Pasta con la ‘Nduja

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Conoscete la ‘Nduja?

Sono convinto che la maggioranza sa di cosa stiamo parlando anche se non tutti l’hanno mai assaggiata per il preconcetto della piccantezza, peccato, la ‘Nduja, specie quella di Spilinga, il paese dove pare sia nata, è veramente eccellente. Pensare che è un salame che nasce per recuperare gli scarti della macellazione famigliare del maiale, una pratica comune in tutte le case di un tempo.

Quasi tutte le famiglie contadine, non solo europee, l’importante che non fossero ebree o musulmane, allevavano maiali e tutte facevano salumi di diversa qualità, i migliori li vendevano ai signori e per se conservavano quelli di scarti. Ecco che in tantissimi luoghi, accomunati spesso da denominazioni simili nascono l’Andouille in Normandia, il Ciauscolo Marchigiano, l’Annugghja o Pezzente in Basilicata, la ‘Nduja in Calabria e chi sa quanti altri sparsi per il mondo, in Spagna abbiamo mangiato un salame spalmabile di diversi gradi di piccantezza.

Il maiale è un animale alla base della fattoria, per la loro alimentazione va bene tutto, sono i destinatari degli scarti di tutte le lavorazioni. Vengono alimentati con il siero della caseificazione, delle macellazioni, degli allevamenti avicoli e il risultato della pulizia e selezione di frutte, verdure, cereali e legumi.

I migliori maiali sono però quelli che hanno anche la possibilità di pascolare allo stato brado, grufolando nei boschi di querce, dove trovano il loro alimento fondamentale, le ghiande. La macellazione avveniva in inverno, per tempo si sceglieva qualche esemplare da ingrassare particolarmente, solitamente tra i più grandi. Questi elementi si chiudevano in un recinto angusto e si alimentavano con grandi quantità di pastone fatto di farinacei e siero di latte, per fare aumentare particolarmente la massa grassa, la parte più sostanziosa e preziosa, che consentiva di ingerire alte quantità di calorie, quanto mai utili a gente che lavorava pesantemente esposta a temperature rigidissime degli inverni di montagna.

Oggi le esigenze sono cambiate ma, sia pur raramente, ci fa comunque piacere mangiare dei grassi se ben trattati e speziati, ecco che i nostri piatti preferiti sono le Grice, le Matriciane, le Carbonare, ecc . . . e, perché no? una gustosissima Pasta con la ‘Nduja, allora impariamo a farne, ne abbiamo una ricetta personalissima e ve la vogliamo spiegare.

Questa volta la pasta è Casarecce, l’abbiamo fatta anche con altre corte ma anche lunghe come gli Spaghetti e le nostre tipiche fresche pugliesi, come le Orecchiette o gli Strascinati e qualche volta i Pomodorini li abbiamo sostituiti con la Salsa di Pomodori o questi erano, invece, secchi.

Occorrente per quattro piatti di Pasta con la ‘Nduja

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In una mezzoretta questo piatto è bello e pronto, il tempo che l’acqua bolla e cuocia la pasta, occorrono questi ingredienti:

  • tre etti e mezzo di Pasta di Semola di Grano duro
  • due o tre cucchiai di Olio Extra Vergine di Oliva
  • tre spicchi d’Aglio
  • cinque o sei foglie di Alloro
  • una decina di Pomodorini Regina Insertati
  • un etto/un etto e mezzo di ‘Nduja
  • mezzo etto o poco più di Cacioricotta, possibilmente, di Capra e molto stagionato
  • quanto basta di Sale grosso

La preparazione della Pasta con la ‘Nduja consiste in:

  1. Stemperare la ‘Nduja in tre o quattro cucchiai di acqua calda
  2. Affettare l’Aglio e soffriggerlo dolcemente nell’Olio profondo
  3. Tagliare in quattro i Pomodorini ed aggiungerli al soffritto con le foglie di Alloro e due o tre cucchiai di acqua calda, a fiamma alta far ridurre
  4. Nel frattempo portare la pasta a tre quarti di cottura in acqua bollente e salata, scolare ed aggiungere all’intingolo a fiamma molto alta
  5. Aggiungendo acqua di cottura portare al dente la pasta, spegnere e mantecare con la ‘Nduja e il Cacioricotta grattugiato

Approfondiamo la ricetta, entrando nei minimi particolari

Della ‘Nduja va sfruttata la cremosità e la piccantezza, del tipo gustoso di ottimi peperoncini di cui si apprezza soprattutto il sapore e non una esperienza traumatica che anestetizza le papille e fa mangiare cartone per il resto del pranzo. Si impara a sopportare quei grandi piccanti? si? non ne trovo nessun interesse e vantaggio, con i peperoncini, da figlio di lucani quale sono e pugliese quale sono diventato, ci sono cresciuto, ho imparato soprattutto ad apprezzarli e rispettarli a patto che rispettassero le mie papille gustative, tanto da utilizzarli spesso senza semi o con pochissimi.

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Abbiamo detto che l’altro elemento caratterizzante è la cremosità, ce la dà una carne grassa, ridotta a spalmabile, occorre mitigarla, l’abbiamo fatto grazie alla tendenza a detergere dell’acidità dei Pomodorini Regina Insertati, quelli che in estate vengono conservati per l’inverno semplicemente appendendoli, fidando che la loro robustezza ce li farà, centellinandoli, gustare fino a giugno, quando se ne cominciano a trovare di freschi. 

In sostanza prepariamo un intingolo con Olio Evo e Aglio, aromatizzato con foglie di Alloro in cui cuociamo i Pomodorini. Qui completiamo la cottura della pasta, che se ne impregna, asciugandosi. A fiamma spenta restituiamo cremosità al piatto con la nduja, stemperata per facilitarle il compito e ammorbidiamo l’insieme con il Cacioricotta di Capra, finemente grattugiati, grazie alla profonda stagionatura che l’ha reso durissimo.

Sud Italia in Cucina all’EXPO 2015

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C’hama mangià josc . . . mamm ce croc stu mangià

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