La caffetteria dei desideri

Novella di Daniela Perelli, trama: Sara ha ereditato l’antica caffetteria della nonna: la gestisce con amore e devozione e, per di più, un pizzico di magia. Sì, perché Sara ha la capacita di capire le persone, di leggerle dentro e aiutarle dai caffè che loro ordinano e, se sono indecisi, sa trovare la scelta giusta per loro. Un giorno come un altro, nella sua caffetteria entra un nuovo cliente, all’apparenza triste e pensieroso… Saprà, Sara, come aiutarlo?

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Il caffè unisce le persone, permette di passare bei momenti.

Quando si è seduti di fronte a una bella tazza di caffè, tutto quel che ci circonda, tutto quello che ha determinato la nostra giornata, come la stanchezza, i pensieri spesso negativi, si allontanano.

Ho sempre fatto caso a queste piccolezze, che fanno davvero la differenza.

Da dietro il bancone della caffetteria dei desidèri, la mia caffetteria in una via trafficata di Milano che ho ereditato da nonna Lina, e che cerco di mandare avanti con orgoglio, sperando sempre che lei mi guardi da lassù e di non deluderla.

La signora Loretta, come è solita fare, è seduta al tavolo che affianca la vetrina che si affaccia sulla strada. Ogni giorno ordina la sua tazza grande di caffè alla nocciola con doppia dose di panna, decorata per di più con granelle di zucchero colorate.

Il signor Nemo, cliente abituale da tempo immemore, assapora il suo goloso caffè: lungo ma in tazza piccola, con aggiunta di una goccia di rum. Niente zucchero, altrimenti toglie l’aroma delizioso!, afferma ogni giorno. Che poi sono anche d’accordo, non si assaporerebbe il gusto appieno.

Oh, scusate, che sbadata, non mi sono ancora presentata, vero? Mi chiamo Sara e sono una un po’ impacciata e occhialuta trentenne, che porta sempre e rigorosamente i capelli raccolti in una coda elegante. Che poi con le mie camicette e il papillon non sta per nulla male. Papillon ogni giorno di colori differenti, in base all’umore, perfetti per lo stile vintage della mia piccola caffetteria che ricorda quelle inglesi negli anni ’50.

E per non farmi mancare nulla, l’angolino che era sempre stato un po’ spoglio, adesso è stato occupato da uno scaffale che espone una bella collezione di tazzine antiche e alcuni ricettari contenenti storie sui diversi tipi di caffè di tutto il mondo. Cose così, diciamo.

Ma di cosa stavo parlando prima di cominciare a vaneggiare? Ah, sì, che sbadata, mi stavo presentando: Mi chiamo Sara Bianchini e dopo il diploma alla scuola alberghiera ho affiancato la nonna nella gestione della caffetteria, fino a che non è mancata due anni fa. Per me è stata come una mamma e come un papà.

Come quei genitori che non ho mai avuto, sempre presi purtroppo più da loro stessi. Diciamo che ora i rapporti sono abbastanza tranquilli: loro vivono in Germania, io qui in Italia. Direi che più tranquilli di così non si può!

A ridestarmi dalle mie elucubrazioni mentali, un gruppo di studenti che, come fanno ogni giorno prima di entrare a scuola, vengono qui per scaldarsi un po’ da un gelido novembre con un bel cappuccino e una spolverata di cacao.

Che bello osservarli: nei loro occhi brillanti, la meraviglia di un futuro che li attende ma anche quella spensieratezza che li avvolge completamente mentre felici e coinvolti dai loro chiacchiericci si gustano il loro cappuccino.

Un’altra giornata, insomma, di un inizio settimana, in cui i miei clienti abituali non mi fanno sentire mai sola e in cui li aiuto a cominciare al meglio con qualche fetta di torta o biscotti per accompagnare il loro caffè.

Ogni giorno vedo quasi sempre gli stessi visi, qualche volta si aggiunge un nuovo cliente, che poi di solito torna. Questi pensieri mi accompagnano tra la preparazione di un caffè e un altro, mentre mi divido tra il banco e i tavoli.

Per poi sistemare le tazze nella lavastoviglie quando vedo che la folla si è calmata e tutti sono seduti a gustare la loro bevanda calda. Praticamente i soliti rituali, quelle piccole ma importanti certezze che impegnano le mie giornate lavorative.

Mentre sono ancora dietro al banco a riordinare, sento il campanellino della porta a vetri d’ingresso trillare. Mi giro per salutare uno dei miei soliti clienti ma mi accorgo subito che no, si tratta di un nuovo signore.

Un uomo, sarà circa sulla quarantina, avvolto da un elegante cappotto lungo fino alle ginocchia e che tiene in mano la sua rigorosa valigetta ventiquattrore.

Ha quello sguardo di chi sa sempre cosa fare, anche se sembra un po’ stanco e cupo.

Gli occhi grandi e neri incorniciati da fitte sopracciglia.

Labbra bellissime e carnose ma che non sembrano portate ad accennare sorrisi. Naso lievemente storto e un po’ importante che si sposa benissimo con il suo viso mascolino. Ma, praticamente…

Ho fatto i raggi x a quell’uomo? Che imbarazzo, sento le guance diventare come fuoco, specialmente quando un’anziana signora è ora di fronte alla cassa che mi guarda divertita mentre aspetta di pagare il conto.

Mi ridesto subito imbarazzata e preparo lo scontrino, intanto con la coda dell’occhio, è più forte di me non posso farne a meno, lo vedo osservare attento gli unici due tavolini ormai liberi.

Sta pensando a quale dei due sedersi e poi decide: quello in fondo alla sala che di solito viene occupato dal Maresciallo Guglielmi, quando arriva e bofonchia integerrimo che non vuole essere, per nessun motivo, scocciato da nessuno.

Oh, Dio… non sarà per caso scorbutico come il Maresciallo, quest’uomo così affascinante?

Vedremo il caffè che ordinerà, solo così avrò un quadro completo della sua personalità. Ricordate: il caffè non mente. Mai!

L’anziana signora paga e poi ci salutiamo cordialmente, solo che questa volta mi fa l’occhietto indicando il nuovo cliente della caffetteria. Le sorrido appena.

Ha capito, eccome se ha capito!

Esco da dietro il bancone e mi avvicino a lui per prendere l’ordinazione e, una volta di fronte, si accorge della mia presenza e alza gli occhi dal menù delle ordinazioni.

Mi guarda dritto negli occhi e a essere sincera mi sento piuttosto nervosa dalla presenza di cotanta bellezza.

-Buongiorno, cosa posso portarle?- domando.

E lui mi sorride, di un sorriso caldo e sincero. A quanto pare per la prima volta mi sono sbagliata nel giudicare. Sì, a quanto pare sì.

-Buongiorno. Dunque, vediamo un po’…- continua posando di nuovo il suo sguardo sul menù dei caffè. Sbuffa poi lievemente, ma in maniera simpatica.

Chiude il menù e lo posa, per poi tornare a guardarmi.

-Ogni giorno prendo difficili decisioni riguardanti la vita delle persone, nel mio lavoro. E poi vado in brodo di giuggiole per decidere quale caffè ordinare- afferma. Mi spiazza, a dire il vero. Mi trovo un po’ in difficoltà nell’inquadrare un cliente. Cerco di rilassarmi, sono troppo tesa.

-Decida lei per me, sono sicuro che andrà benissimo- continua poi. E allora sorrido. Fino a ora nessuno mi aveva detto “decida lei”, e ora sì che so cosa fare.

-Perfetto, vedrà che non se ne pentirà- rispondo così sicura da stupire anche me stessa. Mi allontano per raggiungere il banco.

Dunque, ha detto che ogni giorno per via del suo lavoro si ritrova a prendere decisioni difficili per le persone. Si tratterà sicuramente di un lavoro che avrà a che fare con la legge.

Mentre do lo scontrino al gruppetto di studenti che tutti allegri escono dal bar, penso che preparerò un caffè delicato, non troppo forte, un classico caffè all’italiana come la nonna mi ha sempre insegnato.

E così faccio: aggiungo al piattino sotto tazza una zolletta di zucchero aromatizzata all’anice. Lo macchio con un po’ di latte tiepido, niente panna. Altrimenti sarebbe troppo per chi deve affrontare giornate così difficili. Mentre il latte è calmante, si sa. Un po’ di schiuma in superficie e una spolverata di cacao che crea sempre buon umore. Preparo il vassoio e mi dirigo al suo tavolo.

Avvicino il vassoio, accompagno il tutto e, non appena si rende conto che la zolletta di zucchero è azzurra, mi guarda curioso.

-Azzurra?- mi domanda divertito.

-È aromatizzata all’anice. Si fidi di me, è quel che le ci vuole per affrontare al meglio la sua impegnativa giornata- rispondo di nuovo sicura.

L’uomo mi guarda negli occhi un po’ più del dovuto. E allora la mia insicurezza torna, così sposto la mia attenzione altrove.

-Grazie- risponde semplicemente.

-Di nulla.

Velocemente, mi allontano con il vassoio appoggiato al petto e il cuore che batte forte contro di esso.

Se non ci fosse il vociferare delle persone si sentirebbe, ne sono certa!

Quando sono di nuovo dietro al banco non riesco a non osservarlo di sfuggita con la coda dell’occhio: prende la zolletta, la mette nel caffè e gira il cucchiaino per scioglierla. Poi lo posa sul piattino sotto tazza, solleva la tazza e la porta alla bocca. E poi distolgo lo sguardo che è meglio, diciamo.

Continuo a sistemare, a preparare caffè per clienti che si fermano solo pochi minuti al banco, pagano e vanno via in fretta e furia.

-Era davvero delizioso.

Sussulto, non mi ero accorta che si è alzato e ora è di fronte al banco, tazza in mano a da perfetto gentiluomo la lascia qui.

-Aveva ragione, mi sento già molto meglio- continua.

La sua voce è calda e rassicurante.

-Bene, mi fa molto piacere, il caffè giusto in un momento particolare può fare davvero la differenza- gli dico, o meglio: gli balbetto.

Prende il portafogli dalla tasca dei pantaloni da sotto il cappotto. Gli dico il prezzo e preparo lo scontrino.

Mi sorride, sembra divertito dalla mia affermazione visto che fa anche un cenno di assenso al mio sproloquio.

-A domani allora, buona giornata signorina.

A domani ha detto, allora tornerà…

-Grazie e buona giornata anche a lei.

La giornata passa in fretta, ho avuto la testa fra le nuvole. Arriva presto sera.

Ho pensato spesso a quelle due semplici parole: “A domani.”

***

Ogni mattina apro la caffetteria alle sette in punto. Be’, è vero, non ho una vita molto sociale al di fuori del mio piccolo mondo. Ma è il mio mondo.

Pensate che ho acquistato l’appartamentino al piano di sopra. Ho un’amica speciale dai tempi delle scuole superiori che ogni tanto, specialmente sotto le feste natalizie o nei fine settimana, mi aiuta con la caffetteria. Ogni tanto, lo ammetto, mi sento un po’ sola, oltretutto non posso neanche permettermi di avere un cagnolino o un gatto. Mi piacerebbe molto, ma non potrei tenerlo con me in caffetteria, purtroppo, non tutti i clienti sarebbero contenti.

Una sera a settimana frequento un corso di yoga, è davvero piacevole e rilassante, anche se la signora più giovane che lo frequenta ha settant’anni. Ma era l’unico orario possibile visto il mio lavoro e se poi aggiungiamo il fatto che sono tutte mie clienti, adesso, direi che mi sono spiegata a dovere. E poi questo piccolo dono che possiedo nel saper consigliare e allietare le persone con i miei caffè è davvero molto importante per me.

Comunque, mi rendo conto che sto nuovamente vaneggiando. Come dicevo prima: apro alle sette in punto e solo il lunedì e il martedì chiudo alle dodici per la pausa e poi riapro alle sedici. Tutti gli altri giorni faccio orario continuato, ovviamente orari decisi in base all’affluenza della clientela. In fondo non faccio tavola calda, a parte il pomeriggio il tè con i biscotti per le signore bene e di una certa età. Il mio locale è conosciuto più che altro per i caffè.

Anche oggi la giornata prosegue nel migliore dei modi ed essendo uno di quei giorni infrasettimanali con molta affluenza, entra in gioco la mia amica Monica che si occupa del servizio ai tavoli, mentre io sgambetto avanti e indietro, immaginando di avere quattro braccia, preparando caffè a tutto spiano.

-Alberto continua a dirmi che non capisce del perché io debba lavorare, che non ci manca niente e bla… bla… bla…

Sì, perché Monica è sposata con un brontolone che più brontolone non si può, ma sono così innamorati e si punzecchiano di continuo da risultare persino teneri e simpatici.

-E tu continua a rispondergli come sempre fai, che hai bisogno dei tuoi spazi.

-Ed è quello che faccio, ma è così ottuso. Forse però è per questo che lo amo tanto!

Visto? Che vi avevo detto? Scuoto il capo divertita al pensiero di quei due brontoloni.

Persa tra i miei sorrisi, poso poi lo sguardo verso la vetrina che dà sulla strada e… Lampi, fulmini e saette! Eccolo di nuovo qui. Sta entrando. Sta mantenendo la parola. Veramente è diventato un cliente abituale.

-Buongiorno- mi dice mentre con eleganza scrolla un po’ di nevischio che si è posato sul suo cappotto. Io rispondo, ma mantengo uno sguardo sfuggente. Si siede allo stesso tavolino.  La mia amica Monica si accorge di qualcosa, lo vedo dal suo sguardo sospettoso ora puntato su di me. La vedo con la coda dell’occhio. È davvero inquietante ma cerco di far finta di nulla, anche se so che con lei è del tutto impossibile. Si avvicina.

-Vai tu al tavolo a prendere l’ordine di quel signore che è appena entrato, tanto ora al banco non c’è nessuno. Credo proprio che abbia bisogno di un tuo consiglio per scegliere il caffè- continua mentre mi fa l’occhietto. So cosa ha in mente.

La guardo cercando di mantenere un’aria del tutto indifferente, mi asciugo le mani con lo strofinaccio, mi liscio il grembiule e mi avvicino a quell’uomo.

-Cosa mi consiglia, stamani?- mi domanda.

-Che giornata la aspetta?- rispondo con una domanda. Devo sapere per poterlo consigliare bene.

-Una giornata molto dura, purtroppo. Ma soprattutto incerta. Più incerta del solito, oserei dire.

Ha un viso così serio in questo momento, così provato. Deve amare molto il proprio lavoro visto il suo coinvolgimento emotivo. Deve amarlo così tanto da soffrire anch’esso delle situazioni che a quanto pare deve risolvere lui stesso.

Sono ferma, immobile, incerta per la prima volta sul giusto consiglio. E lui se ne accorge!

-Ieri ho avuto davvero una giornata spensierata, grazie al suo caffè.

Gli sorrido, cerco di essere tranquilla.

-Mi fa tanto piacere, davvero.

Ed è vero, ne sono felice. E poi continuo: -Allora, per una giornata che si presenta più incerta del solito le consiglio un caffè aromatizzato alla liquirizia. Si sentirà subito rigenerato, con più energie per affrontare la difficile giornata che l’aspetta. E sono sicura che riuscirà a prendere la decisione giusta.

Sento gli occhiali che mi scivolano un pochino avanti per colpa di po’ di sudore causato dalla mia agitazione di fronte a quest’uomo. Li tiro su, imbarazzata. Ma lui non sembra farci caso, anzi. Mi sorride, ma di un sorriso sincero.

-Grazie, andrà benissimo, allora.

-Glielo porto subito.

Mi allontano impacciata e vado dietro al banco. Il mio porto sicuro. Preparo il caffè sotto gli occhi ancora troppo attenti e sospettosi di Monica. Poggio la tazza sul vassoio, ma questa volta niente zucchero in zollette. Molto meglio amaro per apprezzare al meglio l’aroma e il gusto della liquirizia. Se non gli piacerà amaro potrà sempre aggiungere lo zucchero in bustina che lasciamo sempre a disposizione dei clienti sui tavolini. Ma sono sicura che lo apprezzerà senza. Ne sono certa!

Porto io il vassoio visto che Monica è proprio sparita nel retro.

Cerco di non essere tremolante e per fortuna riesco a posare il tutto sul tavolino senza fare danni.

Mi ringrazia ma non gli lascio il tempo di aggiungere altro visto che mi allontano subito.

Quando finisce si alza per venire a pagare e di nuovo, come un perfetto equilibrista, mi riporta il tutto al bancone. Poco servirà dirgli che non è il caso, di lasciare tutto lì che ci penso io, è il mio lavoro, in fondo. Ogni giorno e per tanti giorni ancora verrà sempre qui e ogni volta prenderà un caffè diverso…

***

Questa è una sera di un fine settimana come tanti: Monica è venuta a darmi una mano e ora che tutto è più tranquillo le dico di andare a casa a riposarsi. Poco servono i tentativi continui di impicciarsi della mia vita sentimentale. Quell’uomo è diventato il suo argomento preferito e io come sempre faccio finta di nulla.

Sistemo le ultime cose prima di chiudere: al di là della vetrina molti passanti sono felici con le loro buste colme di acquisti per le imminenti feste di Natale che un po’ mi rattristano perché mi fanno sentire ancor più sola senza una famiglia con cui festeggiare, ma pazienza!

Mi metto il cappotto informe, spengo le luci ed esco dalla caffetteria. Quando mi giro per chiudere a chiave e abbassare la saracinesca, una voce mi fa sussultare.

-Non volevo spaventarla, mi scusi.

-No, non si preoccupi- gli dico quando mi giro e me lo ritrovo di fronte, stupita. Solo pochi secondi di imbarazzato silenzio.

-La cosa più semplice sarebbe quella di invitarla a prendere un caffè, ma la trovo davvero una situazione un po’ comica, le pare?

Stava accadendo davvero?

E poi continua lui a parlare, visto che dalla mia bocca esce solo una nebbiolina bianca per via del freddo.

-Non ci siamo ancora presentati ufficialmente, nonostante io venga ogni giorno qui, da più di un mese. Mi chiamo Alberto Castelli.

Mi porge la mano e io la stringo.

-Sara Bianchini, piacere.» Leggo tanta malinconia nei suoi occhi. Tanto dolore…

«Be’, per quanto possa sembrare strano, perché non approfittarne? Venga, le offro io una buona tazza di caffè. La consideri una gentilezza nei confronti di un cliente abituale.

Gli do le spalle per un attimo, giusto il tempo di aprire nuovamente la caffetteria. Entriamo, lascio il cartello girato sempre dalla parte in cui vi è scritto chiuso e gli faccio cenno di accomodarsi al tavolino. Questa volta sceglie quello vicino alla vetrina.

-E così sarei un cliente abituale, adesso?- mi domanda, ma sento ironia nella sua voce.

-Be’, viene qui ogni giorno…

-Sì, direi di sì. E so che può sembrare strano ma non posso farne a meno, mi sento a mio agio. L’atmosfera che si respira qui è così bella e trasmette serenità. Con il mio lavoro ne vedo di tutti i colori, ogni giorno. Non mi fraintenda, non voglio lamentarmi, sono fortunato, però alle volte è così…

-Così complicato, così soffocante…- continuo vista la sua incertezza.

-Sì, proprio così…- sibila.

Preparo un caffè, più leggero del solito, essendo ormai ora di cena. Due zollette di zucchero per dare un po’ di energia a un fine giornata faticoso. Porto le tazze al tavolino e mi siedo di fronte a lui.

-Che lavoro fa?- gli domando.

-Sono un giudice minorile.

Capisco, posso solo immaginare quanto possa essere dura, difficile. Parliamo per un po’, man mano che passo del tempo con lui mi sento sempre più a mio agio. Il suo aspetto la prima volta che l’ho visto lo ha fatto sembrare irraggiungibile. Ma man mano che i giorni passavano mi rendevo conto che non era così, che davvero l’aspetto di una persona può essere ingannevole.

-Ma dimmi qualcosa di te, non voglio angustiarti ancora con il mio lavoro- mi dice improvviso, passando dal lei al tu.

-Non mi stai angustiando, mi piace ascoltare le persone. In verità preferisco ascoltare che parlare di me. Non ho nulla di interessante da raccontare. Mi sono sempre occupata della mia caffetteria. Da quando l’ho rilevata da mia nonna, questa è sempre stata la mia vita.

Alberto gira la tazza ormai vuota tra le mani mentre mi guarda. Mentre mi ascolta. In fondo non è poi così brutto parlare di se stessi con gli altri. Non è poi così male essere ascoltati da chi sta dimostrando tanto interesse per quello che hai da dire. In verità è così emozionante e unico.

-Vieni a cena con me stasera, per favore. Lascia che ti conosca meglio. Mi piace passare il tempo con te. Mi piace ascoltarti.

Ora i miei occhi, prima posati sulle mie mani che tengono la tazza, incontrano i suoi. Sono occhi che mi sorridono.

-Sì, ceno con te molto volentieri, Alberto.

Forse potrei raccontargli di come molte persone che frequentano il mio caffè hanno soprannominato questo luogo come “la caffetteria dei desideri”.

Forse non è poi così scontata la mia vita…

Una novella di Daniela Perelli

Pubblicato da campagnaapidolcifantasia

Mi chiamo Daniela Perelli, vivo a Visone, in provincia di Alessandria, sono sposata con Alessandro, abbiamo due figli, Giulia e Luca, e due cagnoline di nome Stella e Siria. Sono collaboratrice presso un rifugio che si occupa di animali disabili, lavoro come aiuto chef e per hobby leggo libri (soprattutto classici), scrivo ricette, storie e articoli. Ho aperto un piccolo shop on-line di articoli per la casa retrò che si chiama Little pansy shop e sto per aprire il mio Home Restaurant di cucina vegetariana e vegana. Il mio blog racconta, in particolare, della nostra vita familiare in campagna.