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Il frigorifero e la gestione degli impasti 

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Doverosa premessa: questo articolo è dedicato a chi ha già un minimo di pratica di impasti, ovvero a chi già è piuttosto avvezzo all’uso di pasta madre, e legge su ricette e/o sente dire che può essere utile inserire l’impasto in frigorifero in certi momenti della lavorazione. Poiché leggo che spesso vengono date informazioni sbagliate, ho pensato, con il presente, di chiarire i dubbi e fornirvi le indicazioni su come uso il frigo quando preparo il pane o altri impasti in casa. I risultati ottenuti sono buoni e raramente ho avuto problemi di scarsa ed eccessiva lievitazione, per cui, eccovi qua, giudicate voi se la mia esperienza vi può aiutare. Raramente uso farine di tipo 0 nei miei impasti, metto sempre almeno metà farina di tipo 1 o ancora percentuali più elevate di semintegrali o integrali, e utilizzando sapientemente il frigo vedrete che anche voi potrete ottenere un pane così:

Il frigorifero e la gestione degli impasti
Un pane semintegrale

Più volte durante i nostri laboratori viene chiesto se e come si può usare il frigo per aiutarsi nella gestione del tempo in un impasto: questo procedimento rende il prodotto finito assai più aromatico, più buono, meglio lievitato, alveolato, leggero, e soprattutto ci aiuta se lavoriamo, o comunque non possiamo seguire l’impasto per tutto il tempo necessario controllandolo visivamente. Per quanto le mie indicazioni potranno esservi utili, consiglio comunque vivamente di fare tentativi, provare, riprovare cambiando via via qualcosina fino a trovare la soluzione ottimale per voi. Poiché in una ricetta il procedimento cambia poco il risultato finale, è la tecnica che conta, l’obiettivo a mio avviso è quello di fare “vostro” il procedimento e “vostri” i tempi, esserne padroni potendo quindi applicarli a qualsiasi ricetta che a quel punto farà solo da guida: insomma, affidatevi alla sensazione che vi dà l’impasto, imparate a percepire le bollicine che si schiacciano mentre lo stendete per dargli la forma, fategli le foto con il cellulare per verificarne il raddoppio… imparate ad essere autonomi se la ricetta che leggete non vi convince del tutto. E ricordate che l’impasto deve sempre, assolutamente RADDOPPIARE nella prima fase dopo l’impasto e prima della forma.
Nota bene: quanto scritto NON VALE per gli impasti con lievito di birra, perché i saccaromiceti non vengono inibiti dal freddo tanto quanto i batteri lattici che invece rappresentano la maggior parte dei microrganismi che popolano il lievito madre.

Addentrarsi in un argomento come questo è come introdursi in un campo minato. L’uso del frigo come già detto lo trovo utilissimo, perché consente di gestire il tempo e la temperatura ambiente evitando super lievitazioni. A volte faccio uso di questo fantastico elettrodomestico invadendolo con i miei impasti per giorni in maniera del tutto sconsiderata (leggi qui, talvolta ho davvero esagerato!!!) , ma il risultato è comunque premiante, soprattutto per chi è curioso ed ha voglia di sperimentare.

Entriamo nel vivo dell’argomento: il frigo è utile perché il freddo rallenta moltissimo l’attività dei batteri lattici e degli enzimi. Ci consente quindi di mettere relativamente “in pausa” la lievitazione e la maturazione dell’impasto, e se consideriamo bene alcuni fattori ciò ci può essere molto utile per la gestione del tempo, come detto sopra.
Per comprendere come, elenchiamo prima le varie fasi in cui possiamo inserire delle ore di freddo, e successivamente come intervenire per essere sicuri di avere un buon risultato (e capire perché ciò avviene). Fondamentale precisare che il frigorifero deve essere mantenuto ad una temperatura di 4 gradi: più freddo ghiaccia tutto, più caldo conserva male con rischi per la salute. Interessante questo articolo ed anche quest’altro in proposito.

Il frigorifero e la gestione degli impasti
Apertura della crosta in cottura

QUANDO METTERE L’IMPASTO IN FRIGORIFERO:
Assunto che le fasi di un impasto di pane sono le seguenti: eventuale prefermento o biga, eventuale autolisi, impasto, pieghe, puntatura (alias prima lievitazione o maturazione), formatura, lievitazione, cottura, il frigo io lo inserisco generalmente dopo un’ora di puntatura e se necessario un’ora dopo la formatura, talvolta omettendo (solo nel caso del pane) la lievitazione e cuocendo direttamente dal frigo.

Cominciamo da fermento liquido (o polish) o solido (biga) dicendo che la differenza sostanziale tra i due è che il primo è idratato al 100% (pari peso di acqua e farina)  mentre la biga standard è idratata al 45%. Il polish si prepara rinfrescando il lievito in rapporto di una parte di lievito (generalmente 20gr) e 5 parti di acqua ed altrettante di farina (quindi 100gr + 100gr), in pratica è un rinfresco 1:5, e si lascia 12 ore a temperatura 24-25 gradi finché la superficie non si riempie di bollicine e inizia a incurvarsi verso l’interno, cedendo. La biga invece si prepara mescolando grossolanamente in rapporto di 1:3 (una parte di lievito, 3 di farina e 1,5 di acqua) e va mantenuta a 16 gradi per 18 ore.
Il fermento è utile nel caso in cui si voglia utilizzare per l’impasto una farina diversa da quella con cui mantengo il lievito: se voglio fare un pane di farro, faccio un fermento con 20gr di lievito di grano tenero, in modo che l’incidenza nell’impasto finale sarà davvero irrisoria.
La biga può essere corta o lunga: la prima impiega 16 ore a temp. ambiente, la seconda fino a 48 ore, metà in frigo e metà a temp. ambiente, e si fa sempre con farina FORTE. Viene impiegata principalmente con lievito di birra, a mio avviso con pasta madre non ha senso per quanto viene utilizzata da diversi blogger.
Maggiori approfondimenti sulla biga qui.

L’autolisi è un processo che, secondo il maestro Piergiorgio Giorilli che ricalca gli studi di Calvel, prevede l’aggiunta di acqua in misura pari al 55% della farina con un veloce impasto (5 minuti): l’aggiunta di acqua avvia i processi enzimatici e predispone alla preparazione del glutine. Poiché può aiutare ad impastare farine “difficili”, molto forti o sbilanciate (farine tecniche, semola) a seconda della tenacia della farina stessa può andare dai 20 minuti  a 24 ore: oltre le 6 ore è consigliabile di tenerla in frigo specie con temp. ambiente elevate per non far partire la fermentazione. A tal fine è utile anche inserire nel composto autolitico il sale previsto per tutta la ricetta.
Maggiori approfondimenti sull’autolisi ci vengono dal Maestro e si possono leggere qui. In realtà poiché l’autolisi anticipa la maturazione dell’impasto e quindi la produzione del glutine, con farine integrali non è opportuno praticarla  in quanto specialmente se utilizziamo basse quantità di lievito, il punto del raddoppio potrebbe arrivare quando il glutine inizia il processo di proteolisi, sciogliendo letteralmente la maglia e riemettendo l’acqua precedentemente assorbita.

Puntatura, o maturazione:
impropriamente detta “prima lievitazione”, tale fase consiste nel far riposare l’impasto un tempo variabile, all’aria sul piano di lavoro tra una piega e l’altra se è molto idratato, sul piano di lavoro sempre tra una piega e l’altra coperto da una ciotola, o dopo le pieghe (o subito, se le pieghe non sono previste) inserito in un contenitore possibilmente alto e stretto (in modo che come dice il nome, esso “punti” sulle pareti sollevandosi). Quando aggiungiamo acqua alla farina, avviamo fra i vari processi chimici l’amilolisi, ovvero attiviamo gli enzimi che trasformano gli amidi in zuccheri, pronti quindi per divenire nutrimento dei batteri lattici, che produrranno i gas di fermentazione che, trattenuti dalla maglia glutinica, faranno crescere l’impasto. Nella fase immediatamente successiva all’aggiunta dell’acqua si avvia questo processo che prepara il nutrimento al lievito, che successivamente porterà il nostro impasto a gonfiarsi correttamente in cottura. Durante maturazione e lievitazione, circa il 66% degli amidi vengono trasformati in zuccheri.  Ora, poiché sappiamo che a 4 gradi di temperatura i batteri lattici contenuti nella pasta madre sospendono la loro attività, se inseriamo un impasto in frigorifero consentiremo ai processi di trasformazione di proseguire, ma non al lievito di agire. Risultato: appena tornati ad una temperatura a loro più consona, i batteri si “risveglieranno” dal letargo e si troveranno a disposizione moltissimo nutrimento, facendo aumentare di volume il nostro impasto molto più in fretta. Quindi, purché teniamo il frigo a 4 gradi, possiamo lasciarvi l’impasto fermo anche un paio di giorni (vedere in proposito le spiegazioni al punto “farina”) ed avere un prodotto molto più digeribile (gli amidi non trasformati sono gli stessi che ci lasciano lo stomaco pesante e una terribile sete quando mangiamo in pizzeria una pizza non ben preparata: continuano a chiedere acqua per essere trasformati in zuccheri, quindi digeriti).
Maggiori informazioni qui.
AGGIORNAMENTO: recentissimi studi, tradotti e diffusi dal noto tecnologo Gabriele “Ramirez” Raimondi, hanno potuto appurare che la maturazione in frigo non prosegue ma si arresta. Questo viene sicuramente avvalorato da una perfetta continuità della catena del freddo, difficilmente replicabile in casa dove il frigo non è alla temperatura fissa di 4 gradi o meno,  ma viene spesso aperto e quindi gli impasti sottoposti a continui seppur lievi sbalzi, e bisogna considerare anche il tempo necessario alla massa per scendere dalla temperatura ambiente alla temperatura refrigerata (maggiore sarà quanto maggiore sarà il volume dell’impasto: le palline per pizza per intenderci, ovviamente fredderanno prima ma se lasciamo aperte e non chiuse in un contenitore sarà più facile che risentano delle continue aperture dello sportello del frigo). Da tale studio si rileverebbe che tramite l’abbattimento in un impasto portato velocemente a 4 gradi si fermano all’istante sia la maturazione che la lievitazione. Solamente l’uso di pochissima pasta madre, quindi, ci consente di ottenere una corretta maturazione ampliando il gap temporale con la lievitazione. La % di pasta madre dovrebbe essere tanto bassa quanto più forte è la farina che utilizziamo. Se invece pratichiamo autolisi, la % di lievito dovrà essere più elevata.

Lievitazione:
Altrettanto, dopo aver formato il mio pane (o altro impasto) posso rallentare il progredire della lievitazione utilizzando ancora una volta il frigo, ma con un nuovo accorgimento: dato che il tempo necessario alla (seconda) lievitazione è circa la metà rispetto a quello della puntatura (o prima lievitazione), dovrò fare attenzione ad un uso sconsiderato del frigorifero in quanto l’impasto oramai ben maturo rischierà di andare “fuori lievitazione” se il frigo non è alla prevista temperatura di 4 gradi, oppure in eccessiva “proteolisi”. La proteolisi è il secondo processo che ci interessa ed avviene con l’aggiunta di acqua alla farina: le proteine vengono scisse, e formano il glutine. Se il tempo supera il limite fisico per la farina impiegata, si verifica il ciclo inverso ed avviene la degradazione della maglia glutinica. Anche qui entrano in gioco diversi fattori, tra cui il tipo di farina utilizzata, ma comunque io per questa seconda fase non prevedo mai più di 12 ore di freddo.

Cottura frigo-forno:
se un impasto è stato correttamente lavorato ed ha ben maturato e raddoppiato nella prima fase, possiamo cuocerlo direttamente senza toglierlo dal frigo in anticipo: accendiamo il forno, al momento di infornare tiriamo fuori e mettiamo in teglia. Esso crescerà ugualmente.

Il frigorifero e la gestione degli impasti
Il “cappello” che si apre in cottura dà enormi soddisfazioni

FATTORI CHE VANNO CONSIDERATI QUANDO SI USA IL FRIGO:
Ora, una volta descritte le varie fasi e come utilizzare il frigo, per capire come possiamo condizionare certi processi dobbiamo considerare vari fattori tra essi correlati:

  1. la percentuale di lievito rispetto al peso della farina;
  2. il tipo di impasto (la sua complessità);
  3. la temperatura ambiente in relazione alla quantità dell’impasto;
  4. la temperatura del frigorifero;
  5. la farina utilizzata;
  6. l’idratazione.

1. La percentuale di lievito rispetto al peso della farina:
Sembra logico: più lievito metto, e prima il mio impasto lievita. Di solito nei miei impasti metto non più del 10% di lievito (in estate anche il 5-7%), e fino al 15% in caso di impasti molto ricchi in grassi e/o zucchero. Il problema è che se metto troppo lievito rispetto al peso della farina, il lievito non avrà abbastanza nutrimento, in sostanza è come se stessi facendo un rinfresco, quindi il mio impasto crescerà poco. Quindi, se metto il 15% di lievito il mio impasto una volta tirato fuori dal frigo impiegherà meno tempo di un impasto con il 10% di lievito.

2. Più zuccheri grassi e uova ci sono nell’impasto, più tempo impiegherà per lievitare, sia fuori che dentro il frigo. Importante considerare che il freddo è necessario per impasti ricchi di burro (per poterli poi lavorare più facilmente, vedi i panettoni), e di uova (considerate il rischio di tenere un impasto ricco di uova 12 ore a temperatura ambiente, se fa caldo). Quindi, mettere poco lievito e costringere l’impasto a temperature elevate per più tempo può causare inacidimento, non tanto per effetto del lievito quanto degli altri ingredienti contenuti nell’impasto. In questo caso il frigo può essere un aiuto, ma non è fondamentale.

3. Se la ciotola che sto per mettere in frigo proviene da 26 gradi perché era al calduccio nel forno spento con la lucina accesa, e contiene tre kg di impasto, ci metterà diverso tempo prima di arrivare a 4 gradi una volta messa in frigo: dovrò quindi considerare che tanta più è la quantità e tanto più ci metterà a freddarsi, ovvero a scaldarsi una volta tirata fuori.

4. La temperatura del frigo deve obbligatoriamente essere a 4 gradi, poi al suo interno avrò zone più calde e zone più fredde: mettiamo il nostro impasto nella zona più fredda per bloccare correttamente l’attività del lievito. Può anche condizionare il fatto che il frigo venga aperto spesso durante il giorno, peggio ancora se fa caldo: solo di notte quando nessuno (salvo i sonnambuli) mi apre il frigo, posso esser certa che i 4 gradi verranno mantenuti per tutto il tempo.

5. La farina: come detto, quando aggiungo acqua alla farina attivo processi chimici. Tanto più tale stato di umidità permane, tanto più la farina deve essere adeguatamente forte per non degradarsi, ovvero avere una struttura proteica che consenta la formazione di buon glutine. La forza della farina si indica in W. Questo dato è generalmente presente sulle schede tecniche che si trovano in rete sui siti dei mulini produttori, e gli stessi mulini sono ben disponibili a fornire tale dato se gli si telefona o gli si chiede per mail.
Leggete questo articolo del buon Bressanini se volete approfondire.
Utilizzare un impasto non ben maturato mi darà un prodotto umido e gommoso dopo la cottura (tipo la pizza cattiva della pizzeria di cui sopra).
Qualcuno può dire che in questo modo la preparazione del pane impiega troppo tempo, ma è anche vero che se il mio impasto occupa un angolo del frigo non è che devo stargli dietro: sta lì… L’importante è verificare ogni giorno che non sia cresciuto, perché se si dovesse muovere superando 1,5 volte allora vuol dire che è giunto il momento di tirarlo fuori, lasciarlo raddoppiare e procedere con la preparazione finale (forma, lievitazione, cottura).

6. Idratazione: impasti contenenti una percentuale maggiore di liquidi maturano prima delle ore previste a causa di una maggiore umidità al loro interno che stimola di più il processo metabolico del lievito. Motivo per cui impasti con lievito liquido sono più “rapidi” rispetto ad impasti con pasta madre solida.

Il frigorifero e la gestione degli impasti
Esplosione in forno

ALTERNATIVE AL FRIGORIFERO:
In alternativa al frigo, per temperature intermedie e/o in caso frigorifero pieno, abbiamo: il balcone, ovviamente nella stagione fredda; la cantinetta dei vini (coinquilini permettendo!); in caso di caldo torrido, per ottenere una temperatura controllata intorno ai 20 gradi, può essere utile mettere la ciotola nel lavandino pieno d’acqua.

Il frigorifero e la gestione degli impasti
Un originale taglio a stella che aiuta l’espansione in cottura

CONCLUSIONI:
Detto ciò, mi auguro che abbiate più chiara la visione delle cose. Come già detto, l’unico modo per mettere alla prova ciò che ho scritto è provare, provare, riprovare cambiando volta per volta piccole cose, considerando bene i fattori che ho elencato nella seconda parte dell’articolo,  che opportunamente dosati possono modificare il risultato finale. E poi fatemi sapere, fatemi tutte le domande che volete, e condividete qui sotto le vostre esperienze, chissà che non possa scoprire qualcosa di nuovo anch’io!

Il frigorifero e la gestione degli impasti
La spaccatura della crosta, segno di ottima preparazione tecnica e di corretta lievitazione.

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13 Risposte a “Il frigorifero e la gestione degli impasti ”

  1. Ciao ho letto con entusiasmo le cose che hai scritto per chiarire un po’ di dubbi, ma uno mi è rimasto! Ho preparato ieri pomeriggio/sera un impasto con farina di segale, farina multicereali e farina manitoba integrale, ho effettuato l’autolisi per circa mezz’ora, poi ho aggiunto il lievito il sale un po’ d’olio e ho impastato, fatto riposare per un’ora e poi fatto le pieghe, per tre volte intervallate ogni mezz’ora, dopodiché ho messo in frigo.
    Torneró a casa oggi pomeriggio dopo il lavoro, una volta tolto il pane dal frigo devo lasciarlo riposare e lievitare per quanto tempo prima di cuocerlo?
    la scorsa volta l’ho subito cotto ed è rimasto basso duro e colloso.
    Grazie per l’aiuto

    1. Ciao, certo, ti è mancata la lievitazione…. dopo il frigo deve raddoppiare, poi fai la forma e aspetti di nuovo che raggiunga una volta e mezza il volume iniziale, dopodiché cuoci.

    1. Assolutamente no, stasera avrà forse raddoppiato…. formi, dopo due ore metti in frigo e a questo punto domattina cuoci frigo-forno

      1. il problema è che vado al lavoro domani mattina, se cuocio domani sera passa troppo tempo?
        scusa ma non sono ancora pratica.

  2. No, a mano che tu non abbia messo metà manitoba, le farine sono troppo deboli, soprattutto la segale, 24 ore di frigo sono troppe. Cuoci domattina appena ti svegli!

    1. Ho messo 340 gr di farina di segale, 70 gr di farina ai cereali e 70 gr di manitoba integrale.
      Per la cottura forno statico 220gradi con pentolino d’acqua per i primi 20 minuti o meglio senza?

      1. Accidenti meno frigo fai e meglio è…. forse allora ti conviene metterlo al caldo appena puoi, in forma appena raddoppiato sempre al caldo e poi cuocere stasera stessa.
        Questo perché la segale ha una notevole attività fermentativa.
        Usa senz’altro il vapore.

  3. ok allora appena arrivo a casa lo tolgo dal frigo, potrei metterlo nel forno spento ma con la luce accesa così da tenerlo al caldo!

      1. Ciao! Purtroppo l’impasto non ha lievitato e non ho potuto cuocerlo, inoltre aveva un forte odore di fermentato, di alcool, mi sa che la prossima volta evito proprio di metterlo in frigo.
        Grazie

        1. Mmm temo che invece avesse già lievitato troppo. Verifica la temperatura del frigo, deve essere a 4 gradi…. misurala con un termometro

        2. La prossima volta evita anche l’autolisi, non fa altro che accelerare ulteriormente la maturazione dell’impasto.

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