Qualcuno va via un venerdì pomeriggio senza avvisare. Qualcuno sparisce un venerdì pomeriggio come la più vera delle magie. Si dilegua nell’ombra di un giorno apparentemente normale. Normale per tanti, ma non per te. L’imbrunire si fa gentile all’orizzonte e cominciano le prime domande. Per contro, nessuna risposta. Solo un silenzio remoto come l’essere al giorno d’oggi. Tu sei una bambina e una voce è dentro di te, grande come quell’occasione persa di dire addio. Chissà come sarebbe stato potergli dire addio, te lo chiedi spesso. Sarebbe stata forse un illusione in meno o una scelta migliore; o entrambe le cose o nessuna di queste. Squilla il telefono e già sai cosa stanno per dire. Qualcuno di venerdì pomeriggio, senza saperlo, è andato lì, a morire. Ecco, il tuo incubo si è avverato. Lo avevi predetto nei tuoi sogni come sarebbe stato. Trascorrono i giorni e la teoria dell’incidente in moto è quella più adeguata. In fondo, gestire l’emotività di due bambine e il proprio dolore non è, per un adulto, un’impresa cordiale nei confronti delle parole. Le stesse che costruiscono il mondo. Le stesse che non dovrebbero mai mancare. Le stesse che poi a un certo punto escono e ti dicono: “hai perso l’avvenire. Giacché io te ne assicuri un altro, mettiti in questa stanza con una penna tra le dita, l’affetto di tua nonna e cresci spensierata.”
Non c’è che dire, l’adolescenza è stato il tuo posto migliore, eri meno sola di adesso e avevi tante strade di fronte. Forse è stato quello il problema, ne bastava una per non perdersi in quel venerdì che tornava a ripetersi.
Qualcuno ha promesso e ha disatteso le tue speranze. Qualcuno è sparito, lasciando di sé solo un ricordo ingombrante. Qualcuno oggi sei tu e fai esattamente lo stesso. Quella in terza è solo una persona qualunque. Questa è la tua vita. E tuo padre, il tuo senso.
