Palm Springs e il deserto. L’innamoramento continua

Palm Springs. Notte al motel. Dormiamo poco: il marito, inglese, per il caldo; io, ansiosa, per la preoccupazione di non sentire la sveglia la mattina. E la mattina arriva presto. Ore 4. Usciamo. Il marito, inglese, in bermuda. Io, previdente, con il golf. Fa fresco. Qui vuol dire 28 gradi. Destinazione: Parco nazionale dello Joshua Tree. Obiettivo: arrivare al giardino dei cactus cholla per vedere sorgere l’alba, verso le 5.30. Hai capito bene: a.m. Praticamente siamo venuti in California apposta.

Attraversiamo la città, che è meno deserta che durante il giorno. Un tizio fa giardinaggio a torso nudo; degli operai fanno dei lavori stradali. Lasciata alle spalle la solita scritta, imbocchiamo una strada stellata che si snoda tra montagne brulle. Qui un motel; lì una casupola con una lucina accesa nel buio della notte. Passiamo Twenty Palms, nome descrittivo ma mi chiedo dove siano finite. Troviamo la stazione d’ingresso del parco, che sembra abbandonata. Entriamo. Alla nostra sinistra c’è la luna e alla nostra destra un bagliore ci avverte che da lì si alzerà il sole.

Il giardino dei cactus

Il deserto di notte è popolato da conigli e da altri roditori che sentono un’attrazione fatale per la macchina: escono dai cespugli e attraversano la strada solo quando passiamo noi. Raggiungiamo il giardino dei cactus nella luce irreale che precede il sorgere del sole. In effetti è talmente chiaro che nella nostra ignoranza dei fenomeni naturali ci chiediamo se non siamo arrivati troppo tardi. Girovaghiamo tra i cactus ascoltando i roditori mangiare e augurandoci che non ci siano serpenti.

Dopo lunghi minuti di attesa finalmente vediamo coi nostri occhi quello che abbiamo letto su Tripadvisor. Il riverbero dei raggi crea un effetto ottico per cui il contorno dei cactus diventa fluorescente – ma solo se guardi nella direzione della luce. Cerco di cogliere questo momento effimero con il mio telefono, in modalità scatto a raffica sperando che la tecnologia riesca là dove la capacità umana è scarsa.

Effetto fluorescente sui cactus cholla. Foto: diplomatica

Col nascere del giorno cala il silenzio, rotto solo dal ronzio delle numerose api che cercano smaniosamente la nostra compagnia. Gli animali del deserto dormono.

Torniamo al motel per le 9 e mezza del mattino con l’aria di chi ha compiuto una missione speciale. Cadiamo in un sonno profondo, cullato dal rumore del nostro migliore amico, il condizionatore. I figli ne approfittano per fare una maratona di videogiochi sui rispettivi telefoni. Ma non opponiamo resistenza. Stanchezza oblige.

Colazione da Rick’s

Club sandwich con contorno di fagioli da Rick’s. Foto: diplomatica.

Prima di ripartire da Palm Springs ponderiamo attentamente dove rifocillarci. La scelta cade su Rick’s Restaurant and Bakery. Non potevamo fare scelta migliore. All’apparenza si presenta come un diner tradizionale ma in realtà serve piatti americani e cubani. Il cinnamon roll è a grandezza umana. La ropa vieja forse è come a Cuba ma io non ci sono ancora stata. Sicuramente è all’altezza di quella di Miami. Il mio club sandwich con pollo, lattuga, bacon e avocado è talmente extra-large che ce ne portiamo via più della metà.

Insomma, Palm Springs mi ha conquistata: per la sua intensità, per i suoi colori, per il suo essere finta e vera allo stesso tempo, e anche perché potrei mangiare così per sempre felice e contenta.

Torniamo alla macchina. Attenzione: la maniglia nel frattempo è diventata un ferro rovente. Passiamo la scritta nella direzione sbagliata. Arrivederci Palm. Un giorno tornerò a scattare quella foto, mi dico, con l’aria di una che manterrà la promessa. ‘Palm Springs è un posto per ricchi pensionati’ conclude senza trasporto il marito, inglese.

I do, Palm Springs. Foto: diplomatica