I bruscandoli – questo il loro nome in dialetto veneto, con qualche variante locale- sono le cime germinative del Luppolo (Humulus lupulus), quello con cui si fa la birra. La pianta è una rampicante infestante delle siepi, ma nessuno la elimina perché i germogli, i bruscandoli (da bruscare = potare) sono buonissimi e ricercati. Si usano generalmente per risotti o frittate. Io ci ho fatto anche gli gnocchi. Meno indicati come condimento per paste fresche o secche.
Questa è la mia ricetta dei risi e bruscandoli.
Non sono nemmeno lontanamente parenti degli asparagi selvatici, con cui vengono spesso confusi, anche se l’uso può essere piuttosto simile.
Hanno anche altri nomi a seconda delle regione: luvertìn in Piemonte, luertis on Lombardia, urticiòns in Friuli; questo a testimonianza del loro uso piuttosto comune tra le erbe selvatiche.
Una volta li raccoglievano i poveracci in campagna, oggi si trovano dai fruttivendoli di lusso in città a euro sonanti per piccoli mazzetti con cui ci fai sì e no un risotto.
Il sapore, per chi non li ha mai mangiati, è difficile da descrivere. Amarognolo, con un fondo aromatico, direi. Ricorda un po’ l’amaro della birra: non forte e gradevole, piacevolmente amaro e per nulla “erboso”.
È importante riconoscerli – e questo vale in generale per tutte le erbe selvatiche – perché la fitolaimurgia (cioè la raccolta di erbe selvatiche a scopo alimentare) non è uno passatempo o un campo in cui si va a sentimento.
Riconoscere i bruscandoli
Soprattutto nel caso di germogli o cime germinative, è difficile riconoscere una pianta da un’altra se non si è esperti, perché sono molto simili. Andare a caso, senza esperienza o competenza – esattamente come per i funghi – può far rischiare, quando va bene, un brutto mal di pancia…
I nuovi getti delle piante, come ho detto, sono spesso molto simili; il carattere più distintitivo per una pianta è il fiore, che però al momento della raccolta non è presente e quindi bisogna guardare altri particolari.
Nel caso del bruscandolo sono importanti foglie e fusto.
- Foglie
Le foglie sono vagamente cuoriformi, con il margine seghettato, picciolate (cioè con il picciolo e non attaccate direttamente al fusto), opposte (quindi in coppia una di fronte all’altra) con incisioni (che però in quelle giovani possono essere assenti) più o meno profonde che formano tre lobi (in alcuni luoghi si trova la specie H. japonicus, che ha 5 – raramente 7 – lobi) provviste di stipole (cioè delle strutture simili a foglioline molto piccole poste alla base del picciolo) libere non saldate al picciolo.
La pagina superiore si presenta ruvida al tatto, perché dotata di minuscoli peletti. Quindi se è liscia e lucida non sono bruscandoli!
La pagina inferiore, quella in cui si vedono le nervature, è invece resinosa, cioè un po’ appicicosa al tatto
- Fusto
Sui fusti, soprattutto quelli giovani, sono visibili sei striature più scure del resto, nelle quali sono inserite delle piccole spine poco pungenti che conferiscono scabrosità al ramo, ben verificabile facendo scorrere i polpastrelli delle dita lungo di esso, in un senso e nell’altro della lunghezza del rametto.
Se i fusti sono lisci ed uniformi, non sono bruscandoli!
Quali parti usare
L’unica accortezza quando si raccolgono è cogliere germogli teneri e utilizzare solo la parte superiore, perché il fusto è leggermente spinoso e dov’è più tenace le spine si sentono.
Per mondarli, bisogna mantenere solo la parte apicale, dal terzultimo vertice fogliare in poi (anche le foglioline, se sono tenere): quindi dalla punta contare due “giri” di foglie e spezzare con le mani in prossimità del terzo. Sopra o sotto, dipende dalla durezza dello stelo; quando si spezza, lo fa da solo nel punto giusto.
Il restante fusto si può usare per insaporire il brodo vegetale, se si sta facendo il risotto. Non è edibile per le spine scabrose e per la legnosità.