Lo scapece di pesciolini fritti è una fresca e gustosa preparazione, ottima in tutte le stagioni ma perfetta specialmente in estate; è ideale per un appetitoso antipasto o, perché no, per un secondo sfizioso. Una ricetta che si rivela preziosa anche quando si vuole utilizzare il pesce fritto avanzato.
Tempo fa, nel presentare le cotoletta in carpione, mi ero ripromessa di preparare qualche altra ricetta del genere e di parlare ancora di questo particolare piatto diffuso in tutta Italia, e non solo, con nomi differenti (saor, scapece, scabeccio, carpione, escabeche). Anche questa volta, dopo la preparazione, ho aggiunto una nota con un piccolo supplemento di notizie e curiosità.
Scapece di pesciolini fritti
Ingredienti per 4 persone
- pesciolini da frittura (fragaglia, novellame), 500 grammi
- farina (io ho usato la semola rimacinata) q.b.
- una cipolla
- una carota piccola
- prezzemolo, menta, timo , qualche foglia
- alloro una foglia
- aceto di vino bianco (o di mele), 250 ml
- vino bianco, 250 ml
- acqua, un bicchiere medio
- sale e pepe nero in grani q.b.
- uno spicchio d’aglio
- olio extra vergine d’oliva, un paio di cucchiai + q.b. per la frittura.
Preparazione
Sciacquare i pesciolini sotto l’acqua corrente, scolarli bene e passarli nella farina. Con l’aiuto di un setaccio scuotere via la farina in eccesso.
Friggerli in olio bollente, pochi per volta e tirarli su con una schiumarola via via che saranno dorati e croccanti. e sistemarli su carta da fritto per assorbire l’unto in eccesso.
Iniziare a preparare lo scapece: sbucciare l’aglio e affettare finemente la cipolla e la carota.
In un tegame mettere a rosolare dolcemente con qualche cucchiaio d’olio la cipolla, quando è ben rosolata (deve restare dorata), eliminare l’aglio, aggiungere la carota, le erbe aromatiche, il sale e qualche granello di pepe pestato.
Mescolare, versare l’aceto e il vino in parti uguali, il bicchiere d’acqua e lasciare sobbollire per.circa quindici minuti, senza coprire.
Sistemare un primo strato di pesciolini in una pirofila (o altro contenitore idoneo), bagnare con un po’ di marinata caldissima, aggiungere un altro stato di pesciolini continuando ad alternare la “fragaglia” allo scapece; sull’ultimo strato di pesce versare tutta la marinata rimasta.
Lasciare raffreddare a temperatura ambiente e conservare in frigorifero per almeno un giorno prima di servire.
Nota
Carpione in Lombardia e Piemonte, scapece nel Sud Italia, saor a Venezia, scabeccio in Liguria, scabecciu nelle zone meridionali della Sardegna, nomi diversi per un procedimento simile: l’aceto unito ad erbe e spezie come metodo di preparazione e conservazione di pesce, carne e verdure.
Origine del nome
La parola “scapece” deriva dallo spagnolo “escabeche”.
Diverse sono le ipotesi fatte dagli studiosi circa l’origine di questo nome: alcuni sostengono che il termine derivi dal latino “escha Apicii”, ossia “salsa di Apicio”, il gastronomo romano dell’età augustea che si dice abbia preparato per primo questo piatto, che troviamo inserito nella sua opera “De re coquinaria”.
La versione più accreditata è però quella che vede provenire il termine escabeche dall’arabo-persiano sikb-bâdj, cioè “pesce marinato”, la cui pronuncia suonava come “iskebech”, un piatto tipico della Persia, giunto in Spagna con la dominazione araba e da lì diffusosi nell’Italia meridionale durante la dominazione aragonese. Altra ipotesi molto simile è la provenienza da As-sikbāj, una ricetta molto apprezzata della cucina araba, preparata con un metodo che assomiglia molto allo scapece, ma riservato di solito alle carni bollite.
Se le origini del nome sono controverse, documentata invece è la predilezione dell’imperatore Federico II di Svevia per questa preparazione: nei ricettari gastronomici a lui attribuiti, nel marzo del 1240, prima dell’assemblea plenaria dei funzionari regi in cui il sovrano doveva presentare le Novae Constitutiones, ordinò al cuoco Berardo di preparare “askipeciam”, utilizzando il pesce «de Resina», cioè del lago di Lesina. Le notizie riguardanti l’imperatore Federico sono liberamente tratte dal libro di Anan Martellotti “I ricettari di Federico II Dal “Meridionale” al “Liber de coquina”, Editore Leo S. Olschki di Firenze, nella collana “Biblioteca dell’“Archivum Romanicum”.
Il saor
Diversa invece la storia del saor” veneto, termine che deriva dall’italiano medievale “savore” e dal latino “sapor” (sapore, gusto). Ricetta tipica delle tradizioni marinare di Venezia, utilizzava originariamente solo le sarde e risale al Trecento: fu “inventata” dai pescatori, che passavano molti mesi in mare e che avevano perciò bisogno di conservare a lungo il pesce, che veniva inserito in barili alternato a cipolle e aceto, e fu arricchito solo in seguito con uvette e spezie, a testimonianza dei fiorenti commerci della Serenissima con l’Oriente.
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