguire con la carne, che in quasi tutte le regioni d’Italia è rappresentata da piatti a base di agnello. Molto diffuse anche le torte salate, come la famosa torta Pasqualina Ligure, le cui 33 sottilissime sfoglie di cui è formata, ricordano gli anni di Gesù; oppure quelle lievitate, come la crescia pasquale, che in diverse versioni troviamo in Val d’Aosta, Marche, Umbria, Friuli (dove viene chiamata pinza), fino ad arrivare al casatiello napoletano, preparazioni che si prestavano anche ad essere portate il giorno dopo nel picnic di pasquetta.

Anche la stagionalità ha da sempre influenzato la cucina di Pasqua e le ricette tipiche di questa festa, dando ampio risalto a verdure come carciofi, asparagi o erbe di campo che crescono spontanee in primavera.

Un discorso a parte meritano poi i dolci della cucina di Pasqua: dalla classica colomba alle focacce dolci che si preparano in Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Marche. Negli ultimi anni sta diventando molto nota la Pastiera Napoletana, una crostata di pasta frolla con un ripieno di grano cotto, ricotta e uova, profumata con l’acqua di fiori d’arancio.

Come per la maggior parte delle ricette tradizionali ogni famiglia campana ha la sua ricetta, e ognuna è quella “originale”!

A Napoli sono molte le leggende nate intorno alla pastiera: una narra che la sirena Partenope, avesse deciso di fissare la sua dimora nel golfo tra Posillipo ed il Vesuvio incantata dalla bellezza di questi luoghi. Gli abitanti del posto, per ringraziarla dei suoi melodiosi canti le fecero dono di quanto avevano di più prezioso: la farina che arrivava dalla campagna, la ricotta omaggio dei pastori, le uova simbolo della vita che si rinnova, il grano tenero bollito nel latte, l’acqua di fiori d’arancio per ricordare i profumi della terra, la cannella in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo e infine lo zucchero per esprimere la dolcezza profusa dal canto di Partenope.

La sirena, felice per tanti doni, ricambio trasformando tutti gli ingredienti nella prima Pastiera che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.

Secondo un’altra leggenda la Pastiera nasce dai doni lasciati su una spiaggia dalle mogli dei pescatori, come offerte per il “Mare”, affinché questo lasciasse tornare i loro mariti sani e salvi a terra.

Quello che è certo è che l’origine di questo dolce risale almeno al diciassettesimo secolo. Nel ricettario “Lo Scalco alla moderna” di Antonio Latini, pubblicato a Napoli nel 1693, si descrive una ricetta della pastiera dove, come era uso nella cucina dell’epoca si mescolavano sapori diversi, dolci e salati, tant’è che tra gli ingredienti del ripieno oltre al grano e alla ricotta troviamo il parmigiano grattugiato, i pistacchi e il marzapane.

Come per molti dolci della tradizione partenopea esiste poi anche la teoria secondo cui la pastiera sia nata nella pace segreta di un monastero rimasto ignoto. Una suora volle che quel dolce racchiudesse tutta la simbologia della Resurrezione, quindi al profumo dei fiori dell’arancio del giardino conventuale unì una manciata di grano, che, sepolto nella bruna terra, germoglia e risorge e alla ricotta aggiunse le uova, simbolo di nuova vita.

Di sicuro è noto che le suore dell’antichissimo convento di San Gregorio Armeno fossero ritenute maestre nella preparazione della pastiera, tanto che nel periodo pasquale ne confezionavano in gran numero per le mense delle dimore patrizie e della ricca borghesia.

Arrivando ai nostri giorni ogni brava massaia napoletana si ritiene detentrice dell’autentica, o della migliore, ricetta della pastiera. Io oggi vi lascio la mia, o meglio quella che mi ha tramandato mia madre, originaria di Salerno e dunque non napoletana, ma che non ha mai deluso nessuno degli ospiti, commensali o amici che hanno avuto il piacere di assaggiarla o di riceverla in dono, perchè regalare la pastiera ad amici e parenti è un’usanza immancabile durante il periodo pasquale. Nell’“Elogio breve della pastiera” di Francesco Andoli si legge: “…di pastiera, in casa, non se ne prepara mai una sola. Si cucinano pastiere da regalare a chiunque. Tutti scambiano pastiere con tutti, in modo compulsivo al punto che, in questo turbinio di pastiere ca vanno annanz’ e arreto (avanti e indietro n.d.a.), alcune tornano persino indietro, sotto forma di dono, a chi quella pastiera l’aveva preparata giorni prima ed è talmente “sicuro e padrone” della sua ricetta che se la mangia senza accorgersi che si tratta proprio della sua, arrivando persino ad esclamare: “vabbuó, nun pazziamme, î ‘a facce cientemila vote cchiú bbona! (va bene, non scherziamo, la mia è centomila volte più buona n.d.a.)”.

Per tutte le ricette caratteristiche della cucina di Pasqua date un’occhiata all’apposita sezione del blog.