Gli struffoli da una ricetta di Salvatore de Riso

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E nel mio blog non poteva mancare questa ricetta degli struffoli  fatti a Natale. Questo e’ un dolce tipico natalizio della cucina napoletana.

Il dolce è composto da numerosissime palline di pasta (realizzata con farina, uova, burro, zucchero e aromi) di non più di 5-10 mm di diametro, fritte nell’olio o nello strutto e (dopo averle lasciate a raffreddare) avvolte in miele caldo e disposte in un piatto da portata dando loro, in genere, una forma a ciambella; si decora, infine, la composizione con pezzetti di cedro ed altra frutta candita, pezzetti di zucchero e confettini colorati (chiamati diavolilli,diavoletti oppure “minulicchi”). Una variante può identificarsi negli struffoli al forno, e cioè che le palline di pasta siano cotte al forno anziché fritte, sono più leggeri e altrettanto gustosi.

 

 

Ingredienti


500 gr di farina
4 uova
8 gr di sale (sciolto in un po’ d’acqua’)
50 gr di zucchero
50 gr di vino bianco
60 gr di burro morbido
Miele di millefiori
arancia candita
cedro candito
buccia di arancia e di limone grattugiata

Preparazione:
In una planetaria mettiamo la farina con il sale sciolto in un po’ di acqua, lo zucchero ,il vino bianco .e misceliamo bene,Aggiungiamo adesso due uova ,i semini di una stecca di vaniglia,la buccia grattugiata di mandarino e di arancia,le altre due uova,e infine il burro morbido e facciamo andare per 7/8 minuti circa.Otterremo così un impasto liscio e mobido che metteremo a riposare in frigo per due ore.
Trascorso il tempo faremo dei filoncini che taglieremo molto piccoli,come delle piccole palline ,il tutto andra’ infarinato abbondantemente e messo in un setaccio per togliere la farina in eccesso ,friggeremo in olio extra vergine di oliva per il 30% e il 70% di strutto.
Passiamo su carta da cucina .

In una pentola larga e capiente sciogliamo circa 250gr di miele con 100 gr di zucchero e 3 o 4 cucchiaiate di acqua.Appena imbiondito spegnere la fiamma e versare gli struffoli e poi metterli in un piatto dandogli la forma desiderata
 Io il cedro e i corallini non li metto perche’ a casa mia non piacciono ne’ a mio marito e ne’ a mia figlia.
LA STORIA DEGLI STRUFFOLI
Gli struffoli sono i dolci più napoletani che ci siano. A pari merito con la sfogliatella e la celebre pastiera, e certo più del babà, di origine polacca. Chi ha inventato gli struffoli? Non i napoletani, nonostante la loro proverbiale creatività. Pare che nel Golfo di Napoli ce li abbiano portati i Greci, al tempo di Partenope. E dal greco deriverebbe il nome “struffolo”: precisamente dalla parola “strongoulos”, arrotondato. Sempre in greco, la parola “pristòs” significa tagliato. Per assonanza, uno “strongoulos pristòs”, cioè una pallina rotonda tagliata: vale a dire lo struffolo, nella Magna Grecia è diventata “strangolapre(ve)te”: il nome che si dà a degli gnocchetti supercompatti, in grado di “strozzare” gli avidi membri del clero. Poiché la penuria di certezze stimola la fantasia, qualcun altro si è inventato che struffolo derivi da strofinare: il gesto che compie chi lavora la pasta, per arrotolarla a cilindro prima di tagliarla in palline. C’è anche chi ritiene erroneamente che lo struffolo si chiami così perché “strofina” il palato: nel senso che lo solletica, per la sua bontà. E chi pensa addirittura, che la radice di struffoli sia da collegare allo strutto (il tipo di grasso con cui anticamente venivano fatti e in cui venivano fritti) Se non è ancora ben chiaro da quale etimo – né da quale regione – gli struffoli provengano (c’è pure chi li fa nascere in Medio Oriente), è viceversa chiarissimo dove vanno: prima nelle nostre pance, e poi sui fianchi (se ne abbiamo ingurgitati troppi). Ben noto è anche il loro percorso: gli struffoli si sono spinti in tutta l’Italia Centro-meridionale
Due famosi trattati di cucina del 1600, il Latini e il Nascia, citano come “strufoli – o anche struffoli – alla romana” dei dolci preparati alla stessa maniera degli struffoli napoletani. In Umbria e in Abruzzo lo struffolo si chiama cicerchiata, perché le palline di pasta fritta legate col miele hanno la forma di cicerchie: legumi che è meglio non mangiare per via dei loro semi velenosi che possono provocare paralisi e allucinazioni (in certe zone d’Italia, “ma che, hai mangiato cicerchie?” equivale a dire “hai le traveggole?”). Quindi, due nomi (struffoli e cicerchiata) per uno stesso dolce. Ma pure l’opposto: due dolci diversi con lo stesso nome. Struffoli, per l’appunto.
Gli abitanti della Tuscia, regione intorno a Viterbo, chiamano ancora oggi struffoli quelle frittelle di pasta soffice e leggera che altrove vengono definite “castagnole”, e si mangiano a Carnevale.
Gli struffoli si trovano pure a Palermo, con qualche piccola ma non sostanziale variante, una delle quali consiste nella perdita di una f (“strufoli”): le Sicilie erano due, ma lo struffolo rimaneva unico.
Nella preparazione degli struffoli molto è lasciato al naso (hanno un bell’aroma), ma nulla è lasciato al caso. Ciascuna pallina di pasta fritta è un capolavoro di ingegneria domestica, selezionato in centinaia d’anni di sperimentazione nelle cucine di ogni tipo.
Perché il vero struffolo dev’essere piccolo? Perché così aumenta la superficie di pasta che entra in contatto col miele, e il sapore ne guadagna. E questo avviene soltanto se si confezionano delle palline di pasta di piccole dimensioni. Il miglior rapporto pasta/miele migliora i rapporti familiari, almeno durante le festività natalizie. Gli struffoli migliorano la qualità della vita. Lo fanno adesso, e figuriamoci quanto lo facevano prima: fino a pochi anni fa la vita media era molto più breve, e in media, molto più grama. Si mangiava poco e male, fuorché a Natale e alle feste comandate.I bambini, poi! Di merendine, nemmeno l’ombra. L’unica consolazione, per loro (e per tutti gli altri…) erano i dolci come gli struffoli: che non fanno male, e non vanno a male, in quanto si conservano a lungo. Gli struffoli, come tutti gli evergreen, nella loro sostanziale immutabilità presentano molte varianti: regionali, familiari e personali. In questo sono un po’ come le polpette: anche se gli ingredienti sono esattamente gli stessi, mangerete tanti struffoli diversi quanti sono le case in cui vi verranno offerti (o le pasticcerie in cui li acquisterete).Vi accorgerete che ciascuno ritiene che i “propri” struffoli siano quelli autentici: quelli della tradizione, tramandati da una nonna, una mamma o – ancora meglio! – da una zia monaca. Quest’ultima, quando c’è, è una garanzia: a Napoli un tempo gli struffoli venivano preparati nei conventi, dalle suore dei vari ordini, e recati in dono a Natale alle famiglie nobili che si erano distinte per atti di carità.
Come accade a tutte le ricette ormai abbondantemente codificate, che sembrano non presentare punti oscuri, gli struffoli sono insidiosi: nascondono infatti molti segreti, spesso custoditi gelosamente.Uno di questi sta nel miele: che dev’essere abbondante. Senza di lui, un dolce non può definirsi veramente tale. Come simbolo della Dolcezza, il miele è un Mito: i Gemelli Indiani Ashvin, messaggeri degli Dei, mangiano miele nel cielo mattutino, e la Bibbia racconta come Sansone estraesse dall’interno del leone da lui ucciso un favo d’api e di miele. La cosa lo mise di buon umore, tanto da spingerlo a formulare un indovinello: “dal divoratore è uscito il cibo, dal forte è uscito il dolce” (Giudici, 14).
Morale: dalla morte nasce la vita. A proposito di nascita, il corpicino del Bambino Gesù viene definito “roccia che dà miele”.
Non è quindi un caso che gli struffoli siano un dolce tipicamente natalizio.
Ecco un’altra regola aurea: negli struffoli non esistono elementi accessori. Tutto è importante. Dai canditi ai diavolilli.
Nella ricetta degli struffoli trovano posto arancia e cedro candito, ma la parte del leone (come nella pastiera e nella sfogliatella) la fa la zucca candita: la famosa “cucuzzata”.
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Pubblicato da lacucinadiannama

adoro cucinare. Giardinaggio, libri,cinema

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