Il suono del Parmigiano: lo Stradivari delle DOP

Di solito accade due volte l’anno, una con il primo freddo ed una con i primi caldi, quando il Consorzio del Parmigiano Reggiano dona la possibilità di visitare i caseifici ed imparare qualcosa in più riguardo questo versatile alimento (non condimento, come sentiamo dire talvolta).

È un fresco sabato di inizio aprile quando abbiamo deciso di recarci in provincia di Parma al caseificio Consorzio Produttori Latte, il cui edificio è una sorta di cattedrale nel deserto: il suo color rosso mattone si staglia imponente nella verde bassa parmense.

Entriamo nello spaccio ed incontriamo il Casaro che, mentre ci scruta con i suoi occhi scavati nel volto celati dietro due spesse lenti, ci accoglie chiedendoci se volessimo fare un giro nelle aree di lavoro, non ci dà troppa confidenza e rimane nel suo distacco formale, atipico per l’area geografica nella quale siamo. Vorrei trovare la chiave per entrare in contatto con quest’uomo apparentemente rude e schivo, ma non so bene quale possa essere il punto di collegamento tra noi due.

“sono sveglio dalle 5” anticipa (e così comprendiamo perfettamente il motivo del suo atteggiamento), “qui lavoriamo tutti i giorni, le vacche fanno il latte anche la domenica e noi abbiamo il compito di trasformarlo in Parmigiano Reggiano”; come potremmo biasimarlo, del resto?

Inizia la visita ed il Casaro si “ammorbidisce” condividendo curiosità e passaggi importanti delle attività, compresa la quantità di latte necessaria a produrre una forma “pensate che servono 1100 litri di latte per creare due forme di Parmigiano Reggiano, circa 14 litri per ogni kg, se pensate al solo costo del prodotto ed al costo del latte, capite quanto sia conveniente per il consumatore acquistarlo”, come dargli torto?

Passiamo una prima stanza disseminata di caldaie per il riscaldamento del latte, la stanza della formatura, la salagione, fino ad arrivare al magazzino di stagionatura: una sorta di bengodi per gli appassionati di cibo.

Scaffali, su scaffali, su scaffali crescono dal terreno al tetto come una foresta di querce fittissima e ciascun ripiano è densamente popolato di forme di Parmigiano Reggiano. Il Casaro afferra una forma da 40kg con la stessa naturalezza con la quale noi berremmo un bicchiere d’acqua, la appoggia sul fianco su di uno sgabello rialzato, estrae il suo martelletto e comincia a percuoterla con movimenti ordinati, precisi e sapienti. Inizia così una sorta di danza: la mano sinistra rotea la forma, la destra la percuote con il martelletto, l’orecchio ascolta come se udisse la melodia di uno Stradivari ed il sorriso si spalanca nei suoi occhi. Abbiamo trovato la chiave, è il suo Parmigiano Reggiano.

Rimette la forma sullo scaffale e ne afferra un’altra… Riprende il rito ma stavolta il sorriso non si apre, finchè non ci guarda chiedendo “avete sentito?”, senza specificare cosa dovessimo udire. Ricomincia il rito e batte inspiegabilmente due volte sullo stesso punto… Rispondo “tof”… “giusto” dice lui: il suono è diverso e la forma, apparentemente perfetta, rivela una pecca che non le farà passare il severo controllo del Consorzio e pertanto non potrà diventare Parmigiano Reggiano, con il noto marchio a fuoco.

Chiudiamo la visita ed oramai abbiamo creato il nostro personale collegamento, a tal punto da fargli confessare “ho iniziato questo mestiere da giovanissimo, mi ero prefissato di farlo per 3-4 anni, ma non ho più smesso, come fai a non innamorarti del Parmigiano Reggiano?”

Risaliamo in auto e prima di rovinare il silenzio con il rumore del motore, rifletto… E’ proprio vero, come fai a non innamorarti del Parmigiano Reggiano?