E’ tempo di riscrivere la piramide qualitativa dei vini italiani
Per decenni ha rappresentato l’immagine e il posizionamento dei nostri vini nel mondo, ma sempre più oggi appare slegata da quella che è la produzione vitivinicola del nostro Paese con conseguenze negative sotto il profilo della reputazione della nostra offerta enologica.
E’ da un po’ di tempo che evidenziamo l’importanza di ripensare la nostra famosa piramide qualitativa dei vini. Non solo perché in quest’ultimo decennio, in particolare, si è modificata parecchio la nostra produzione (nel 2014, ad esempio, gli imbottigliamenti delle doc hanno superato le igt: 8,8 milioni di ettolitri contro 8,5) ma anche, e ci verrebbe da dire soprattutto, perché si rende sempre più necessaria una chiave di lettura seria e credibile della nostra offerta enologica, soprattutto per i mercati internazionali.
In estrema sintesi, a nostro parere, potremmo affermare che difficilmente potremo conseguire un corretto riconoscimento del valore (economico) e una adeguata riconoscibilità ai nostri vini senza una piramide qualitativa che abbia e dia un senso alla nostra struttura produttiva.
Non sarà un lavoro semplice e, questa volta, ci auguriamo, parta seriamente da quelle che sono le reali caratteristiche del territorio vitivinicolo italiano. Una seria e credibile classificazione, infatti, deve rappresentare innanzitutto la vera vocazionalità produttiva non tanto quel mare di norme “burocratiche” dei nostri disciplinari di produzione.
Si deve partire dal principio, storicamente acquisito in Francia, che una piramide qualitativa non è tale se non rispecchia proprio le vocazionalità qualitative dei territori di produzione, delle denominazioni.
Un acronimo come docg o doc rappresenta il nulla se dietro non c’è una ragione, un senso spiegabile e percepibile per trade e consumatori.
Dovrà essere un lavoro, quindi, da non mettere nelle mani dei “legislatori” ma finalmente costruito su un pool di esperti di viticoltura, agronomia, enologia, marketing ed aderente ai reali fabbisogni dei produttori e del mercato.
Una rivoluzione vera, non il solito maquillage normativo.
Una rivoluzione che siamo convinti porterà finalmente anche all’uscita di tante doc, docg mai realmente rivendicate dai produttori italiani. Una montagna di brand purtroppo senza senso che però tanta confusione hanno creato all’immagine del nostro sistema vitivinicolo.
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