Pane dalla Val Tidone il Batarò panino dal profumo di storia

pane antico del piacentino

Pane dalla Val Tidone il Batarò panino dal profumo di storia

Pane piacentino della tradizione contadina
Dalla Val Tidone il Batarò panino dal profumo di storia

Buon pomeriggio cari lettori di Cucinaconnariella, oggi voglio regalarvi un pezzo di storia illustrandovi una ricetta, tratta dal web, per produrre un pane antico, il batarò, un panino ovale e sottile che può essere farcito sia salato che dolce.

Dalla Val Tidone il Batarò panino dal profumo di storia

Da La Cucina Italiana:

‘Il batarò (la “o” finale si pronuncia chiusa) è un panino ovale e sottile, fatto per gonfiarsi pochi istanti dopo il primo contatto con il calore, privo di mollica, ideale per essere farcito con i salumi piacentini, coppa e pancetta, e apprezzarne il sapore e la consistenza.

Il batarò “perfetto” dicono sia quello con “pancetta e zola” (gorgonzola), soprattutto se addentato non appena sfornato. Per la versione dolce, basta aggiungere zucchero o miele, oppure la Nutella.

La ricetta nasce “povera”dall’unione dell’impasto del pane con gli avanzi della polenta, ma dietro la sua semplicità è nascosta una somma di aggiustamenti, equilibri e saperi tramandati che fanno sì che la buona riuscita si ottenga solo grazie a un’esecuzione perfetta.

‘Ingredienti e ricetta

Quella proposta di seguito è una delle diverse variabili raccolte parlando con alcune “rasdùre” del posto, donne che ricordano ancora oggi il giorno in cui gli è uscito il batarò perfetto: che condizioni meteorologiche c’erano, quali dosi avevano applicato, quanta legna c’era nel forno, «perché è difficile che venga sempre ugualmente buono a se stesso».

Dalla Val Tidone il Batarò panino dal profumo di storia

Questi gli ingredienti:

  • un chilo di farina di grano tenero, farina di mais, in percentuale variabile tra il 10 e il 30% a seconda dei gusti,
  • 25 g di lievito di birra,
  • 500 ml di acqua,
  • 50 g di olio extravergine d’oliva,
  • 10 g zucchero,
  • 20 g di sale.

Procedere per gradi

Scottare la farina di mais con una parte di acqua, bollente e salata, e mescolare finché non si sarà assorbita tutta (c’è chi al posto dell’acqua utilizza il latte).

Una volta che il composto si sarà raffreddato, unirlo alla farina di grano tenero, mescolare e aggiungere il lievito di birra precedentemente sciolto in una ciotola d’acqua tiepida con un cucchiaino di zucchero.

Amalgamare il tutto, unire il resto dell’acqua e impastare fino a ottenere un composto morbido, ma compatto.

Lasciare lievitare per un paio di ore circa. Una volta che la massa avrà raddoppiato, impastare di nuovo e far lievitare per un’altra mezz’ora.

A questo punto formare delle palline grosse quanto un pugno dopodiché stendere la pasta, tirarla con un matterello o con la macchina, batterla (da cui il nome) e infornare.

La temperatura del forno a legna è uno degli elementi decisivi.

Questa infatti deve essere alta, ma non troppo, e il batarò non deve stare vicino alla fiamma altrimenti si brucia.

Aspettare che si gonfi, poi girarlo e aspettare ancora qualche minuto.

Chi non disponga di un forno a legna può provare a usare anche quello di casa a 250° per 5-10 minuti, ma il risultato, si sa, non sarà lo stesso.’

Mantenere integre le nostre tradizioni e le nostre origini, è un dovere. per essere in grado di trasmetterle alle future generazioni.

Spiega bene l’autrice, Laura Filios,  nell’articolo in Cucina Italiana:

‘Sulle colline della Val Tidone, in provincia di Piacenza, il batarò ha il profumo del tempo perduto.

Chi è della zona conosce bene la «gioia violenta» che si scatena al primo morso di questo particolare panino, la stessa che descrisse Marcel Proust parlando della sua madeleine inzuppata nel tè.

Non si tratta propriamente di sapore, ma di ricordi.

Quelli legati all’infanzia, di quando le mamme, le nonne e le zie, nel giorno in cui si faceva il pane, mettevano da parte un po’ di impasto per testare la temperatura del forno a legna e già che c’erano per preparare la merenda dei bambini.

Erano i tempi dei pranzi in famiglia, dei pomeriggi passati a giocare sull’aia o a nascondino tra le balle di fieno. E, prima ancora, di quando i contadini dal poco che avevano sapevano trarne il massimo giovamento.’

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