Novembre, tempo di tartufi
Scopriamo insieme differenze e aneddoti del tartufo, bianco o nero che sia.
Bianchi e neri suona un po’ come guelfi e ghibellini: l’Italia si divide anche sui tartufi? Per la verità non è il nostro Paese, dove convivono le due specie più pregiate di Tuber, il terreno di scontro tra i sostenitori dell’una e dell’altra. Disfida alquanto insensata, trattandosi di prodotti gastronomici entrambi di eccellenza ma che differiscono, se non altro, per modalità riproduttive e usi culinari: Tuber melanosporum Vittadini (nero di Norcia o di Spoleto) è coltivabile e sprigiona il massimo del suo aroma in cottura; Tuber magnatum Pico (bianco d’Alba o di Acqualagna) cresce solo allo stato spontaneo, in determinati ambienti di aree ristrette, e va mangiato crudo. Il tartufo nero pregiato si trova con relativa abbondanza un po’ in tutta Europa e in molte regioni dell’Italia peninsulare. Quasi esclusivo del nostro Paese, o meglio di alcuni suoi settori – in particolare le colline piemontesi, la media pianura padana e l’Appennino centrale –, è invece il bianco pregiato: oltre che in Italia, si trova solo in Croazia, Romania e Bulgaria. La sua rarità e irriproducibilità ne fanno il tartufo più ricercato e, ovviamente, costoso. In questo senso può essere lecito vantarne la superiorità: circostanza cui, va da sé, non si sono rassegnati i francesi, i quali, privati dalla natura delmagnatum, si sono eretti a paladini del melanosporum, assegnando alla loro truffe du Périgord il primato nell’insensata disfida tra bianchi e neri. Eppure un francese non sospetto di sentimenti antipatriottici, Jean-Anthelme Brillat-Savarin, nella Fisiologia del gusto (1825), scriveva: «In Piemonte vi sono i tartufi bianchi, che sono molto pregiati». E vari documenti testimoniano un interesse francese per le trifole subalpine: nel 1814 Luigi XVIII chiedeva di ricevere tartufi dal Piemonte come ai tempi antecedenti la Rivoluzione, e nel 1723 Luigi XV pregava il nonno Vittorio Amedeo II di Savoia di inviargli un cercatore esperto e dei cani.
Già, i cani. Indispensabili per individuare e dissotterrare i tartufi, sono perlopiù esemplari di razza indefinita, meticci di taglia medio-piccola, robusti, obbedienti e dall’olfatto molto sviluppato. Le cronache delle fiere italiane del tartufo (una sessantina, di cui una sola internazionale, quella di Alba) hanno registrato le performance di alcuni di loro: la cagnolina Fruja, per esempio, che nel 1979, in coppia con il trifolao Pinòt, recuperò sulla sponda sinistra del Tanaro un magnatum di oltre un chilo e mezzo, di cui l’acquirente fece omaggio a papa Giovanni Paolo II. Ma il massimo campione di tutti i tempi pare essere stato Pulìn: addestrato all’Università dei cani da tartufo della famiglia Monchiero, a Roddi, si narra arrivasse a scovare anche cinque chili di trifole in una sola notte. Per rimanere sull’attualità. Dopo le elezioni dimidterm negli Usa in questi giorni si fa un gran parlare del presidente Truman. Nel 1951 Giacomo Morra, uno dei più grandi commercianti di tartufi d’Italia, spedì al presidente americano Harry Truman un tartufo da peso record di 2519 grammi, trovato a Novello. Il profumo insospettì la Cia.
E per saperne di più, non perdetevi Alla scoperta del tartufo, Slow Food Editore
Fonte: Carlo Petrini, La Repubblica,
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