La luce al di sopra di noi.
Poesia di Celeste Oricco. Resto incantata dalle parole, la poesia mi prende l’anima.
Le poesie di Celeste sono piccoli universi da esplorare.
Con il mattino è tornata la luce.
Era sepolta sotto la coltre di ghiaccio
imprigionata nel grigio
della prepotenza cosmica.
C’è luce al di sopra di noi.
C’è luce in noi,
nel fondo profondo
una manciata di luce.
Dissotterrarla
dalle macerie degli umori
e darle spazio
è la gioia
è la fatica
di ogni giorno.
Celeste Oricco

Il papà ci raccontava
Come Bruno Murialdo, provo nostalgia per quella semplice voglia di divertirsi insieme, nonostante la ” malora”Luigina e Teresina del Pavaglione (classe 1923 e 1927) raccontano…
In inverno, la domenica e le feste comandate, dopo il vespro, al Pavaglione arrivavano i Magnot, suonatori di fisarmonica e accendevano gli animi di noi giovani. Passavano di casa in casa, nelle cascine sparse a chiamare le ragazze per andare a ballare nel grande salone della cascina dei Corino, dove oggi c’è il centro Fenoglio.
A nostro padre dicevano “Ehi Felicin, staseira anduma a balene due. Eben? losi ‘mni se matote?” Il papà ci raccomandava “ Feve mac nen parlé a près” e dava il suo consenso.
La prima a salire di corsa le scale per andare in camera da letto, sfidando la paura del buio, era Olga, la sorella più piccola, di soli dieci anni. Si metteva il vestito più bello, calzava le nostre scarpe con i tacchi, due numeri in sovrappiù, e giù a nascondersi dietro la porta, così che quando noi stavamo uscendo, lei sgattaiolava ed era già fuori prima di noi. Nel salone poi si appiccicava al nostro vestito dicendo “Balla con me! Balla con me!”
E non c’era verso: il giovane che ci invitava a ballare doveva rassegnarsi ad attaccare la prima aria con lei. Valzer e mazurche si alternavano fino allo scoccare della mezzanotte, con l’eccezione della notte di San Silvestro, quando si ballava una curenta lunga il doppio per finire l’anno vecchio e iniziare quello nuovo in bellezza. Una vera delizia era procedere a saltelli con la sincupò : Rosamunda, Rosamunda, che magnifica serata, sembra quasi preparata da una fata delicata.

Mille cuori, mille voci, mille bocche strafelici, sono tutte in allegria, oh che felicità! In questo modo Virginia e Vincenzo avevano vinto una gara di ballo e in premio si erano portati a casa la bandiera che Vincenzo teneva sempre in camera da letto. Ma i veri animatori dei balli e dei canti erano i fratelli che venivano da Fairo. A turno, si mettevano al centro del salone, tra le coppie danzanti, per fare il ballo con la scopa.
Oppure il ballo della sedia. Era una ragazza che si sedeva al centro e poteva rifiutare l’invito di un pretendente girandogli le spalle, finchè non arrivava il giovane di suo gradimento. Nelle serate più popolate, addirittura si distribuivano fiocchi verdi e rossi per fare i turni a ballare.
Una di quelle sere erano partiti i giovani dai Fiù , una borgata di Trezzo Tinella, per venire al Pavaglione. Era caduta molta pioggia e loro erano arrivati bagnati fradici. Sono andati a farsi imprestare i vestiti dai nostri vicini per poter venire a ballare. Quando c’erano i coscritti, allora si facevano anche tre giorni di festa. Il giorno della visita di leva, Carlin li portava a Cortemilia su un camioncino, suonando la fisarmonica e sventolando bandiere tricolore.
Al ritorno si invitavano le coscritte a pranzo nel grande salone addobbato con piante, fiori, lampadine, poi si cantava e ballava. Quando nostro fratello era coscritto, il primo aprile, sono andati sul bric ad aspettare il cucu d’avrì, cantando perdutamente Maria Giuana, Picchia picchia la porticella, Rosamunda e tante altre, fino a sera. Al ritorno, di notte, tutti a piedi nei sentieri, anche con la neve, attraverso il rian, sotto il chiarore della luna. Parlando e scherzando la strada era lunga un fiato! Nostro padre diceva sempre “Il ballo è lo sviluppo della gioventù”, sfidando il pulpito delle “quaranta ore”, tuonante contro i giovani che partecipavano a un simile divertimento.