CONCORSO: RACCONTA IL FORMAGGIO DEL CUORE
Anche quest’anno come l’anno scorso ho partecipato al concorso: “Racconta il formaggio del cuore” indetto dall’Ecomuseo delle acque del Gemonese e la Condotta Slow Food “Gianni Cosetti”, in collaborazione con QBquantobasta, rivista mensile di gusto e buon gusto nell’euroregione.
Il concorso ha come scopo quello di raccontare la storia, le origini, la tradizione di un formaggio a latte crudo, in via d’estinzione e presente nell’elenco dei prodotti dell’Arca del Gusto di Slow Food, illustrandone caratteristiche, territorio e modalità di produzione ed in ultimo corredato da una ricetta utilizzando il formaggio scelto.
L’anno scorso avevo parlato dello Stracchino all’antica delle Alpi Orobiche, leggi qui l’articolo e mi ero classificata terza.
Per il concorso di quest’anno ho scelto come formaggio del cuore l’Agrì di Valtorta, un piccolo formaggino cilindrico prodotto nell’omonimo paesino di Valtorta in provincia di Bergamo.
Per prepararmi al meglio, ho visitato la Latteria sociale di Valtorta, leggi qui il post sulla giornata e quindi devo ringraziare Silvano Busi e gli altri ragazzi della latteria che mi hanno dedicato del tempo e spiegato nei dettagli la produzione dell’Agrì.
Sono stata contentissima di aver partecipato e il lavoro è stato ulteriormente premiato visto che ho vinto il concorso. Una bellissima soddisfazione vedere apprezzato e valutato da persone competenti del settore, il proprio articolo.
Questo è l’articolo integrale. Buona lettura!
CONCORSO: RACCONTA IL FORMAGGIO DEL CUORE
RITORNO AL PASSATO CON L’AGRI’ DI VALTORTA
Vi ricordate il film Ritorno al Futuro 2, dove i protagonisti Doc, Marty e Jennifer si ritrovano catapultati nel futuro, mercoledì 21 ottobre 2015 per la precisione, con la loro DeLorean? Oggi, con questo mio racconto vorrei farvi fare un tuffo nel passato, con una macchina del tempo un po’ particolare….l’Agrì.
Cos’è l’Agrì? Semplice, un formaggio a latte crudo conosciuto come l’Agrì di Valtorta.
Valtorta è un piccolissimo comune della Val Brembana, che conta poco meno di 300 abitanti, a ridosso delle montagne e con una piccola stradina lastricata che collega il municipio al Duomo e alle scuole.
Arrivo a Valtorta, in una uggiosa giornata autunnale e un’atmosfera surreale avvolge questo paesino, non si sentono rumori di macchine o motorini ma solo l’acqua che scorre nel fiumiciattolo vicino e il vociare delle persone che si salutano quando s’incontrano.
Un brivido mi scorre lungo la schiena ed immancabilmente mi riporta alla mente la cascina dove abitava mia nonna. Una cascina in mezzo al nulla nella bassa bergamasca, dove in estate l’unico rumore che sentivo era il canto dei grilli o delle ranocchiette dentro il fosso, mentre in inverno ero lo scoppiettio della legna che ardeva nella stufa, a scandire le nostre serate.
Anche il dialetto, seppur con delle parole diverse, mi ricorda mia nonna e i suoi discorsi, a volte per me incomprensibili, che faceva con le donne che incontrava in paese.
Mi pervade un senso di malinconia, ma quasi subito viene scalciato via da una sensazione piacevole e di familiarità con quello che mi circonda, mentre mi avvicino al piccolo caseificio. Beh d’altronde lei amava i formaggi!
A Valtorta, sembra che il tempo si sia fermato, infatti è proprio qui, che ancora oggi come tanti tanti anni fa, si produce, secondo la tradizione e rigorosamente a mano, un formaggino a latte crudo, chiamato Agrì.
Negli anni ‘50/’60 i contadini della zona si riunirono e fondarono la latteria sociale, tutt’ora in attività, che aveva lo scopo di raccogliere il latte dei soci e trasformarlo in formaggio, burro e panna.
La latteria sociale aveva anche lo scopo di fungere da collante per la comunità e di lavorare per la comunità e non solo per il singolo, come avviene in malga, dove ogni contadino produce solo per il suo fabbisogno personale.
La latteria sociale, quindi diventa anche il fulcro ed il simbolo di Valtorta, non a caso è posta sulla stradina principale.
Tutte le mattine alla latteria arrivava il latte appena munto delle mucche, veniva travasato in grandi vasche di rame, così da mantenere la temperatura e grazie al lavoro dei casari si trasformava nei vari formaggi della zona, come il Formai de Mut, lo stracchino, l’Agrì e altri prodotti caseari come burro e panna.
L’Agrì di Valtorta, veniva già prodotto negli anni ‘50/’60 come semilavorato denominato “pasta di Agrì”.
In una comunità così piccola, era indispensabile che tutti contribuissero alla produzione dei formaggi, quindi gli uomini lavoravano nelle stalle e nel caseificio.
Le donne, invece, ogni settimana armate di gerla, percorrevano a piedi i sentieri che si snodavano attraverso i pascoli di Ceresola e i Piani di Bobbio, arrivando nella vicina Valsassina. Qui, la pasta di Agrì veniva venduta agli artigiani di Barzio e Introbio che procedevano alla sua trasformazione nel prodotto finito.
L’agrì, che significa “acido”, è un piccolo formaggino del peso di 50gr., con un diametro di 3cm. e 5cm di altezza. Al latte crudo, quindi una temperatura compresa tra i 35°C e 37°C , viene aggiunto una parte di siero acido e di caglio, solitamente l’abomaso del vitello e si attende quindi la cagliata.
L’abomaso è la parte di stomaco dei vitellini che serviva per digerire il latte materno, i quali venivano macellati a 40gg. dalla nascita per evitare che lo stomaco si atrofizzasse e non fosse più utilizzabile.
Una volta che la cagliata è pronta, si fa scolare il siero e si raccoglie la pasta mettendola in panni di lino. Viene quindi appesa e fatta scolare per 2 giorni. Una volta pronta, il casaro dove aver salato la pasta, inizia ad impastarla e una volta pronta inizia formare a mano i vari formaggini.
Una produzione unica, che ancora oggi viene fatta rigorosamente a mano. Ed è proprio qui che si vede l’abilità del casaro sopratutto perché non si utilizzano pese, ma la sua unica pesa è la mano.
Accedendo dal retro della latteria sociale, è possibile ammirare con quanta maestria e manualità vengono prodotti gli Agrì, tutti simili ma non uguali. In pochi minuti e con movimenti ben precisi, della semplice pasta di Agrì diventa l’Agrì!
Come i marinai rimanevano ammaliati dal canto delle sirene, io rimango ammaliata dai movimenti perfetti della mano del casaro. Eh sì perché basta solo una mano per produrre questi piccoli gioielli e pochi morsi per assaporarne la bontà. Colpita e affondata al cuore!
L’Agrì può essere consumato dopo una settimana, ed in questo caso avremo un prodotto più fresco ma leggermente più duro, se invece lo lasciamo stagionare per un mese, la pasta risulterà più morbida.
Questo formaggio, faceva parte dell’alimentazione contadina, per questo motivo era utilizzato in diversi modi, grattugiato, servito con altre pietanze, consumato in versione dolce con zucchero e cannella o in versione salata con olio e aceto balsamico.
Ed è proprio una ricetta della tradizione contadina che oggi vi presento. Lo gnoccone con l’Agrì, un gnocco di patate ripieno con prosciutto cotto, spinacio selvatico chiamato Parüc o Buon Enrico, che cresce spontaneo nei prati circostanti tra maggio e giugno.
Questo è un piatto ricco e nella cultura contadina anche piatto unico, in quanto abbiamo le patate che sostituiscono la pasta, la verdura e la carne sostituita con il prosciutto cotto ed in ultimo il formaggio. Insomma un piatto povero ma di gusto e carattere.
Vista la stagione in cui ci troviamo, io ho sostituito lo spinacio selvatico con le cimette di cavolo nero lasciando quindi inalterato l’effetto visivo, il sapore invece, è un po’ più incisivo con il cavolo nero, ma non sovrasta comunque gli altri ingredienti. Nella ricetta, vi è l’uso del burro in quanto sempre da tradizione, in montagna veniva prodotto il burro con la panna affiorata dal latte fresco, pertanto non c’era la cultura dell’olio. Per evitare di snaturare ulteriormente la ricetta, ho utilizzato il burro, sostituibile comunque con un ottimo olio extravergine di oliva.
Per leggere la ricetta intera, cliccate qui.”
Per questa esperienza ringrazio i miei genitori che mi hanno accompagnato sia nella giornata formativa alla Latteria Sociale di Valtorta, sia nel week end a Gemona del Friuli per la premiazione e la Fiera del Formaggio.
Ringrazio Etelca Ridolfo dell’Ecomuseo delle acque del Gemonese e la direttrice della rivista QBquantobasta Fabiana Romanutti, che mi hanno accolto e fatto sentire a casa.
Ringrazio tutta la giuria e tutte le persone che erano presenti alla premiazione.
Ci rivedremo l’anno prossimo con un altro articolo sul Formaggio del Cuore.
Elenuar
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