RACCONTA IL FORMAGGIO DEL CUORE: IL MONTEBORE

CONCORSO: RACCONTA IL FORMAGGIO DEL CUORE

Il concorso: “Racconta il formaggio del cuore” è arrivato alla terza edizione e come per gli anni precedenti ho voluto partecipare con il mio contributo. Il concorso è indetto dall’Ecomuseo delle acque del Gemonese e la Condotta Slow Food “Gianni Cosetti”, in collaborazione con QBquantobasta, rivista mensile di gusto e buon gusto nell’euroregione.

Lo scopo principe del concorso è quello di raccontare e diffondere la storia, le origini, la tradizione di un formaggio a latte crudo, in via d’estinzione e presente nell’elenco dei prodotti dell’Arca del Gusto di Slow Food, illustrandone caratteristiche, territorio e modalità di produzione ed in ultimo corredato da una ricetta utilizzando il formaggio scelto.

Il primo anno ho parlato dello Stracchino all’antica delle Alpi Orobiche classificandomi terza.

L’anno scorso ho vinto il concorso parlando dell’Agrì di Valtorta, un piccolo formaggino cilindrico prodotto nell’omonimo paesino di Valtorta in provincia di Bergamo.

Quest’anno invece, ho parlato del Montébore, un formaggio misto vaccino e di pecora, classificandomi seconda. Insomma tre anni di concorso, tre anni sul podio non male.

Questo è l’articolo integrale. Buona lettura!

CONCORSO: RACCONTA IL FORMAGGIO DEL CUORE

UNA GIORNATA DA HEIDI, TRA MONTI, PECORE E FORMAGGI

Ognuno di noi ha sicuramente un cartone animato del cuore, un cartone animato che ci ha fatto sognare e ancora oggi lo ricordiamo con una sorta di nostalgia, di quando si era piccoli, spensierati e l’unico problema era quello di non sbucciarsi le ginocchia, altrimenti chi la sentiva la mamma!

Il mio cartone animato preferito è stato senz’altro Heidi, questa bambina piccola, dolce, curiosa, determinata e piena di vita che è riuscita perfino ad intenerire il cuore del nonno dal carattere burbero, rude e piuttosto silenzioso.

Io che abitavo in città, vedevo Heidi come una bambina fortunata con le sue corse in mezzo ai campi, il suo amico a quattro zampe Nebbia, il suo compagno di avventure Peter e le sue bellissime caprette Bianchina e Bella.

A distanza di anni vivo ancora in città, Heidi rimarrà sempre il mio cartone animato del cuore, ma… da Natale dell’anno scorso, posso dire di avere anche io una capretta, anzi per la precisione una pecora, ma non una pecora qualunque, una pecora da Montébore che vive nelle valli Piemontesi.

Grazie al mondo dei social, come regalo di Natale, ho adottato una pecora da Montébore. Non è stato semplice da spiegare, molta gente l’avrà interpretata come l’ennesima mia pazzia. In realtà è stata una scelta dettata dal cuore, dal mio amore per i formaggi e dalla voglia di mantenere in vita un pezzo della cultura gastronomica italiana, ossia il formaggio Montébore prodotto nell’Alessandrino e annoverato tra i formaggi tutelati dal Presìdio Slow Food.

L’adozione è una forma carina ed originale per aiutare il caseificio al proprio mantenimento, alla sussistenza del bestiame e alla salvaguardia e produzione del formaggio, che altrimenti andrebbe perso, e durante la festa dedicata alle famiglie adottive, ho avuto la possibilità di conoscere la mia “Bianchina”, di mungerla e di assistere alla produzione del formaggio. Insomma mi sono sentita una piccola Heidi.

Il formaggio Montébore è un formaggio a latte crudo, attualmente prodotto solo da una cooperativa che grazie alla ricetta dell’unica depositaria, Carolina Bracco, è stato rimesso in produzione dopo un lungo periodo di fermo.

Questo formaggio, è prodotto nella sola zona delle Valli Curone e Borbera, ed è composto al 75% da latte vaccino, ed in particolare da quattro razze diverse di mucche, le Brune Alpine, le Tortonesi, le Genovesi e la Cabannina, mentre il restante 25% è latte ovino, prodotto appunto della pecora Montébore.

La tradizione del Montébore è antichissima e sulla paternità della tipica forma a torta nuziale, 3 formelle a dimensione decrescente, vi sono correnti di pensiero diverse. C’è chi attribuisce i natali, alle nozze che si tennero a Tortona nel 1489 tra Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza e l’unico formaggio contemplato nel menù, era proprio il Montébore, e la forma è stata interpretata come un omaggio ai novelli sposi.

Altri, invece, ritengono che sia da ricondursi ai torrini del Castello di Montébore, frazione del comune di Dernice in provincia di Alessandria, la cui peculiarità è proprio data dalla forma a torta nuziale.

Tuttavia, la nascita di questo prelibato formaggio, sembrerebbe ancora più antica grazie all’arte casearia dei monaci benedettini dell’Abbazia di Santa Maria di Vendersi, ubicata sul monte Giarolo attorno al quale si svilupparono le tre Valli Grue, Curone e Borbera.

Ed è proprio in queste valli che i contadini durante tutto l’anno producevano il formaggio. Nel periodo invernale stavano a valle, dove il bestiame veniva ricoverato nelle stalle e nutrito principalmente con il fieno prodotto durante il periodo estivo.

In estate, invece, i contadini si trasferivano nelle baite assieme al bestiame cosicché potevano nutrirsi di erba fresca, ricca di principi nutritivi e conferire quindi un sapore più intenso e corposo al latte, dando vita ad un formaggio dal gusto pieno, ricco e saporito.

Il latte di pecora è meno grasso rispetto a quello vaccino, ma il tipico sapore pungente e leggermente salato conferisce al formaggio una nota piccante naturale che viene esaltata ancora di più con una stagionatura di quattro o cinque mesi.

Il Montébore come detto precedentemente, è un formaggio a latte crudo, ossia lavorato appena munto e quindi ad una temperatura corporea compresa tra i 35° e 37°.
I contadini all’interno delle stalle avevano una zona dedicata alla produzione del formaggio e questo oltre a rendere più veloce la produzione, faceva sì che il latte non si raffreddasse ma mantenesse la temperatura.

Una volta versato il latte di vacca e di pecora all’interno di grossi recipienti, oggi si usano delle vasche in rame per mantenere il calore, veniva aggiunto del caglio naturale, solitamente l’abomaso, l’intestino del vitello che durante il periodo di svezzamento permette al piccolo di digerire il latte materno.

Per questo motivo i vitellini venivano macellati durante il periodo dello svezzamento, altrimenti l’abomaso si sarebbe atrofizzato rendendolo inutilizzabile.

Una volta che il contadino aveva aggiunto il caglio naturale al latte, attendeva circa un’ora così da formare la cagliata. Trascorso il tempo di rapprendimento, la cagliata veniva rotta ottenendo dei grumi della dimensione di una noce, dopo un ulteriore riposo di circa mezz’ora, la cagliata veniva ulteriormente rotta così da avere dei grumi della dimensione di una nocciola.

Il prodotto così ottenuto veniva posto nelle formelle, chiamate “ferslin”, dal diametro decrescente. Nella mezz’ora successiva per favorire la fuoriuscita del siero, la pasta veniva girata per quattro o cinque volte, quindi ogni formella veniva salata a mano e riposta in un luogo fresco per le successive 10 ore.

Trascorso il tempo di riposo, il contadino toglieva il formaggio dai ferslin e le forme venivano sovrapposte così da creare la tipica forma della torta nuziale o “castellino”.

Le forme di formaggio così ottenute venivano messe a stagionare in un luogo fresco ed asciutto.

Gli anni sono passati ma il Montébore viene ancora prodotto come vuole la tradizione, utilizzando le formelle di diverso diametro, il tutto a mano, senza l’aiuto di macchinari ma solo con la sapiente maestria dei casari, che con amore e passione danno vita a questo piccolo gioiello.

E’ possibile degustare il Montébore già dopo 20 giorni. In questo caso avremo un formaggio a pasta morbida e pastosa, dal sapore delicato e dolciastro. Per una stagionatura media si dovranno attendere due mesi, mentre gli amanti del formaggio stagionato, potranno degustarlo dal quarto/quinto mese e potranno percepire il piccante dato dal latte di pecora che si sposerà perfettamente con composte di frutta e verdure dolciastre quali zucca, zucchine e verza. Dopo i 6 mesi di stagionatura il Montébore può essere utilizzato in sostituzione del formaggio grattugiato.

Il Montébore è un formaggio a tutto tondo, che accontenta il palato di tutti gli amanti del formaggio e che sicuramente sapranno cogliere ogni minima sfumatura grazie al mix di latte vaccino e di pecora. Un formaggio che grazie all’alimentazione invernale o estiva del bestiame può conferire dei sentori diversi ma lasciando inalterato il carattere e la leggera piccantezza, conferita dal latte ovino.

Il Montébore è sicuramente il formaggio del mio cuore perché grazie all’adozione lo sento un po’ anche mio, perché la sua storia mi ha affascinata dal primo momento che l’ho letta e perché lui un po’ mi rappresenta dolce ma all’occorrenza pungente, morbida ma quando serve dura e decisa.

Ed è proprio dalle note pungenti, piccanti e decise di questo formaggio e dal noto proverbio toscano “Al contadino non far sapere quanto è buono il cacio con le pere”, che ho cercato di esaltare al meglio il Montébore, stagionato cinque mesi, utilizzandolo per mantecare un risotto, abbinandolo a delle pere Williams spadellate con burro e rosmarino il tutto guarnito dalla granella di nocciole, visto che ci troviamo in Piemonte.

Ho utilizzato del burro di malga per non snaturare la ricetta in quanto i contadini oltre al formaggio producevano anche il burro, fondamentale per condire le pietanze.

Con il “Risotto mantecato al Montébore con pere spadellate al rosmarino e granella di nocciole” ho voluto rendere omaggio all’autunno e alla regione che ha dato i natali a questo strepitoso formaggio.

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Pubblicato da lericettedielenuar

Creare in cucina mi rilassa e mi fa sentire creativa. Amo cucinare per me, la mia famiglia e i miei amici. Ho deciso di creare questo blog per condividere con voi le mie creazioni dolci e salate.