Il sugo di mamma Elda

Oggi propongo questa ricetta, scritta da Alessandro Defilippi e da me sperimentata. Devo ringraziarlo per avermi voluto regalare un suo articolo da inserire nel blog. Per conoscere meglio lo scrittore potete leggere qui!

 Il sugo di mamma Elda – Alessandro Defilippi

A casa mia a svegliarmi erano i profumi. Durante la settimana, di sugo; la domenica, d’arrosto. Sì perché mamma Elda, una delle mamme degli anni ’50 (vi ricordate Bennato: “viva la mamma/viva la favola degli anni cinquanta”?), il sugo lo metteva su la mattina. Non è che lo facesse cuocere fino a mezzogiorno, questo no, ma il suo bravo paio d’ore direi proprio di sì. Io mi alzavo, andavo in cucina a bere il primo caffè (quello davvero importante era l’ultimo, che ci bevevamo solo noi due, al tavolo, tra mezzanotte e l’una, quando gli altri già dormivano) e poi mi cacciavo in bagno. Mi vestivo in camera mia, ascoltando il disco che in quel momento mi piaceva di più (ho consumato, tra gli altri, il 45 giri di Tepepa, di Ennio Morricone, ma non raccontatelo a nessuno) e filavo a scuola. Tempi del liceo, direi, a giudicare dai miei ricordi. Ma anche prima e pure dopo, il sugo iniziava a sobbollire la mattina presto, sorvegliato da mamma Elda o da nonna Margherita. Perché a quei tempi si tornava tutti a casa, per pranzo: ci ritrovavamo in cinque: mio padre, mio zio, la nonna, io e naturalmente mamma Elda. E c’erano primo e secondo e magari un piccolo antipasto, acciughe sott’olio o anche solo il salame, che mio padre affettava sul fondo del piatto girato a rovescio.

Ma parlavamo del sugo. Mia madre in genere lo faceva in un coccio (da lì la mia mania per le pentole di terracotta). Soffritto: olio, aglio, cipolla e burro. Già, burro, perché l’olio per lei andava bene sull’insalata o al massimo mescolato con il burro. Quando mi raccontava una ricetta iniziava sempre così: “Nini, aj e bür”. Aglio e burro, Dio volesse. E poi, la carne. Un pezzo intero oppure a bocconcini, grandi come le falangi del mignolo e che io da bambino chiamavo “cicche”. Non era un ragù ma nemmeno un sugo come tendiamo a fare oggi: più rapidi, spesso con il pomodoro fresco. Per mamma Elda, il sugo si faceva con i pelati. Cirio, buonanima. E andava cotto a lungo, come ho già detto.

La cosa più simile l’ho mangiata a Venezia, il tocio, come in veneto chiamano il sugo. Il migliore lo andavo a cercare da “Toni”, una vecchia trattoria che non so se esista ancora, in Fondamenta San Sebastian, poco dopo il cantone con Calle del Vento. Bigoli al tocio: gran piatto, come tutta la cucina veneziana (le moleche le avete mai assaggiate?).

Non ho mai provato a rifare quel sugo, per me irripetibile e che mi è tornato in mente solo nei giorni scorsi, e l’immagine che vedete è la cosa più somigliante che ho trovato in rete.

Dunque, ricapitoliamo: aglio a spicchi, cipolla tritata fine, burro e olio. Nel soffritto poi mamma Elda gettava la carne a insaporire e infine i pelati. Sfumava con il vino: vino rosso, un Barbera che mio padre si faceva portare dal Monferrato nelle damigiane e poi imbottigliava in cantina. Quei barbera spessi, di prima che Giacomo Bologna reinventasse questo vino straordinario. E per me è difficile rinunciare a mettere il vino in un sugo o nel risotto. Proverò però presto a usare il vino dealcolizzato, come insegna Allan Bay, guru nel mio foro interiore di cuoco dilettante.

E la carne, che fine faceva? Quella carne, quando intera, da piccolo toccava a me, come secondo: piatto poco amato, perché sfibrato dalla lunga cottura e un po’ stopposo. Ma lo mangiavo tutto, perché a quei tempi, forse più saggi, non si buttava via niente. Ma quel che mi piaceva era la pasta: in genere spaghetti, che mamma Elda spezzava in due (anche i più bravi sbagliano, ohibò! Solo col tempo riuscii a convincerla che era molto meglio lasciarli interi e bene al dente, benedetta donna).

Il sapore? Difficile a dire: intenso, con un fondo leggermente acidulo (vino e pomodori!), che continuo tuttora a riprodurre nei miei, di sughi. Il sapore, per me, della ur-pasta asciutta, della pasta asciutta archetipica, mi verrebbe da dire. Un sapore anni ’50. Fuori moda. Buono.

DSC_0015-2fIl sugo di mamma Elda

Io umilmente ho provato questa ricetta ed il risultato è stato ottimo.

Ho fatto un soffritto di cipolla ed aglio in olio e burro. Ho poi unico circa 600 gr di polpa di manzo e l’ho rosolata per bene fa tutti i lati. Ho sfumato con generoso vino nero e dopo qualche minuto ho unito una scatola di pelati, sale e pepe.

Ho lasciato cuocere per due orette e poi l’ho usato per condire la pasta. La carne l’ho tenuta per fare delle polpette!

 

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