ORIGINI, STORIA E LEGGENDE DEI DOLCI DELLA TRADIZIONE SALENTINA

ORIGINI, STORIA E LEGGENDE DEI DOLCI DELLA TRADIZIONE SALENTINA

INDICE

  1. Introduzione
  1. La cucina pugliese
  2. Tradizioni e leggende dei dolci salentini
  3. Bartolomeo Scappi e l’origine del pasticciotto leccese
  1. Conclusioni

  1. Introduzione

Dolce, dal latino dulcis, aggettivo che descrive un sapore temperato, soave e grato al gusto, che non ha dell’acido né dell’amaro, né del piccante, acerbo o salato.

Il sapore dolce, uno dei cinque gusti fondamentali, è apprezzato e riconosciuto sin dai primordi della storia. I dolci, infatti, erano realizzati sin dalla preistoria con ciò che si aveva a disposizione in natura, in particolare miele e frutta. 

Le focacce al miele e i pani votivi, già presso gli Egizi, erano simbolica offerta o invocazione di pace; realizzati dai Greci come offerta per gli dei e considerati un cibo di festa per i Romani.

L’evoluzione dell’arte dolciaria, dalla preistoria a oggi, ha portato alla nascita dell’odierna pasticceria. Quelli che oggi definiamo dolci sono preparazioni elaborate e differiscono molto dalle prime prelibatezze dolciarie di cui abbiamo notizie. 

La cucina pugliese sembra avere origini lontane e influenze rilevanti da parte di greci e romani ed è a oggi uno dei motivi che spinge i turisti a visitare la regione. 

Si dice che “quando un forestiero viene al sud, piange due volte, una quando arriva e l’altra quando va via”, non resta che preparare la valigia oppure iniziare a piangere! Faremo un salto nel tempo per comprendere come sia avvenuta questa evoluzione, per poi approfondire i dolci regionali pugliesi – in particolare salentini – alcune tradizioni e antiche leggende molto divertenti, per terminare con il dolce tipico leccese: “Il pasticciotto”, simbolo gastronomico della città di Lecce.

2. La cucina pugliese

Il territorio pugliese è privilegiato per la propria posizione geografica, bagnata dal mar Adriatico a est e nord e dal mar Ionio a sud. A questa deve la varietà di specialità marine ma non solo, il territorio offre distese di mandorli, olivi e vigneti. La materia prima della regione Puglia ha grande rilievo, sia per alimenti di terra sia di mare. 

È una cucina stagionale che da maggiore importanza a pesce e verdure durante il periodo estivo, preferendo nelle altre stagioni pasta fatta in casa, legumi e verdure. 

Nonostante ci siano dei piatti comuni, le ricette variano nelle varie province. 

Le ricette principali sono a base di pesce e frutti di mare, importante il grano duro, ingrediente principale per pane, pasta, pizza e calzoni ma anche le verdure di stagione come cime di rapa, cavoli verdi, peperoni, melanzane, cardi, carciofi e i legumi come fave, cicerchie, lenticchie e fagioli. 

Numerosi anche i formaggi da ricordare in particolare la mozzarella, la burrata, la stracciatella, il cacio ricotta, il caprino, la giuncata e la scamorza. 

La Puglia si pone tra i primi posti nella produzione nazionale di carne ovina, scarseggia invece quella bovina; di largo impiego sono la selvaggina, i volatili, il maiale e il coniglio selvatico. Grande importanza è anche attribuita alle erbe per insaporire i sughi e le carni. 

Presente sin dall’antichità è l’ulivo, la produzione di olio rappresenta oggi una grande riserva per la regione; l’olio, infatti, è considerato “l’oro della Puglia”. 

Un altro elemento che non manca mai sulle tavole è il vino, uno dei prodotti principali della regione, che ha radici antichissime; la vite pare fosse presente nel territorio della regione prima dei tempi della colonizzazione greca (VIII a.C.) tuttavia alcune varietà furono introdotte proprio dai greci come il Negroamaro e l’Uva d Troia così come il sistema di coltivazione della vite ad “alberello”. 

Certo è che la Puglia rientra a tutti gli effetti nel modello nutrizionale di quella che oggi definiamo “dieta mediterranea”.

2.1 Origine dei dolci pugliesi

La puglia costretta per secoli dalla sua posizione geografica ad un ruolo di periferia nel Mediterraneo, ha attraversato la storia ai margini della Magna Grecia, dell’impero Romano, all’ombra della potenza araba, normanna e sveva, e poi ancora nell’orbita del Regno di Napoli e delle Due Sicilie. Con il passare del tempo ha trovato una propria centralità nella funzione di “dispensa” di risorse per gran parte del sud.  

Nel XIII secolo sotto gli Svevi, la regione Puglia fu divisa in tre parti: Terra di Bari, Capitanata e Terra d’Otranto. La divisione in tre zone differenti è ancora visibile nella cucina regionale, con le sue varianti, anche dolciarie. 

La cucina pugliese è fondamentalmente costituita da una cucina povera, basata su ingredienti semplici legati alla tradizione contadina, così come i dolci, che sono realizzati con ingredienti semplici a base di zucchero, mandorle, miele, fichi secchi e mosto cotto. 

Le influenze di cultura gastronomica sono ancora vive nel presente della Puglia e le tradizioni dolciarie sono oggi connesse ad altre regioni meridionali come la Campania e la Sicilia. La gastronomia pugliese pare abbia subito influenze importanti da greci, in alcune zone del Salento è ancora oggi parlato il “griko”, bizantini, arabi, svevi, aragonesi e spagnoli; influenze ancora evidenti nell’attuale cucina regionale.

2.2 Dolci pugliesi delle feste

Sulle tavole pugliesi non mancano mai prelibatezze dolciarie, in particolare la domenica è l’occasione per gustare piccola pasticceria. È però in occasione delle feste che le tavole si arricchiscono di dolci, come le zeppole per la festa di San Giuseppe, gli agnellini di pasta di mandorla e le scarcelle per la Pasqua, gli occhi di Santa Lucia per la festa della Santa, le cartellate, i mostaccioli, le pittule, pesci di pasta di mandorla per il Natale e le chiacchiere per il carnevale. Altri dolci tipici pugliesi realizzati nelle varie zone sono i sasanelli gravinesi, la cotognata leccese, i bocconotti, i bastoni di S. Giuseppe, i dolci di pasta di mandorla, la cupeta, i sospiri di Trani e le sfogliatelle di Canosa, lo spumone salentino.

 3. Tradizioni e leggende dei dolci leccesi

I dolci tipici sono strettamente legati alle festività religiose come il Natale e la Pasqua. Esaminiamo nel dettaglio i dolci riguardanti le feste solenni per poi osservare quelli di uso comune nel Salento.

 3.1 Dolci natalizi

Le cartellate, dolce tipico natalizio, sono delle sfoglie a spirale guarnite con miele o vin cotto di fichi; devono il proprio nome alla consistenza croccante dell’impasto (dal termine “carta” o “cartoccio”). Questo dolce sembra essere erede della cultura greca come offerta votiva a Demetra, dea della terra, divenuto poi nel cristianesimo un gesto di devozione alla Madonna per rivocarne la buona riuscita dei raccolti. Alla tradizione cristiana risale anche la loro particolare forma poiché i bordi ricordano l’aureola di Gesù bambino, le fasce che lo avvolsero nella culla ed anche la corona di spine al momento della crocifissione.

I purceddhuzzi leccesi, dolci tipici natalizi, appartenenti alla tradizione contadina, hanno origine dall’antica Grecia (VIII e VI a.C.). A questo dolce sono da ricondurre due leggende.

La prima narra di una famiglia molto povera e numerosa, i cui figli avevano chiesto alla mamma di preparare un dolce per Natale. La mamma impastò tutti gli ingredienti a disposizione tra cui farina, uova, vino, qualche arancia e delle spezie, e iniziò a friggerli. Da allora, questi dolci sono preparati con formule diverse, immersi nel miele caldo, nel vino cotto o nel miele di fichi, da gustare in tutto il periodo natalizio. 

La seconda leggenda vuole che i contadini, in passato, avessero l’abitudine di regalare a Natale, al loro padrone, il porcellino più grasso in modo da ottenerne in cambio lodi e benedizione. Con il passare dei secoli, quest’usanza è cambiata e quel dono è stato modificato in un dolce a forma di maialino, da qui il termine “purceddhruzzo”. 

Pare che la preparazioni di questo dolce nel corso degli anni costituisse una sfida tra le massaie per aggiudicarsi il primato del dolce migliore.

Sono preparati con farina, lievito di birra, vino bianco, acqua e sale; in altri centri del Salento, non è utilizzato il lievito e, per impastarli, non si usano le uova ma succo di arancia, mandarino, limone e liquore di anice; insaporiti poi con cannella e chiodi di garofano. Dopo averli fritti, vengono amalgamati con miele e anesini.

I mustazzoli o mostaccioli leccesi sono dei biscotti speziati e glassati, appartenenti alla tradizione natalizia. Le loro origini risalgono all’antica Roma. 

Il termine “mostacciolo” pare non derivi dal latino mustum (mosto) come potrebbe presupporsi ma da mustace (alloro), il mustaceum era una focaccia dolce impastata con il mosto ma confezionata con foglie di alloro. 

La prima descrizione dei mustacei risale a Catone, nella sua opera “De Agri cultura” scrive:

Intridi un moggio di farina con il mosto, aggiungici anice, cumino, due libbre di grasso, una libbra di cacio e della corteccia di alloro, quando avrai impastato e dato la giusta forma, cuoci sopra foglie di lauro”. 

Bartolomeo Scappi scrive nella sua opera la ricetta definendoli “morselletti” alla milanese, la variante napoletana è solo menzionata definendo l’uso curioso di utilizzare i mostaccioli napoletani come addensante; Scappi infatti li utilizza “ridotti in polvere” in molte ricette. 

Dello stesso uso ne fa parola Vincenzo Corradi, nella sua opera “Il cuoco galante” (1773) riguardo una salsa “al agrodolce” egli scrive:

Nell’aceto di cannella, si facciano bollire alloro, corteccia di limon verde, zucchero, e spezie, e poi passato tutto per setaccio, si addenserà con polvere di mostacciolo; e condita la salsa di cedro, portogallo candito, e pistacchi triti, si serve per carne di lepre.” 

Una delle ricette più complete dei mostaccioli la dobbiamo a Ippolito Cavalcanti, che nella sua opera “Cucina teorico-pratica” (1839), scrive: 

Prendi una libbra di fior di farina, ed un’altra di zucchero grasso, una quarta d’oncia di ottima cannella polverizzata, un pochino di polvere di garofalo, due once di mandorle brustolite, ed un tantino di pepe; impasterai tutto bene con acqua fresca, riponendo questa pasta in un panno-lino, in dove la farai riposare per ore ventiquattro; di poi ne formerai tanti mostaccioletti, che farai cuocere al forno, facendoci dopo cotti il nastro, o di cannella, o cioccolata, e quindi li farai asciugare.”

Altro dolce tipico della tradizione pugliese è la pasta di mandorla, utilizzata per la preparazione di dolci a varie forme, in particolare di pesce per il Natale. La storia della ricetta salentina s’intreccia con quella siciliana, pare che l’origine sia da attribuire agli arabi che nel VI secolo preparavano alimenti con zucchero di canna, spezie e frutta secca, da qui sarebbe nata la ricetta “primordiale” poi esportata in Sicilia. La ricetta moderna pare invece che sia da ricondurre ai monaci e alle suore del convento palermitano della Martorana (XII sec), che preparavano dolci a base di acqua, zucchero e mandorle. 

Nel Salento la ricetta è stata utilizzata per lo più dalle monache benedettine, custodi dell’antica ricetta (XV sec). 

3.2 Dolci pasquali

Oltre a uova di cioccolato ormai diffuse in tutta Italia nel periodo pasquale, sia artigianali che industriali, nel Salento è possibile gustare durante le festività pasquali agnellini di pasta di mandorla e cuddhure o puddhiche.

La tradizione dell’agnello di pasta di mandorla lo vuole con un ripieno di faldacchiera, che simboleggia le interiora dell’agnello, tale ripieno è ancora più buono del corpo stesso. Per quanto concerne la faldacchiera è Vincenzo Corrado da Oria, cuoco, filosofo e letterato del 1700 che per primo ne descrive la preparazione, scrivendo delle “ova faldichere”:

 ”Freddate che saranno tre libbre di giulebbe a manuscristo, ci si metteranno trenta gialli d’uova, quali mescolati col giulebbe si faranno nello stesso stainato assodare al fuoco, aggiungendoci qualche goccia d’oglio di cannella, o pure essenza di cedrato. Dimenata bene, e freddata che sarà questa pasta, si ridurrà in tante pallette ragirate tra le mani con polvere di cipro: indi ad una ad una si tufferanno in un giulebbe denso, e cavati da esso s’involtono nello zucchero in grana”.

L’idea della faldacchiera nella pancia del pesce o dell’agnello pare che fu di Anna Fumarola, badessa del monastero di San Giovanni Evangelista di Lecce, negli anni tra il 1680 e il 1700. Era definito il “dolce dei signori” per la sua preziosità e rarità, era ed è ancora oggi preparato dalle suore del monastero sopra citato.

La Cuddhura o Cuddura deriva dal greco antico kollura, “pane pasquale”, termine utilizzato nella Grecìa Salentina e Puddhrica dal latino Polluceo “pane che si offre”, la ricetta è la stessa e sono realizzate in versione dolce e salata. Le particolarità sono la presenza di uova sode sempre in numero dispari e le varie forme in cui vengono realizzate come panieri, bamboline, stelle, campane, galletti, cuori o semplicemente a ciambella. 

Un solo uovo sulla bambolina era simbolo di fertilità e due sul galletto simbolo di virilità. 

Rientra tra le più antiche tradizioni del periodo Pasquale di tutto il Sud Italia, simbolo della rinascita e dell’abbondanza, si regalava in segno augurale per essere consumate dopo la fine del digiuno osservato per tutta la quaresima da carni, uova e formaggi.

Questo dolce era scambiato tra gli innamorati, si dice infatti che le ragazze erano solite offrire le puddhiche ai fidanzati il sabato santo, i quali ricambiavano offrendo il tipico dolce a fidanzate e suocere. 

Su “Un’antologia di scritti rari e poco noti dal 1853 al 1940” è riportato un simpatico rito antico di Terra d’Otranto tra futuri sposi:

“Il fidanzato (zzitu) nel giorno del parlamentu deve regalare alla fidanzata un oggetto di qualche valore, che essa ricambia  sempre con una camicia di tela piegolinata. Se fra il giorno della richiesta e quello del matrimonio cade la quaresima, lu zzitu, nella  Domenica delle Palme, offre alla promessa una palma benedetta,  finamente lavorata, dalla quale pende un nastrino di color vivace,  che reca agli estremi un anello d’oro. La zzita , nella Domenica  di Pasqua, ricambia il regalo con un pane ( puddhica ) contenente nè più nè meno di ventuno uova. Il pane viene quasi sempre portato in un cestino di paglia (quartuddhu).”

Il giorno del “parlamentu” era il fidanzamento, passo decisivo prima del matrimonio. Purtroppo non si hanno notizie sul perché del numero simbolico di ventuno uova; facendo una ricerca sulla numerologia, il ventuno è il prodotto di due numeri sacri, il numero sette e il numero tre, il ventuno è considerato il numero della perfezione ma anche della fedeltà, della fiducia e della lealtà, del coraggio, delle leggi e dei diritti civili. 

3.3 Altri dolci del salento

Un altro dolce molto importante per la tradizione pugliese è la cupeta, definita anche “croccante di mandorle”. Lo stesso, è composto di zucchero e mandorle, si può gustare durante le feste patronali di Lecce e provincia, nelle quali si potranno ammirare i maestri cupetari all’opera. Per quanto questo dolce possa sembrare semplice, essendo composto soltanto da mandorle e zucchero, in realtà la preparazione necessita di pazienza, braccia robuste, resistenza alla fatica e alle alte temperature. Le mandorle caramellate sono versate alla temperatura di 140° su un piano di marmo, il quale serve per lavorare bene il prodotto e farlo raffreddare in maniera graduale.

La cupeta era un torrone povero di origine araba; pare derivi dal termine “qubbayt” “conserva dolce”, arrivato in Italia sin dal X secolo. 

Gli ingredienti base erano le mandorle e il miele, sostituito in seguito dallo zucchero.

Una leggenda salentina vorrebbe attribuire a questo particolare dolce una rilevanza amorosa, infatti per anni fu il dolce che “lu zitu” (il fidanzato) donava alla zita, fino a quando, negli anni ’60 non subentrarono i cuori di pasta frolla.

Molto rinomata in Puglia è la cotognata leccese, una composta simile ad una marmellata solida, realizzata con mele cotogne e zucchero. Il frutto è conosciuto sin dalla mitologia greca; la mela cotogna era considerata un simbolo di fecondità e amore, ed era consacrata alla dea Afrodite. 

L’origine della sua preparazione pare che sia da attribuire alle cucine sefardite, cioè degli ebrei abitanti la Penisola Iberica, influenzata dalla cucina mediorientale; non a caso, la cotognata è preparata anche oggi in Grecia, Turchia e Israele. 

Le sue origini possono ricondursi alla Spagna, dove è definita “dulce de membrillo” o semplicemente “membrillo”, che significa mela cotogna; diffusa oggi in Italia (Puglia, Sicilia ed Abruzzo), in Portogallo e nei paesi del Sud America.

Ultimo, ma non per importanza, è lo spumone. E’ un gelato stratificato a forma di cupola, con un cuore morbido di pan di spagna affogato in un alcolico, caratterizzato da vari strati di gelato alla nocciola, al pistacchio, al cioccolato e alla stracciatella. Pare che lo spumone abbia origini napoletane ma che nel tempo sia stato dimenticato nella città partenopea e invece celebrato in Puglia, in cui è divenuto un vero e proprio simbolo della regione.

  1. Bartolomeo Scappi e l’origine del pasticciotto leccese

Il simbolo gastronomico per eccellenza del Salento è il “pasticciotto leccese”. 

A volerlo descrivere è “un’esplosione di crema pasticcera in un forziere di pasta frolla”.

Questo dolce si presenta come un tortino ovale profumato, composto da pasta frolla realizzata con lo strutto e con un goloso ripieno di crema pasticcera; solitamente si gusta caldo, appena sfornato, per colazione.

Alcuni credono che l’origine sia da ricondurre nel 1745 a Nicola Ascalone, proprietario della pasticceria Ascalone (a Galatina, in provincia di Lecce). Il pasticcere, essendo in difficoltà economiche, durante la festa patronale di San Paolo, realizzò un impasto semplice e farcito con crema, con gli ingredienti a disposizione, e lo infornò in piccoli stampi di rame. Questi dolci piacquero così tanto da diventare un vero successo, tanto da richiamare visitatori da tutta la provincia. La famiglia Ascalone è arrivata oggi all’undicesima generazione, la pasticceria presente ancora oggi a Galatina, è considerata una delle migliori pasticcerie del Salento. 

Molto simili al pasticciotto sono i fruttoni, con farcitura di pasta di mandorla e amarene, glassati con cioccolato e i bocconotti farciti con marmellate.

Nonostante questa leggenda sia accreditata, pare che la vera origine del pasticciotto risalga ad un tempo molto più lontano. 

La prima fonte documentale dell’esistenza del pasticciotto risale ad un atto notarile del 1707, corservato nell’archivio della curia vescovile di Nardò, che ricorda l’inventario redatto in occasione della morte del vescovo Orazio Fortunato. 

Nel testo compaiono “barchiglie di rame da far pasticciotto numero otto”. 

Studi recenti hanno messo in relazione il pasticciotto con il ricettario di Bartolomeo Scappi del 1570. Sembra che egli, cuoco segreto di papa Pio V, parli del modo “per fare pasticci in modi diversi di composizione di crema” nel quinto libro della sua Opera “L’arte et prudenza d’un maestro cuoco”, in cui afferma:

la crema è uocabolo francese,et è fatta di fior di farina, latte et oua, per tanto piglisi una foglietta di latte di capra, o di uacca fresco, e si mescoli con quattro oncie di zuccaro, quattro oncie di butiro fresco, et un poco di acqua rosa, sale a bastanza, si metta al fuoco dentro nella cazzuola, et come comincia a bollire habbisi un’altra mezza foglietta di latte con oncie quattro di fior di farina, et sei oua battute, ogni cosa si mescoli insieme con essa farina, buttisi nella cazzuola, mescolando sino a tanto che pigli corpo, poi cauisi, pongasi in un setaccio chiaro, et lascili scolare, et rimettasi in un uaso di terra, o di rame stagnato, con un poco più zuccaro, et acqua rosa, et se si gli uorrà gingere rossi d’oua crudi, sarà in arbitrio. Habbiasi apparecchiata la cassetta del pasticcio sfogliata, non sfogliata, s’empia d’essa copositione, facciasi cuocere al forno, et si serva caldo. D’essa copositione se ne puo fare tutti quei lauorieri, che si fan del biancomagnare, et se ne può empire corone Imperiali, e Reali, hauendo poco prima cotto le corone nel forno, et esse corone s’empiano piu bellezza de couiti, che altro, et piene che sono, se gli da una caldetta in forno, si feruono calde, fredde e beneplacito con zuccaro sopra, anchora d’essa compositione se ne può empire diuerse armi tirate a mano, altre armi fatte a forma”.

Il termine “pasticciotto”, da “pasticcio in cassa” oppure “cassetta del pasticcio”, deriverebbe dal greco “paste” (farina mista a liquido) e dal latino pasticium (pasticcio). La notorietà in terra salentina ha fatto in modo che il pasticciotto rientrasse tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) della Puglia, in particolare della città di Lecce. L’evoluzione del pasticciotto ha portato alla nascita di varie tipologie di gusti, tra cui il famoso pasticciotto Obama, realizzato con pasta frolla al cacao e crema al cioccolato in onore dell’ex presidente Barack Obama.

5. Conclusioni

L’uomo utilizza sin dai primordi della storia ciò che la natura mette a disposizione, utilizzando quindi i prodotti semplici che offre la terra. 

Della cucina pugliese e in particolare della preparazione dei dolci risalta l’utilizzo di alimenti poveri. I dolci delle feste, come le cartellate e i purceddhuzzi, sono, infatti, realizzati senza uova e burro ma solo con agrumi, farina e olio, senza l’utilizzo di zucchero e dolcificati con il miele, primo dolcificante naturale utilizzato nella preparazione dei dolci. Osservando l’evoluzione dalla preistoria a oggi dell’arte dolciaria, notiamo le similitudini tra i dolci della tradizione salentina ed i dolci più antichi, per esempio i dolci fritti sono tra i più antichi, se ne ritrovano già nell’antico Egitto – e l’uso dello strutto nei pasticciotti anziché il burro. Questa preparazione porta indietro nel tempo, il burro, infatti, sarà utilizzato in cucina soltanto durante la fine del medioevo. Occorre ringraziare gli ordini monastici, custodi delle antiche ricette se oggi conosciamo i dolci della tradizione, partendo dall’arte dolciaria della Clarisse di Altamura e dalle loro celebri rosate, possiamo ricordare in Puglia le ostie ripiene delle Clarisse di Monte Sant’Angelo nel foggiano; i croccantini delle Domenicane di Gravina, i bocconotti delle Benedettine di Santa Maria delle Vergini di Bitonto, i sospiri delle Clarisse di Bisceglie, le lacrime di Sant’Anna delle Clarisse di Terlizzi. Nel Salento, le consolazioni delle Benedettine di Brindisi e le scarpette delle Benedettine di Oria; le morfettate e le bocche di dama delle Benedettine di San Giovanni Evangelista a Lecce; la pasta reale e i biscotti al vincotto delle Clarisse di Grottaglie. 

Facendo un excursus sui dolci della tradizione pugliese, notiamo che si cerca di fare tradizione propria ciò che le generazioni tramandano, inconsapevoli forse di fare tradizione che arriva da tempi e culture molto lontane dalla nostra, per di più appropriandosene e dandone sfoggio. Se chiedessimo alle nostre nonne l’origine dei dolci più comuni, come quelli delle feste, ci risponderebbero che sono tramandati di generazione in generazione. Effettivamente questo è vero, perché loro avranno ottenuto le ricette dalle loro nonne, ma non penserebbero mai che arrivino da tempi e luoghi ancora più lontani; crederebbero sicuramente che i dolci della tradizione pugliese siano stati inventati in Puglia. È ancora più impensabile per un salentino che il “pasticciotto” non abbia origini salentine o che magari sia stato copiato da parte di un salentino da una ricetta di Bartolomeo Scappi: per noi salentini, è il famoso Ascalone ad aver “inventato” tale bonta! 

Ci chiediamo quindi cosa spinga a provare una ricetta e farla propria, creando il dolce tipico della regione e ancora in cosa consista la tradizione. 

Per tradizione intendiamo il complesso di memorie, notizie e testimonianze trasmesse da una generazione all’altra; fin qui non possiamo dare torto alle nostre nonne: i dolci vengono realizzati così come ci sono stati tramandati. Invece, perché il pasticciotto salentino è salentino e non romano? Se Bartolomeo Scappi lo scrisse nel suo ricettario, perché la ricetta ebbe successo in Puglia e non in un’altra regione? A questa domanda probabilmente non si può rispondere, ciò che sappiamo per certo è che sicuramente il pasticciotto è un dolce semplice, povero, composto da ingredienti genuini che esprimono legami con il territorio. 

Concludo con una frase dello scrittore contemporaneo Alessandro D’Avenia “Ogni dolce ha la sua storia: la persona per cui lo prepari, i sentimenti che provi mentre lo prepari… ogni cosa entra nelle mani e mentre impasti pensi con le mani, ami con le mani e crei con le mani”, e questo i pugliesi lo sanno fare veramente bene!

Bibliografia

BARTOLOMEO SCAPPI, Opera di M. Bartolomeo Scappi, cuoco secreto di Papa Pio V. Divisa in sei libri. Venezia, Michele Tramezzino Editore, 1570

VINCENZO CORRADO, Il credenziere di buon gusto, Napoli, S. Giordano, 1820

ROSARIO JURLARO, Riti nuziali: usi e costumi di Puglia, antologia di scritti rari e poco noti dal 1853 al 1940, Manduria, P.Lacaita,1984 

LUIGI CREMONA, L’italia dei dolci, Milano, Touring Editore, 2004

PAOLO FICHERA, I dolci delle feste, Milano, Touring Editore, 2004

DANIELA GUAITI, Puglia-La grande cucina regionale italiana, Milano, Gribaudo, 2010

PEPPINO MANZI, Puglia – La cucina costiera del mediterraneo, Cluny Edizioni,  Cluny 2013

SADRA IANNI, Alla corte di Isabella de’ Medici Orsini. Racconti e ricette, Tricase (Le), Youcanprint, 2018

Sitografia

https://www.foodscovery.it
https://www.puglia.com
https://www.taccuinistorici.it
https://www.romanoimpero.com
https://www.laterradipuglia.it
https://www.quisalento.it
https://www.frasicelebri.it

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