PEPERONCINO CALABRESE

 

Per la rubrica “un paese ci vuole“, oggi parliamo di peperoncino.

C’è chi lo utilizza su qualsiasi alimento, chi non lo ama particolarmente, ma indiscutibilmente si tratta di uno di quei prodotti conosciuti in tutto il mondo, simbolo della cultura culinaria calabrese. E pensare che le sue origini risalgono a tempi e luoghi davvero lontani. Da reperti archeologici risulta infatti che fosse coltivato già nel 5500 a.C. In Europa arrivò grazie a Cristoforo Colombo. La pianta trovò condizioni climatiche favorevoli in Europa, soprattutto nelle regioni meridionali. Prese il nome di peperoncino poiché il sapore richiamava quello del pepe, pur essendo visivamente molto differente. Divenne pian piano la spezia di tutti, essendo alla portata anche di chi non aveva la possibilità di acquistare cannella o noce moscata a causa del loro costo elevato. Relativamente alla varietà di peperoncino individuata come “peperoncino piccante calabrese” pare che la terra di Calabria sia particolarmente vocata alla sua coltivazione conferendo proprietà organolettiche al prodotto davvero esclusive. 

Il nome scientifico della pianta comunque è “Capsicum” della famiglia delle “Solanaceae”, le varietà sono davvero tantissime. Tra le più comuni: capsicum annuum (specie che include le varietà più comuni in Italia), capsicum chinense (che include il piccantissimo habanero), capsicum baccatum (tra cui troviamo il c.d. “cappello del vescovo”), ecc., ecc. 

Ma torniamo alla Calabria ed a questo suo prodotto così conosciuto. Non c’è luogo turistico in cui non troviate esposti tanti, tanti, tanti bei peperoncini con quel loro colore così intenso, sistemati come delle lunghe collane, dopo essere stati infilati lungo un bel filo ad essiccare. Sono allegri, sono forti, sono belli, un po’ come la nostra terra che nonostante le sue contraddizioni rimane sempre così affascinante. 

La foto che avete appena visto è stata scattata a Pizzo calabro, paese arroccato su un promontorio di tufo, a picco sul mare, in provincia di Vibo Valentia.

Il luogo, interessante sia dal punto di vista storico che paesaggistico, è conosciuto anche e soprattutto per il suo ottimo gelato artigianale, il cosiddetto “tartufo di Pizzo”, ma di questo parleremo in altra occasione. Si faceva riferimento all’interesse storico, ebbene quando vi recherete a Pizzo avrete la possibilità di visitare, prima di distendervi al sole sulle sue bellissime spiagge, il castello di Gioacchino Murat, re di Napoli. Da semplice ufficiale dell’esercito francese, poi capitano e ancora generale, Murat si distinse in importanti combattimenti sul finire del 1700, sposò Carolina, sorella di Napoleone e per concessione di questi divenne re. Con lui si vide la dissoluzione dell’ancien régime nel Mezzogiorno, l’introduzione del Codice Napoleonico, il miglioramento dell’istruzione e dei lavori pubblici. Dopo essere stato sconfitto dagli austriaci, sbarcò con alcuni compagni a Pizzo nell’ottobre 1815 dove fu catturato dai borbonici e fucilato. All’interno del castello si trova una ricostruzione storica degli ultimi giorni di vita di Murat.

Altra fermata, quando vi troverete a Pizzo, dovrà essere la chiesetta di Piedigrotta, un misto di leggenda e storia. Un cittadino di Pizzo, Angelo Barone (ed alla sua morte il figlio Alfonso), verso il 1880, ampliò a colpi di piccone una grotta e ne creò altre due laterali, scolpendo nelle pietra gruppi di statue, capitelli e basso rilievi con scene sacre. 

Da mela&cannella vi salutiamo con questa piccola e concentratissima pillola di storia, arte e tradizione. 

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