La Cucina della Tradizione

Autore: erbapersa (Page 1 of 4)

Penne alla cenere

Penne alla cenere

Il Teatro della Tosse, storico teatro genovese di avanguardia, aveva organizzato una splendida pièce teatrale a Forte Sperone intitolata Il Castello dei Sette Peccati era il Luglio del lontano 1993. Terminata la rappresentazione, mi sono ritrovato assieme ad amici a condividere una cena notturna con i bravissimi attori in una trattoria/osteria di Piazza Manin. Lì fui conquistato dalle Penne alla cenere, un matrimonio straordinario tra il celebre gorgonzola lombardo e la ligure pasta di olive taggiasche. Feci i complimenti alla cucina e provai a chiedere la ricetta: con mio stupore il cuoco venne al tavolo e me la spiegò. Una ricetta geniale: semplicissima, ma fantastica. Il nome “cenere” è quanto mai azzccato: il sughetto prende infatti una colorazione grigiastra, di primo impatto non gradevolissima alla vista, ma il gusto è poi quello che conta! Il trucco della buona resa sta tutto nella qualità degli ingredienti. Ho visto replicata la ricetta su tantissimi siti, mi vanto, forse ingiustamente, di essere stato uno dei primi a preparare questo piatto (dopo il grande cuoco dell’osteria, ovviamente).

Penne alla cenere

Portata Primi
Porzioni 4 persone

Ingredienti
  

  • 320 grammi penne
  • 1 etto gorgonzola
  • 2 -3 cucchiaini paté di olive taggiasche
  • 1 confezione panna da cucina
  • parmigiano

Istruzioni
 

  • Mettete in una ciotola la panna, la gorgonzola tagliata a pezzetti e il pate' di olive. Amalgamate bene il composto con una forchetta. Con questo sugo condite le penne, che servirete spolverate di parmigiano.

Bigoli in salsa

Bigoli in salsa

Una ricetta tipicamente veneta per un piatto povero, solitamente servito durante i giorni di magro, come la vigilia di Natale, il venerdì Santo e il mercoledì delle Ceneri. I bigoli sono una pasta lunga, fatta di grano tenero-acqua-sale, di origine veneta ma diffusi anche nella Lombardia Orientale. La principale caratteristica di questo grosso spaghetto è la ruvidità, che le consente di trattenere sughi e condimenti. Questo è un prodotto di origine contadina in uso fin dai tempi della Serenissima Repubblica di Venezia.

La leggenda vuole che nel 1604 un pastaio di Padova, detto “Abbondanza”, venne autorizzato dall’allora Consiglio del Comune a godere del brevetto di un macchinario di sua invenzione. Il signor Abbondanza riuscì a produrre diversi tipi di pasta lunga, ma la predilezione dei clienti cadde su una sorta di spaghettoni ruvidi poi battezzati bigoli. Il nome, sembra ricollegato alla forma, deriverebbe probabilmente dal termine dialettale bigàt (bruco), o dal latino bombyx (baco).

La ricetta originale prevede solo due ingredienti: olio di oliva e acciughe sotto sale (oppure sarde). Le acciughe sono fatte disfare nell’olio con fiamma bassissima. La ricetta che metto e’ una variante che ho assaggiato in una trattoria veneziana, rispetto all’originale prevede cipolla, vino bianco e pepe.

Bigoli in salsa

Portata Primi

Ingredienti
  

  • 150 g bigoli
  • 1 cipolla medio - grossa
  • 4-5 acciughe salate, diliscate e pulite
  • 1/2 bicchiere vino bianco
  • 1/2 bicchiere olio di oliva extra vergine
  • pepe nero

Istruzioni
 

  • Tagliate finemente la cipolla.
  • In un pentolino di terracotta riscaldate l'olio e aggiungete la cipolla.
  • Lasciate appassire a fuoco basso, aggiungete le acciughe e fatele sciogliere mescolando con un cucchiaio di legno.
  • Alzate la fiamma, bagnate con il vino bianco e lasciate sfumare continuando a mescolare.
  • Spegnete la fiamma, aggiungete un'abbondante macinata di pepe e condite la pasta.

Cavolfiore con le olive

Cavolfiore con le olive

Il cavolfiore è una delle varietà più comuni di cavolo. Il suo nome infatti deriva dal latino caulis (cavolo) e floris (fiore).

Il cavolfiore, appartenente alla famiglia delle Brassicacee (o Crucifere), è originario del Medio Oriente. Da lì fu portato in Italia dove, già in epoca romana, veniva consumato ed apprezzato. Poi nel Medioevo divenne il segno distintivo del cibo popolare e contadino, povero e poco raffinato. Nonostante ciò, fu l’alimento più consumato in Europa, perché facile da coltivare, produttivo e altamente conservabile. In epoca moderna, un grande impulso alla sua diffusione venne dalla corte di Francia, al tempo di Luigi XIV.

Da sempre il cavolo è considerato anche il simbolo della fecondità. Infatti viene raccolto dopo nove mesi dalla semina, questo riconduce proprio al periodo di gravidanza di una donna. Per questo si dice che i bambini nascono sotto i cavoli.

Esistono diverse tipologie locali, affiancate da varietà selezionate, e la sua coltivazione è oggi diffusa in tutto il mondo. In Italia il cavolfiore si coltiva in Campania, Marche, Puglia, Lazio, Toscana, Lombardia, Piemonte e Veneto.

La ricetta che ho trascritto è tipicamente sarda, sull’Isola si chiama cavolfiore soffocato (cabi a soffocau). Viene dalla mia cara suocera e dalla sua famiglia di origine campidanese (la sua mamma preparava così il cavolfiore).

Cavolfiore con le olive

Portata Contorni

Ingredienti
  

  • 1 cavolfiore di medie dimensioni
  • 1 spicchio aglio
  • 1 pomodoro secco lavato e tagliato a pezzetti opzionale
  • 10 - 15 olive verdi snocciolate
  • 1/2 bicchiere olio di oliva extra vergine
  • peperoncino macinato
  • 1 cipolla tagliata a listarelle
  • 1/2 dado da brodo
  • sale

Istruzioni
 

  • Suddividete il cavolfiore in cimette, e lavatele accuratamente in un recipiente.
  • In una pentola capiente mettete a soffriggere nell'olio di oliva (mezzo bicchiere) lo spicchio di aglio tagliato a fettine e la cipolla tagliata a listarelle. Aggiungete il pomodoro secco (se piace). Moderate il fuoco e fate attenzione che il soffritto non "prenda lampo" (altrimenti l'olio saprà di bruciato).
  • Aggiungete le olive tagliate in due e lasciatele un poco insaporire.
  • Aggiungete le cimette del cavolfiore (potete tagliarle a fette per una cottura più veloce), versate 1 bicchiere di acqua e il dado a pezzetti. Mescolate bene.
  • Coprite con un coperchio e lasciate cuocere a fuoco moderato per circa 15 minuti, mescolando di tanto in tanto.
  • Quando il cavolo vi sembra cotto, aggiungete una punta di peperoncino e alzate la fiamma. Mescolando in continuazione, fate asciugare il sughetto. Il cavolo si disferà un poco (deve essere cosi'!). Lasciate un poco dorare il tutto (attenzione a che non si bruci). Se il cavolo si attacca un pochino, non fateci caso: e' anche più buono!
    Regolate eventualmente il sale solo dopo un assaggio.
  • Togliete dal fuoco e servite caldo.

Cipolline in agrodolce

Le cipolle, assieme a fichi e datteri, sono forse uno dei cibi più antichi dell’umanità, si. Sono stati ritrovati resti di cipolle in insediamenti del Bronzo Antico (circa 5000 a.C). Le testimonianze archeologiche e letterarie suggeriscono che la coltivazione potrebbe aver avuto inizio circa duemila anni dopo, in Egitto, insieme all’aglio e al porro. Sembra che le cipolle e i ravanelli facessero parte della dieta degli operai che costruirono le piramidi.

Le cipolle fanno piangere a causa di una complessa reazione chimica che quando alcune componenti volatili della cipolla raggiungono il nostro occhio vengono trasformate in acido solforico ed altre sostanze irritanti. Per evitare di piangere tagliando le cipolle, basta pulirle sotto l’acqua. Le sostanze irritanti sono infatti altamente idrosolubili.
L’agrodolce è una tecnica culinaria che consiste nell’abbinare all’interno delle ricette ingredienti dal gusto dolce e aspro. Generalmente come componente acida viene utilizzato l’aceto, talvolta il limone, mentre la dolcezza può essere data dall’uso del miele o dello zucchero.

La cucina in agrodolce ha origini molto remote. Se ne trova testimonianza già al tempo dell’Impero Romano, quando Apicio, gastronomo, cuoco e scrittore a cui è attribuito il De Re Coquinaria, una raccolta di ricette di cucina romana, racconta l’utilizzo di un mix di aceto e miele per insaporire carne e pesce.
A partire dal Medioevo, il numero e la tipologia di ingredienti usati per cucinare in agrodolce si sono ampliati, includendo oltre all’aceto anche agrumi e succo di melagrana come componenti aspre, miele, datteri e uvetta come componenti dolci.

La scoperta della canna da zucchero, importata in Sicilia dagli Arabi, ha aggiunto un altro tassello a questa tecnica che, con alterne fortune, è arrivata fino ai giorni nostri e resta apprezzatissima, come ne conferma la diffusione in molte culture gastronomiche, in Italia e all’estero.

La Sicilia, terra di dominazione araba, vanta numerose ricette che accostano gusto acidulo e dolce. La più famosa è sicuramente la caponata, un piatto a base di melanzane, pomodori, olive e capperi in cui la nota agra è data dall’aceto, mentre quella dolciastra è legata alla presenza dell’uvetta e dello zucchero.

La ricetta sotto è quella di famiglia, non ho traccia storica di come sia arrivata. Da dire che in Liguria la cipolla è usatissima, basti pensare alla focaccia con la cipolla o la farinata con le cipolline fresche. Le cipolle ideali per questa ricetta sono le piccole e dolci cipolline borettane. La loro origine è il comune emiliano di Boretto (RE). La storia della cipolla borettana comincia già intorno al 1400, con le prime coltivazioni nella provincia di Reggio Emilia, anche se dal 1920 la produzione ha trovato terreno fertile nel parmense.

Cipolline in agrodolce

Preparazione 20 minuti
Cottura 30 minuti
Tempo totale 50 minuti
Portata Contorni

Ingredienti
  

  • 250 g cipolline borettane
  • 1 noce burro
  • 1 brodo ristretto oppure brodo di dado
  • 2 - 3 cucchiai aceto rosso
  • 1 cucchiaio zucchero
  • 1/2 cucchiaino sale

Istruzioni
 

  • Pulite le cipolline eliminando la buccia esterna e tagliando le due estremità.
  • Scaldate a parte 1/2 litro di brodo (potete farlo anche con il dado).
  • Fate sciogliere il burro in una casseruola, e fateci rosolare per qualche minuto le cipolline.
  • Aggiungete un mestolo di brodo e fatelo asciugare a fuoco moderato, mescolando di tanto in tanto in modo da non far attaccare le cipolline. Ripetete questa operazione per circa 15 minuti.
  • Quando le cipolline avranno assunto un bel colore dorato, aggiungete il sale e l'aceto rosso (aumentare la dose se piace più "acetoso").
  • Fate asciugare il tutto (deve formarsi un sugo lievemente denso) ed eventualmente aggiustate di sale.

Waffel alla belga (Cialde di Mamma Giovanna)

Waffel alla belga (Cialde di Mamma Giovanna)

Un ricordo personale: Estate 1997 decido di andare a trovare un mio amico Belga, Domenico, proprio in Belgio. All’epoca lui viveva a Leuven, non lontano da Bruxelles, ma la sua famiglia viveva nelle vicinanze di Tongeren, nelle Fiandre non lontano dall’olandese Maastricht. I suoi genitori Giovanna e Joseph avevano una bellissima casetta indipendente nelle campagne fiamminghe. Fu lì che scoprii questo dolce particolare: i waffel. La signora Giovanna, di origini pugliesi, li aveva preparati per me, accompagnati da confetture fatte in casa. Ricordo una confettura di rabarbaro, semplicemente fantastica. Giovanna era una donna dai modi sempre gentili e affettuosi, e assieme al simpaticissimo marito formavano una coppia straordinaria e unita: mi fecero sentire proprio a casa!

Sono un biscotto a cialda, croccante fuori e morbido dentro. Un impasto simile a quello di una torta margherita. La caratteristica è la goffratura, cioè la superficie del biscotto è a forma di grata, con buchetti regolari più o meno marcati. Il biscotto può essere rettangolare, circolare, a forma di cuore, a seconda della forma dello stampo. Anticamente erano fatti preparando una pastella dolce che veniva versata a cucchiaiate su uno stampo doppio, posto poi sul fuoco del camino. Oggi si fa la stessa cosa usando uno stampo elettrico. I waffel non sono molto dolci e si servono accompagnati da confetture,
creme, panna e frutta (fragole), gelato, o caramellati.

Sono tipici del Belgio e dei Paesi Bassi (dove si chiamano waffel nelle Fiandre/Olanda e gaufre in Vallonia), della Francia (gaufre), della Germania (waffeln), della Scandinavia (Våfflor). Esistono anche in Italia, si chiamano ferratelle e sono tipiche della tradizione abruzzese e molisana. Si trovano anche in Piemonte (Alta Val Chiosone, alta Val di Susa) con un nome molto indicativo: gofri. Nel Canavese, sempre in Piemonte, si chiamano ofele.

L’estesa distribuzione di questo dolce ci dice che le sue origini non possono essere vicine a noi. In effetti gli storici hanno individuato un dolce dell’antica Grecia molto simile: le obelias. Ne Medioevo in Francia i cuochi cucinavano le gaufre, servite con formaggio e miele. Gaufre in francese antico significa nido d’ape. Anche nell’isola di Malta nel XII secolo si preparavano biscotti simili.

Notizie più accurate arrivano dai tedeschi fratelli Grimm. Dicono che sono un dolce di origine renana, la zona vicino alla Francia. La parola waffel sembra derivi dall’antico dialetto parlato in Franconia ed esteso all’epoca in buona parte dell’attuale Germania tra Baviera e Francia. Waffel in antico olandese si diceva wafele, e in antico dialetto della Franconia wafla, trasformato poi nell’antico francese walfre, poi diventato gaufre. Il significato originale è sempre nido d’ape.

Concludo il mio racconto personale, rimasi talmente colpito dalla bontà di questo dolce che chiesi alla signora Giovanna la ricetta. Quando terminò la mia vacanza belga, Giovanna e Joseph mi fecero trovare in un pacchetto la macchinetta elettrica per fare i waffel (con annessa ricetta di famiglia).

Waffel alla belga (Cialde di Mamma Giovanna)

Preparazione 20 minuti
Cottura 30 minuti
Tempo totale 50 minuti
Portata Dolci

Ingredienti
  

  • 1 kg farina
  • 1/2 kg zucchero
  • 1/2 kg burro
  • 8 uova intere
  • 5 bustine lievito vanigliato
  • 2 bustine lievito in polvere
  • 1 tazza (da cappuccino) latte

Istruzioni
 

  • Versate in una ciotola la farina, lo zucchero, lo zucchero vanigliato ed il lievito in polvere.
  • Lasciate sciogliere il burro sul fuoco ed aggiungetelo agli altri ingredienti (attenzione che non sia troppo caldo).
  • Sbattete le uova con il latte ed aggiungerle al composto.
  • Lasciate intiepidire l'impasto ed aggiungete le uova intere battute con il latte.
  • Per la cottura: le cialdine vanno cotte su una piastra detta "waffel ijzer" (in fiammingo) che, purtroppo, non si trova facilmente in commercio in Italia. Si versa un cucchiaio abbondante di impasto in ogni stampo e si chiude il coperchio della macchina per creare la forma. Ogni cialda e' pronta in tre/quattro minuti. Nel caso non si disponesse di una piastra, si puo' usare una padella antiaderente (nel caso la cialda va girata a meta' cottura). L'aspetto finale delle cialde è quello di dischi o quadrati con una spessa rigatura a rete in rilievo su entrambe le facce.
  • La cialda va servita con della marmellata o crema o caramello o nutella o semplicemente spolverata con zucchero vanigliato. Per questo, non deve essere troppo dolce.

Atun en escabeche (Tonno in scabeccio)

Atun en escabeche (Tonno in scabeccio)

La conservazione degli alimenti sott’aceto, come quella sott’olio o sotto sale, è una delle più antiche, già in uso presso gli antichi greci e romani. Si basa sul principio che alcuni batteri mal sopportano ambienti acidi: l’aceto abbassa il pH dei cibi, inibendo lo sviluppo di microrganismi patogeni. E’ bene osservare però che non tutti i microrganismi muoiono a causa di questa reazione, per cui a questa tecnica possono essere associati altri metodi di conservazione. Spesso gli alimenti infatti sono sottoposti a cottura prima di essere invasati nei barattoli per la conservazione, che in seguito possono essere sterilizzati.

L’aceto deve avere un grado di acidità inferiore a pH 4.6. Più le verdure sono acquose, maggiore deve essere il grado di acidità. Un altro accorgimento da tenere presente è che gli alimenti devono essere totalmente immersi nell’aceto, per evitare che si ammuffiscano. Infine la sterilizzazione dei vasi: deve avvenire in pentole partendo dall’acqua fredda. Ricordate di avvolgere i barattoli in panni per evitare che, battendo tra loro si possano rompere.

Gli antichi romani erano molto ghiotti di aceto, nei banchetti si usava spesso l’acetabulum, una coppa riempita di aceto in cui immergere i cibi prima di mangiarli.

La tecnica di conservazione che in spagnolo si chiama escabeche, corrisponde al nostro scabeccio (usato al sud) o carpione (al nord). Carpione è un termine che indica una preparazione a base di pesci, verdure e carni in una particolare «marinata di aceto». E’ un termine molto diffuso nel Nord Italia (soprattutto nelle zone dei laghi). Sono molto tipici i pesci in carpione: la marinatura è normalmente a base di un soffritto a cui è aggiunto aceto e vino bianco. Il tutto aggiustato con sale e pepe nero (e altre spezie). Il pesce fritto (o gli avanzi di una frittura di pesce) viene adagiato nella marinatura e lasciato riposare in frigorifero per un giorno intero. Viene servito con una guarnizione di anelli di cipolla bianca, olio di oliva e grani di pepe. Carpione è il nome di un pesce tipico ad esempio del Lago di Garda, il piatto ha preso nome dal pesce. E nel Sud Italia? Ricordiamo la dominazione spagnola dell’Italia Meridionale (isole comprese)… in Spagnolo il metodo di conservazione sotto aceto si dice escabeche, che deriva dall’arabo-persiano sikbâg che significa “sugo con aceto”, e si riferisce ad un piatto di carne conservata con aceto (e citato anche ne “Le mille e una notte”). Notare che sikbâg si prouncia iskebech, da cui la parola spagnola derivata per trascrizione fonetica. Ecco perché in Sardegna si dice a scabecciu, in Liguria a scabeccio, in Campania a scapece, in Molise a scapec, in Sicilia a scapeci.

La ricetta che vi lascio arriva direttamente dalla Galizia (Spagna) dalle abilissime mani di Marta, mamma del mio amico José. Marta e il marito Antonio sono una bellissima coppia che vive ad A Coruña. Marta è una cuoca sopraffina, bravissima nel preparare numerosi piatti di pesce e fantastici dolci.

Atun en escabeche (Tonno in scabeccio)

Portata Pesce

Ingredienti
  

  • 900 g tonno
  • 1 carota a filetti
  • 2 spicchi di aglio
  • 1 cipolla media
  • 1 bicchiere scarso di aceto di vino
  • 1 bicchiere di vino bianco
  • 6-8 grani pepe bianco
  • 3 foglie di alloro
  • 1 e 1/2 bicchiere olio di oliva extra vergine
  • sale
  • 1 rametto di prezzemolo fresco

Istruzioni
 

  • Pulite il pesce rimuovendo pelle, spine e parti scure.
  • Versate l'olio in una casseruola e scaldatelo a fuoco medio.
  • Aggiungete l'aglio, la carota, la cipolla, l'alloro, il prezzemolo, il pepe e il sale.
  • Cuocete lentamente, aggiungendo l'aceto e il vino.
  • In una padella saltate il pesce (fatto a pezzi) per 4 minuti.
  • Aggiungete il pesce nella casseruola con la salsa precedentemente preparata e lasciate cuocere per tre minuti il tutto.
  • Servite freddo o caldo, accompagnato da patate lesse.

Note

P.S. Allo stesso modo possono essere preparati anche altri pesci in tranci, come salmone, tonno bonito, etc...

Canestrelli liguri

Canestrelli liguri

Se c’è un dolce che può rappresentare a gran titolo la Liguria, è sicuramente il canestrello. Un dolce molto semplice, fatto di pasta frolla, ma di lunga storia.
La semplicità degli ingredienti non va confusa con la povertà, non è un dolce povero, perché fino all’800 farina bianca, burro e zucchero erano cose da ricchi.

L’etimologia del nome di questi biscotti è incerta. Alcuni lo fanno derivare dal termine “Canestro”, cioé il cesto di paglia o vimini, nel quale venivano posti a raffreddare per poi essere offerti in occasione di feste civili o religiose. Altri ritengono che il nome sia da mettere in relazione con il disegno dello stampo a pinza in cui venivano cotti: in lingua piemontese canesterlè, cioè ingraticolare con canne. Questo dolce esiste già nel Medioevo, anche se i primi canestrelli erano più simili alle ostie, che a veri e propri dolcetti. Venivano venduti sui sagrati delle chiese. E fin dal Medioevo Torriglia (comune sugli Appennini, in provincia di Genova) era famosa per i suoi canestrelli.

Il successo mercantile della famiglia Fieschi (di origine di Torriglia) porta notorietà al canestrello, tanto che inizia ad essere stampato sulle monete: il “Secondo” Genovino, battuto sul finire del 1280, riporta sul rovescio un piccolo canestrello a sei punte, come simbolo di abbondanza. Anche il “Terzo” Genovino coniato tra il 1339 e il 1344 in onore di Simon Boccanegra, primo doge di Genova, riporta nel rovescio i canestrelli (li vedete nella foto?).

 

Il canestrello di pasta frolla è ricetta più recente con precisa collocazione sia temporale sia geografica, ovvero inizi dell’800 in Torriglia (manco a dirsi).

La ricetta postata sotto è quella di famiglia. Zia Letizia e zia Rina erano le abilissime produttrici di canestrelli… le ricette erano diverse, ma il risultato era comunque fantastico. Qua sotto la ricetta ereditata da zia Letizia.

 

Canestrelli liguri

Preparazione 20 minuti
Cottura 30 minuti
Tempo totale 50 minuti
Porzioni 4 persone

Ingredienti
  

  • 250 gr farina 00
  • 125 gr zucchero
  • 125 gr burro
  • 2 tuorli
  • scorza di limone gratuggiata
  • semi di vaniglia o 1 bustina di vanillina

Istruzioni
 

  • Impasto per circa 18-20 biscotti. Mettete tutti gli ingredienti in una ciotola capiente e inizia ad amalgamarli piano piano con le mani. L'impasto inizialmente risulterà molto farinoso, ma poco a poco inizierà ad amalgamarsi grazie al calore delle mani. Trasferite l'impasto su una spianatoia e continuate a lavorarlo finché non sarà bello liscio. La pasta frolla non va lavorata molto, altrimenti impazzisce e ritorna a rompersi. Avvolgete l'impasto nella pellicola e riponetelo 20 minuti in frigo
  • Scaldate il forno a 160-170 gradi e mettete la carta forno nelle teglie. Stendete l'impasto per ottenere una sfoglia di circa 5-6mm di spessore e con l'apposita formina tagliate i biscotti. Disponeteli sulle teglie.
  • Mettete in forno una teglia per circa 15 minuti, ma osservate in continuazione i biscotti: vanno tolti non appena iniziano a dorarsi in superficie (non eccedete nella doratura, altrimenti l'interno si brucerà). Lasciate raffreddare completamente i biscotti e, se volete, spolverateli con zucchero a velo.

Sughetto con tonno, tapenade e pecorino fresco

Sughetto con tonno, tapenade e pecorino fresco

Questo sughetto mi è stato servito come condimento di un piatto di chiusoni (dei gnocchetti sardi tipici del Nord Sardegna) in un recente viaggio a Olbia. Il piatto era molto buono e i gusti si accostavano davvero bene. Inoltre unisce la Provenza (che, gastronomicamente parlando, è molto unita alla Liguria) e la Sardegna (per l’uso di materia prima o prodotti locali come il tonno, le olive, i capperi, il vermentino di Gallura e il pecorino fresco). La preparazione fa uso di una
tapenade, cioé un trito di olive verdi, acciughe, capperi e olio di oliva. E’ la salsa più nota della Provenza (e in sue varianti usata anche molto nella Riviera di Ponente). Il nome deriva dall’occitano tapeno che vuol dire cappero.
Il cappero sarebbe stato portato nel bacino del Mediterraneo dai Fenici. Ora è ampiamente diffuso, ma il suo uso alimentare non pensiate sia così antico… in antichità i capperi erano usati principalemente come medicamento. Le prime notizie sulla commercializzazione di capperi sotto aceto sono del ‘700 a Marsiglia. Dalla Provenza i capperi sotto aceto venivano esportati in tutta Europa. La tapenade, come la conosciamo noi, è una ricetta ottocentesca attribuita al cuoco marsigliese Jean-Baptiste Reboul.
Passando alla ricetta del nostro sughetto: cercate materie prime di ottima qualità! Essend una ricetta semplice, i sapori dipenderanno esclusivamente dalla buona qualità delle materie prime (vero in generale in cucina, ma in particolare per i piatti semplici). Il pecorino serve da legante per la pasta e deve essere fresco o semistagionato (ma non maturo): un pecorino forte potrebbe coprire troppo i gusti degli altri ingredienti.Per la cronaca se vi trovate a Olbia, potete assaggiare l’originale al Ristorante da Bartolo
(Viale Aldo Moro, 181).

Sughetto con tonno, tapenade e pecorino fresco

Preparazione 10 minuti
Cottura 15 minuti
Tempo totale 25 minuti
Portata Primi

Ingredienti
  

  • 300 gr tonno fresco, in tranci
  • 150 gr olive verdi
  • 1 cucchiaio capperi sotto sale
  • 4 acciughe dissalate o sottolio
  • 1 pomodoro secco a pezzettini
  • 1 bicchiere vermentino
  • 4 cucchiai olio di oliva
  • q.b. farina
  • q.b. sale, pepe nero e pepe bianco
  • curcuma opzionale
  • 40 gr pecorino fresco grattugiato a scaglie (con una mandolina)

Istruzioni
 

  • Mettete le olive, un cucchiaio di olio di oliva, i capperi dissalati e due acciughe in una ciotola. Tritatele grossolanamente con un minipimer (oppure nel mixer). Siate molto veloci e lavorate ad impulso (per pochissimo tempo, non preoccupatevi se la salsa non rimane morbida).
  • Tagliate a tocchetti il tonno fresco e infarinatelo velocemente.
  • In una casseruola o padella mettete tre cucchiai di olio e le restanti acciughe. Fatele sfaldare le acciughe a fuoco leggero. Aggiungete il tonno infarinato e il pomodoro secco, alzate la fiamma e fate rosolare mescolando velocemente per qualche minuto.
  • Aggiungete la tapenade e lasciate rosolare qualche minuto. Fate sfumare un bicchiere di vermentino e aggiustate di sale e pepe. Anche se personalmente non l'adoro, devo ammettere che un pizzico di pepe bianco qua ci sta bene! Se volete dare un poco di colore, potete aggiungere la puntina di un cucchiaino di curcuma.
  • Una volta evaporato l'alcol, abbassate la fiamma e completate la cottura. Se si asciugasse troppo aggiungete dell'acqua tiepida.
  • Cuocete la pasta (potrebbero andare bene dei malloreddus, cioé gnocchetti sardi, anche allo zafferano). Fate saltare la pasta con il sugo e servite con una bella spolverata di pecorino fresco in scaglie e un filo di olio di oliva a crudo.

Rin ran de Cazorla

Rin ran de Cazorla

Cazorla è un comune spagnolo situato nella comunità autonoma dell’Andalusia posto ad un’altitudine di 836 metri sul versante occidentale della Sierra de Cazorla. E’ patria di un piatto estivo gustosissimo – una sorta di insalata di patate – detto Rin Ran . Questo piatto è a base di patate, pesce (tonno o baccalà), peperone secco, cipolla, olive, uova e olio di oliva. E’ un piatto chiaramente di origine povera e contadina, il classico miscuglio delle cose che si trovano in casa, e probabilmente era consumato in inverno (data la presenza di molti ingredienti a lunga conservazione). Oggi è considerato un piatto estivo, da mangiare freddo nelle calde serate andaluse. Il rin ran sembra essere originario della regione della Murcia, ma ha avuto una notevole diffusione in Andalusia. Per alcune caratteristiche potrebbe essere una rielaborazione di qualche ricetta della cucina moresca, ma la presenza di peperoni e patate fa presumere che la ricetta attuale sia posteriore al 1700.Il rin ran è un piatto davvero molto gustoso, si può preparare in largo anticipo e si conserva lungamente in frigorifero. La ricetta che vi propongo è originalissima, e mi è stata inviata da Isabel. E’ la ricetta di famiglia di suo marito Jose Luis, che è nato proprio a Cazorla.

Rin ran de Cazorla

Preparazione 20 minuti
Cottura 20 minuti
Tempo totale 40 minuti
Portata Antipasti, Primi
Porzioni 4 persone

Ingredienti
  

  • 1 kg patate
  • 8 pimiento choriceros (peperoni secchi)
  • 700 gr baccalà ammollato
  • 1 cipolla
  • 1 uovo sodo
  • olive verdi
  • olio di oliva
  • sale

Istruzioni
 

  • Mettete in una casseruola le patate lavate e con la buccia. Pulite i peperoni eliminando i semini. Coprite con acqua e salate leggermente (il baccalà e le olive aggiungeranno già sapidità al piatto). Bollite le verdure finchè le patate non risulteranno cotte.
  • Pelate le patate e ripulite la polpa dei peperoni (raschiando la parte interna della buccia con un cucchiaino). Tenete l'acqua di cottura da parte.
  • Schiacciate le patate con i rebbi di una forchetta e amalgamate bene la polpa dei peperoni.
  • Aggiungete un poco di acqua di cottura delle patate e peperoni.
  • Condite con olio di oliva. L'impasto deve risultare bello soffice e cremoso.
  • Spinate il baccalà ammollato e fatelo bollire due minuti in acqua.
  • Aggiungete le olive verdi denocciolate e tagliate a rondelle. Affettate una cipolla a pezzetti piccoli. Sminuzzate il baccala con un coltello. Aggiungete olive, cipolla e baccalà all'impasto, mescolate bene.
  • Guarnite con un uovo sodo sminuzzato e lasciate riposare il rin ran nel frigorifero prima di servirlo.

Ragù bianco toscano

Ragù bianco toscano

Durante uno splendido viaggio in Toscana fatto di recente ho avuto la possibilità di assaggiare degli ottimi Pici al ragù bianco. I pici, per chi non lo sapesse, sono dei grossi spaghettoni (di pasta fresca); vengono solitamente cotti al dente e raccolgono benissimo il sugo che li condisce. La prima apparizione documentata dei pici si trova a Tarquinia nella celeberrima Tomba dei leopardi. Si tratta di una testimonianza muraria, ovvero di un affresco che ritrae una scena di banchetto: un servo porta in tavola una patera, una scodella contenente della pasta a fili irregolari, che si pensa possano essere gli antenati dei pici. Questa volta non ho trovato una storia del ragù bianco, temo che la ricetta si perda nella notte dei tempi e, probabilmente, sarà precedente all’introduzione del pomodoro in cucina (cioè, prima dell’Ottocento, come minimo). La ricetta ha numerose varianti che riguardano la scelta delle carni (di chianina, di cinta senese) e il loro mix (chi mette suino+manzo, chi mette manzo+pollo, etc…). La ricetta che ho trovato e testato è la più simile a quanto ho provato in Toscana.

Ragù bianco toscano

Preparazione 15 minuti
Cottura 1 minute
Tempo totale 16 minuti
Portata Primi
Porzioni 3 persone

Ingredienti
  

  • 400 gr macinato di manzo ideale sarebbe di carne chianina
  • 1 salamella toscana
  • 1 rametto rosmarino
  • 8 foglie salvia fresca
  • 1 carota
  • 1 gamba sedano
  • 1 cipolla
  • 5 cucchiai olio di oliva extra vergine, meglio toscano
  • 1 bicchiere vino bianco secco
  • sale
  • pepe nero
  • brodo di carne o vegetale. (Facoltativo)

Istruzioni
 

  • In una pentola di terracotta fate scaldare l'olio di oliva. Aggiungete carota, cipolla e sedano tagliati non troppo finemente a tocchetti. Aggiungete un trito di rosmarino e le foglie intere di salvia. Fate insaporire bene il soffritto.
  • Aggiungete la salamella sgranata e fate cuocere per farle rilasciare bene i grassi. Appena cotta, aggiungete la carne di manzo e fate insaporire. Aggiustate di sale e pepe (in Toscana si usa questa spezia in abbondanza, fate così se vi piace).
  • Sfumate con il vino bianco (alzando il fuoco). Poi riabassate la fiamma al minimo, coprite la pentola con il coperchio e lasciate cuocere per un'oretta mescolando di tanto in tanto. Il sughetto è pronto quando ben ristretto. Se si asciugasse troppo, aggiungete un poco di brodo. Usate questo sugo per condire pasta fresca come pappardelle, tagliatelle o pici. Ottimo anche con la normale pasta di grano duro (fusilli, conchiglioni, rigatoni, etc...). Servite con parmigiano.

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