I racconti di Primo
Ciau Amici, dopo semina, trebbiatura, farina, chiudo con il ciclo del pane! È stato un lavoro impegnativo e desidero proporvelo con piacevole amicizia! Vi imploro solo di leggerlo, a chi gli interessa, perché è la storia della nostra vita! Parlo di gente stagionata come me! Dacci o Signore il nostro pane quotidiano!… Grazie e.… Buona vita!… Ciau
11.05.017 Ciclo 3: Pane e affini
(uso la grafia del prof. Villata)
Premessa importante:
I forni anni ‘50 erano incantevoli, roba da museo! Innanzi tutto erano costruiti con mattoni refrattari, fatti a semicerchio, per farmi capire a tronco di cerchio (3/4 di semicerchio), al centro diametro di 2.5 mt, perciò con una superficie, alla base, di ca 9,5 mq, con cupolone interno di 50 cm/h al centro, sopra al cupolone altri 50 cm ca di sabbia, sempre refrattaria. Lo sportello di chiusura in ghisa spessa una 15na di cm, alla base largo ca 70cm. Anche lui forgiato a cupola però con termine superiore a vertice. La soglia del forno, imboccatura, era alta circa 90 cm da terra, per facilitare le operazioni di pulitura forno, inforna/sforna del fornaio (V. foto). Il combustibile era formato da fascine ricavate dai sarmenti di vigna, nonché dalla costante pulizia del sottobosco (antzé) e dai rami dei pali del bosco ceduo, capitozzati. I pali venivano usati per impalatura vigna, i rami per il forno e per uso famigliare, accensione stufa. Parlo di legno di castagno.
1) ciclo cottura pane: Per ragioni pratiche i valori li ho espressi tutti in £ire
italiane, senza tener conto di IGE & IVA. Adesso cerco di fare il serio e passo
ai lavori. Il tempo medio di cottura è di 50m’ – temperatura forno circa 220°.
Si usavano farina del proprio grano, le qualità erano: Autonomia, Frassineto,
Rosso di Langa, Mentana, Tevere, Padova, Acquileja etc. Parliamo di grano tenero, qualità vocate al terreno, al versante, alla fertilità della terra.Una volta tutti erano forniti di stalla per cui oltre al grano (spiga) era necessario il foraggio e con esso la paglia per la lettiera delle bestie.
L’impasto
si preparava in casa, le modalità, per 10 kg di farina tipo 1 o 2 (prima degli anni ’60), poi è arrivata la 00 e Manitoba, erano le seguenti: H2O ca 70%, 1hg di lievito di birra, sale dal 2% al 3% quindi facciamo il 2,3% = 230 gr, strutto 2% = 200 gr, malto, coadiuvante degli zuccheri, da noi non si usava e veniva al max aiutato l’impasto con un piccolo bicchiere d’acqua dolce.
Curiosità sul lievito surrugato al posto del lievito di birra: gallium verum (caglio vegetale), fiori viola appassiti di centaurea (cardon), sterco secco di mucca (busa), opportunamente rinchiusa in un fazzoletto di cotone, una palla (grossa come una palla da biliardo) di pasta lievitata e conservata al fresco per l’impasto successivo. Nota curiosa: lo sterco bovino, opportunamente dosato 2/3 di sterco e 1/3 di sabbia, diluito in acqua (smasoȓì), serviva a sigillare il portoncino della botte (caȓeȓa). Tale operazione l’ha fatta mio papà, e i vicini di zona anni 1950/60. Lo sterco (buse) serviva anche a imbusare il cortile per essicare il granoturco, già battuto, cioè sgranato dal tutolo, e allargato nell’aia.
Poi c’è il lievito madre o pasta madre sempre fatti in casa per la legge del minimodelle spese, con buon profitto. Unica spesa, senza risparmio, il lavoro! Una delle dosi, preparata in un barattolo, poteva essere:
– 250gr di farina 00 o Manitoba
– 125gr di acqua
– 1 cucchiaino di miele
– si impastava bene, con le mani, fino a ottenere un impasto morbido, non appiccicoso. Il barattolo andava coperto con un panno per l’aerazione e tenuto al fresco.
Dopo 24h si aggiungono 100gr di farina e 50gr di acqua, impastare sempre con delicatezza – dopo un giorno idem c.s. – tenere sotto controllo il Vs impasto – coprire sempre con panno umido e lasciare riposare a temp ambiente di 26°, 27°. –
Noterete che la lievitazione naturale starà avvenendo perché nell’impasto si formeranno le bollicine tipiche del lievito o pasta madre. La dose per 10Kg di farina, di pasta madre, si aggira sui 2kg cioè di circa il 20%. Entra comunque in gioco l’esperienza fatta sul campo.
Modalità e usi:
l’impasto si preparava alla sera, l’indomani, si andava al “Pastino”. Essendo un lavoro anche da ragazzotti, e la distanza non breve, si caricava la cesta sulla carriola e si svolgeva questo importante incarico che era anche sinonimo di responsabilità. C’era chi sceglieva di portare la farina e man mano, alla bisogna, andava a ritirare il pane. Quest’ultimo modo era meno impegnativo e offriva la possibilità di avere il pane più fresco.
Normalmente, chi portava l’impasto, pagava la cottura, che tradotta in soldini era data dalla pesa del pane cotto. A quei tempi, anni ’50, essa si aggirava sulle 30 £/kg
Chi portava la farina, aveva diritto al 20% di crescenza, dovuta al contenuto di acqua nel pane. Cioè su 10 kg di farina aveva diritto a 12 kg di pane. C’era, purtroppo, chi non aveva i soldi per pagare la cottura; in questo caso rinunziava alla crescenza e faceva pari…pari. Il pane, dati ISTAT 1950, costava ca 150£/kg.
Bisogna ricordare che i tipi di pane erano pochi:
Dalle mie parti il “grissiòt = micca di casa”, raramente la “tirola=specie di baguette” e per dare il contentino il panettiere forgiava un galletto per i maschietti, e una “bivàta = bambolotta” per le ragazze. Alle feste grosse si facevano le tirà, dolce di Alba, tornato di moda di forma ovale spesse max 5cm.
Buone, modeste, discrete, i più nobili inseriscono anche un po’ di uvetta candita, ai miei tempi fatte in casa!
Come indicativo vi do il prezzo del grano: anni ’50 circa 67£/kg e la farina 104 £/kg. Nel 2017 il grano costa 350 £/kg. E la farina 1000 £/kg.
Pertanto, per fare una verifica sul valore della cottura, quando si rinunciava forzatamente, causa mancanza di soldi, alla crescenza si operava così: ogni 5 kg di farina si aveva diritto a 6 kg di pane, quindi 1 kg di pane, da crescenza, in base al prezzo di 150 £/kg, risultava dalla proporzione: 1 kg/cresc:5 kg/farina = x:150 £/kg di pane = 30£/kg costo di cottura. Ulteriore conferma: se 1 kg di pane valeva 150 £/kg, il 20% rinunciato, era uguale a 30£. Vanno ricordati, a quei tempi, i famosi libretti ½ UNI sui quali il contadino faceva marcare ogni “cotta” secondo le regole del do ut des.
Adesso vi faccio l’elenco dei tipi di grano, attualmente in uso, quanti vizi!…
– Cereali: Grano duro, Grano Tenero & Manitoba, Kamut, Farro, Segale, Avena, Orzo, Enkir, Burghul , Miglio etc.
– Altri tipi non cereali: Grano Saraceno, Quinoa, Amaranto, etc.
– I tipi di pane attuali s.e.&o sono: tartine all’olio, filoncini all’olio, pane alle olive, pane integrale di grano, pane integrale multicereali, pane integrale di segale, pane integrale di farro, pane integrale di riso venere, pene integrale di grano saraceno, pane al germe di grano, pan ‘d Langa, rosette, michette, biove, maggiolini, bocconcini, fogliette, piumini, barchette, baguette, ciabatte, paesane, micche di casa, quadretti, quadretti tagliati, tartarughe, sigari, savoiarde, grissie, rubatà, pane di grano duro, micconi, trapunte, filoni rustici, ciambelle, bocconcini all’olio, siluri all’olio…ecc.
Nomenclatura sul forno a legna d’antan:
– Bonòm = regolatore dei fumi, tubo collegato a uno sportello basculante, anche nome dato a un ingenuo.
– aȓcon = contenitore di farina
– paȓèt = sessola
– palin-a = assicella flessibile, larga 9cm, lunga sui 2mt. Si usava a infornare.
– paȓon = pala bordata 40x40cm, bucata, usata a estrarre il pane dal forno.
– Ròbi = attrezzo per togliere la cenere, in pratica una lamina a mezzaluna, alta ca 8cm, con manico sui 2 mt.
– Pnàss = spazzaforno di lësca (biodo) per pulire il forno dalla cenere rimasta dopo il “ròbi”, si bagnava in un gorgo.
– spauȓa = per raschire i residui di pasta rimasta sulle assi della scansia.
– lucernàȓi = oblò laterale, a dx, cilindrico con al fondo un vetro refrattario, convesso, per ispezionare l’andamento della cottura previa illuminazione con lampada.
primo culasso – se&o
PS: desidero ringraziare, senza far nomi, i numerosi amici, che con disponibilità e
cortesia, mi hanno dato dei lumi su questo argomento che è risultato più
complesso di quanto immaginassi.
Usansa dëȓ pan ëd Natàl, consëȓvà tut ȓ’ann: fin-a au Natàl ‘dȓ’ann dòp; o schivàva e o cuȓàva ‘ȓ maȓatìe dëȓ bestie dȓa stàla. Da “Mentina”:
Santo Natale: era usanza, durante il pranzo di Natale, conservare una pagnotta intera (Grissiòt ò Mica ‘d cà).
Essa si conservava integra, e non ammuffiva per tutto l’anno; se durante l’anno un animale si ammalava si curava con un pezzo di pane.
Al Natale successivo, a pezzetti, si dava agli animali della stalla per propiziarne la loro salute e si metteva da parte una nuova pagnotta sempre cotta a Natale.
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