Tartufo

Tartufo     TartufoNero

Tuber Micheli, è un genere di funghi dell’ordine Pezizales, famiglia Tuberaceae.

Al genere Tuber appartengono diverse specie di funghi ipogei comunemente chiamati tartufi, appartenenti alla famiglia Tuberaceae, classe degli Ascomiceti. I tartufi hanno corpo fruttifero ipogeo, ovvero sotterraneo, e crescono spontaneamente nel terreno accanto alle radici di alcuni alberi o arbusti, in particolare querce e lecci, con i quali stabiliscono un rapporto simbiotico (micorriza).

Comunemente per tartufo si intende il solo corpo fruttifero ipogeo che viene individuato con l’aiuto di cani e raccolto a mano. Il tartufo è un alimento estremamente pregiato e ricercato, molto costoso. Il tipico profumo penetrante e persistente si sviluppa solo a maturazione avvenuta e ha lo scopo di attirare gli animali selvatici (maiale, cinghiale, tasso, ghiro, volpe), nonostante la copertura di terra, per spargere le spore contenute e perpetuare la specie.

Sotto la denominazione di tartufo vengono ricomprese comunemente anche le terfezie, genere della famiglia Terfeziaceae, detti anche tartufi del deserto. Sono endemici di aree desertiche e semi-desertiche dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dove sono molto apprezzati.

La scienza che studia i tartufi si chiama idnologia e deriva dal greco ὕδνον, hýdnon.

Le specie di questo genere presentano il carpoforo globoso, con la superficie esterna (peridio) liscia o verrucosa, l’interno (gleba) marmorizzato, spore brune, sub-globose o ellissoidali, reticolate o spinose.

Il termine “tartufo”

L’origine della parola tartufo fu per molto tempo dibattuta dai linguisti, che dopo secoli di incertezze giunsero alla conclusione, ritenuta probabile ma non definitiva, che tartufo derivasse da territùfru, volgarizzazione del tardo latino terrae tufer (escrescenza della terra), dove tufer sarebbe usato al posto di tuber (vedi Dizionario Italiano Sabatini-Coletti, Giunti, Firenze 1999). Anche se, in effetti, i latini chiamavano questo fungo terrae tuber, l’etimologia proposta appare forzata. Recentemente, lo storico Giordano Berti, creatore dell’Archivio Storico del Tartufo, ha dimostrato in modo convincente che il termine tartufo deriva da terra tufule tubera. [1] Questo titolo appare in testa ad un’illustrazione della raccolta del tartufo contenuta nel Tacuinum sanitatis, codice miniato a contenuto naturalistico risalente al XIV secolo, conosciuto in diverse versioni. Il termine tartufo nasce quindi, secondo Berti, dalla somiglianza che nel Medioevo si ravvisava tra questo fungo ipogeo e il tufo, pietra porosa tipica dell’Italia centrale. Il termine si contrasse poi in terra tufide e nei dialettali tartùfola, trìfula, tréffla, trìfola. Il termine tartufo cominciò a diffondersi in Italia nel Seicento, ma nel frattempo la dizione volgare era già emigrata in altri paesi d’Europa assumendo varie dizioni: truffe in Francia, Trüffel in Germania, truffle in Inghilterra.

Il mondo antico

Le prime notizie certe sul tartufo compaiono nella Naturalis Historia, di Plinio il Vecchio. Nel I secolo d.C., grazie al filosofo greco Plutarco di Cheronea, si tramandò l’idea che il prezioso fungo nascesse dall’azione combinata dell’acqua, del calore e dei fulmini. Da qui trassero ispirazione vari poeti; uno di questi, Giovenale, spiegò che l’origine del prezioso fungo, a quell’epoca chiamato “tuber terrae”, si deve ad un fulmine scagliato da Giove in prossimità di una quercia (albero ritenuto sacro al padre degli dèi). Poiché Giove era anche famoso per la sua prodigiosa attività sessuale, al tartufo da sempre si sono attribuite qualità afrodisiache. Scriveva il medico Galeno: “il tartufo è molto nutriente e può disporre della voluttà”.

Il Medioevo e il Rinascimento

Tra gli autori rinascimentali degni di nota occorre citare almeno il medico umbro Alfonso Ceccarelli, il quale scrisse un libro sul tartufo, l’Opusculus de tuberis (1564), dove sono riassunte le opinioni di naturalisti greci e latini e vari aneddoti storici. Da questa lettura risulta che il tartufo è sempre stato cibo altamente apprezzato, soprattutto nelle mense di nobili ed alti prelati. Per alcuni, il suo aroma era una sorta di “quinta essenza” che provocava sull’essere umano un effetto estatico.

Una ricerca svolta da Raoul Molinari e Giordano Berti su cronache medievali e rinascimentali, testi corografici del Regno sabaudo, lettere di cronisti e viaggiatori sette e ottocenteschi, ha portato alla luce una straordinaria quantità di notizie che esaltano l’intero Monferrato (area che storicamente comprende il Casalese, l’Alessandrino occidentale, l’Acquese, l’Astigiano, le Langhe e il Roero) come luogo di produzione dei più eccellenti e profumati tartufi, superiori per qualità a quelli francesi.

Tra i luoghi che fin dal Medioevo sono rinomati per la ricerca ed il commercio dei tartufi emergono in particolare due città: Casale Monferrato i cui tartufi, prima dell’annessione al Regno del Piemonte, erano destinati alla corte mantovana dei Gonzaga; Tortona, centro di rifornimento per i Visconti-Sforza di Milano.

Produzione e uso

I tartufi sono relativamente rari, in quanto la loro crescita dipende da fattori stagionali, oltre che ambientali. In certe annate di particolare scarsità arrivano a costare cifre molto elevate (per il Tuber magnatum Pico, il bianco più pregiato, talvolta si è arrivati a 4.500 euro al chilo).

L’Italia è uno dei maggiori produttori mondiali ed esportatori di tartufi. Nell’intera Penisola è possibile raccogliere tutte le specie di tartufo impiegate in gastronomia.

Le più importanti zone di produzione di tartufo bianco sono, per via della loro conformazione geografica, il Piemonte (in particolare Alba, la provincia di Asti e una parte della provincia di Torino),la Lombardia sud-orientale (Carbonara di Po, nella protetta Isola Boscone – http://stradadeltartufo.org/eventi/feste-del-tartufo-2013/dal-26-ottobre-al-10-novembre-2013-a-carbonara-di-po), l’Emilia-Romagna (tutta la fascia appenninica a partire da Piacenza, ed in particolare i Colli bolognesi e forlivesi), la Toscana (specialmente i comuni di San Miniato e San Giovanni d’Asso), le Marche (con in testa Acqualagna e Sant’Angelo in Vado), l’Abruzzo con il paese abruzzese di Ateleta in provincia dell’Aquila.

Anche il piccolo Molise è considerato una delle prime regioni europee per la crescita di tartufo bianco pregiato. Le zone molisane di maggiore raccolta sono quelle ricadenti nei comuni di Frosolone, Spinete, Larino e San Pietro Avellana.

È stato ritrovato in Molise il Tartufo Bianco di circa 900gr. venduto all’asta al miliardario cinese Stanley Ho, che lo ha acquistato per 250 mila dollari. Una notizia che conferma il Molise quale ottima terra di produzione del prezioso tartufo bianco, e non solo, con ben il 40% della raccolta nazionale di Tuber Magnatum Pico.

Molto più comune invece il tartufo nero, che vede in Umbria e in Molise alcune delle zone più vocate alla sua produzione, sia della varietà estiva (il cosiddetto “scorzone”), sia della più pregiata varietà invernale (Tuber melanosporum). Altre produzioni, di recente scoperta, in Campania (specie nel Sannio, in Irpinia), Calabria, Basilicata e Sicilia dove i tartufi hanno iniziato ad essere valorizzati solo in tempi recentissimi.

Ricerca con maiali e cani

In Italia è sempre possibile raccogliere tartufi, salvo il periodo di fine aprile. Tradizionalmente la raccolta era compiuta impiegando un maialino. Il problema di tale metodo è che il maiale è ghiotto di tartufi, ed occorre trattenerlo per impedirgli di mangiare il ritrovato.

Al giorno d’oggi, in Italia si impiegano esclusivamente cani debitamente addestrati. Non si impiegano razze particolari (a parte il lagotto romagnolo), al contrario in genere si sceglie un bastardo di piccola taglia. Invece in alcune regioni della Francia, in particolare nel Lot e nel Périgord, si usa ancor oggi andare in cerca di tartufi con maiali perfettamente addestrati; un’abitudine che in Italia, come ha dimostrato un’accurata ricerca di Giordano Berti su una grande quantità di riviste illustrate e fotografiche, è scomparsa nel secondo dopoguerra in seguito alla crescente richiesta di tartufi ed al conseguente sviluppo di “scuole” per l’addestramento di cani da tartufo.

Nonostante l’associazione dell’immagine del cinghiale al tartufo, la raccolta con cinghiale non è stata mai utilizzata, a causa dell’evidente difficoltà di controllare un animale selvatico e non addomesticabile.

Coltivazione

La coltivazione del tartufo o tartuficoltura è allo stadio sperimentale in Italia ed in Francia. Per creare un terreno adatto alla produzione intensiva del tartufo, o tartufaia coltivata, occorre scegliere un terreno calcareo e povero di humus, scegliere una varietà di tartufo ed impiantare essenze arboree ed arbustive tartufigene (quercia, nocciolo, salice, leccio). Le pianticelle sono preventivamente micorizzate, ovvero le radici sono già in simbiosi con le ife fungine prescelte. I risultati della tartuficoltura sono stati deludenti con le specie più pregiate di tartufo (Tuber magnatum Pico), mentre con le altre specie la produzione raggiunge ottimi livelli di qualità e quantità. Data la forte domanda non ci sono stati ancora forti impatti sui prezzi.

Risultati ottimi si sono avuti con l’impianto di ulteriori piantine micorrizzate in aree boschive dove il tartufo cresce naturalmente. Per tartufaia controllata si intende una tartufaia naturale migliorata con opportune pratiche colturali ed incrementate con la messa a dimora di idonee piante arboree ed arbustive tartufigene, preventivamente micorrizate.

Preparazione

Raramente viene commercializzato intero e fresco, a causa del costo esorbitante, della difficoltà di trasporto e conservazione e della caratteristica attitudine del tartufo ad essere trasformato in modo creativo. È sufficiente infatti una ridottissima quantità di tartufo per insaporire un piatto o una salsa, e l’enorme valore aggiunto della lavorazione stimola il proliferare di piccole imprese di trasformazione. Vengono preparati normalmente vasetti con tartufi interi di piccole dimensioni, e anche altri prodotti a base di tale fungo: carpaccio (ovvero a fettine molto sottili), salse pronte omprendenti in genere una base di funghi, che si prestano all’uso su crostini, bruschette, pasta di grano duro, pasta fresca o di soia, bistecche di filetto. Altre preparazioni comuni sono la grappa e l’amaro al tartufo. Gli oli d’oliva aromatizzati al tartufo sono molto richiesti, ma a causa di difficoltà insite nel processo di produzione, la maggior parte di essi vengono preparati con aroma di sintesi a base di bis-metiltiometano: sono quindi prodotti non naturali. Tale aroma viene spesso aggiunto anche a salse con polpa di tartufo. Per evitare di acquistare prodotti sintetici occorre osservare se sull’etichetta appare la dicitura “aroma” che significa, in pratica, a base di bis-metiltiometano. Quando il prodotto è naturale in genere non appare alcuna specifica oppure è specificato come “aroma naturale”. Alcune preparazioni particolari si stanno affermando grazie all’inventiva dei produttori, come le peschette al tartufo d’Abruzzo, preparati con pesche verdi nane, olio ed aceto.

Legislazione

La legge dal 1985, in seguito all’incremento della raccolta e al diffondersi di pratiche non eco-compatibili, ha regolato la raccolta di tartufi. La legge 16 dicembre 1985, n. 752, “Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo” (g.u. 21 dicembre 1985, n. 300) ha dato mandato alle Regioni di regolare la raccolta sul proprio territorio, stabilendo alcune regole comuni:

•          è vietato commercializzare tartufi immaturi o non appartenenti alle 9 specie elencate di seguito;

•          la raccolta dei tartufi è libera nei boschi e nei terreni non coltivati, compresi i pascoli;

•          la raccolta nelle tartufaie “coltivate” ed in quelle “controllate” compete ai titolari della loro conduzione, se debitamente autorizzate, delimitate e segnalate;

•          la raccolta tramite zappatura, sarchiatura ed aratura è severamente punita in quanto uccide il fungo;

•          è vietato l’utilizzo del maiale per la ricerca del tartufo, a causa dei danni ambientali provocati da questo animale nella ricerca.

Specie di Tuber

Queste sono le specie di Tartufo la cui raccolta è consentita in Italia. Esistono altre specie, lievemente tossiche e di odore nauseabondo, e che quindi non si prestano alla raccolta. Non esistono specie molto tossiche o velenose.

  • 1.         Tartufo bianco pregiato, Tuber magnatum Pico
  • 2.         Tartufo nero pregiato, Tuber melanosporum Vittad.
  • 3.         Tartufo moscato, Tuber brumale var. moschatum De Ferry
  • 4.         Tartufo nero estivo, Scorzone, Tuber aestivum Vittad.
  • 5.         Tartufo uncinato, Tuber uncinatum Chatin
  • 6.         Tartufo nero invernale, Tuber brumale Vittad.
  • 7.         Tartufo bianchetto o Marzolino, Tuber borchii Vittad. = Tuber albidum Pico
  • 8.         Tartufo nero liscio, Tuber macrosporum Vittad.
  • 9.         Tartufo nero ordinario o tartufo di Bagnoli, Tuber mesentericum Vittad., di scarso valore economico, considerato da alcuni un omonimo del Tuber aestivum..
  • 10.       Tuber excavatum Vittad.
  • 11.       Tuber puberulum Berk. & Broome
  • 12.       Tuber oligospermum Vitt.
  • 13.       Tartufo rossetto, Tuber rufum Pico

La denominazione Vitt. o Vittad. si riferisce a Carlo Vittadini, scopritore di diverse specie.

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

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StatuaDelCavatore
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TartufoNero
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Pubblicato da peperonciniedintorni

Calogero Rifici nato a Mirto (ME) nel lontano 13 aprile 1958, sono Perito Meccanico e studio cucina, fotografia, elettronica, informatica, ec, ec. Nel 1982 mi sono trasferito a Firenze, per lavorare nel primo impianto di smistamento d’Italia, nel 1984 mi sono sposato con Marina e ci siamo trasferiti a Livorno, sul mare, perché ci nasce sul mare difficilmente ci rinuncia. Per circa 6 anni ho insegnato Office automation in una scuola superiore, ho tenuto diversi corsi di informatica in diverse aziende. Per tanti Anni ho lavorato come specialista infrastrutture per una grande azienda di servizi, mi occupo di sicurezza. Dal gennaio 2019 sono libero professionista, nel campo enogastronomico Dal 2002 sono membro dell’accademia del peperoncino, dal 2008 sono Sommelier Fisar delegazione Livorno. Da 2013 ho un blog, www.peperonciniedintorni.it dove pubblico notizie enogastronomiche e ricette. Quando nelle ricette uso ingredienti particolari, prima spiego gli ingredienti che uso e poi illustro le ricette. Le mie ricette sono o tradizionali o di mia creazione, cerco di valorizzare i prodotti che uso. Faccio parte della delegazione Slow Food di Livorno, e cerchiamo di far conoscere la natura, specialmente ai bambini.

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