Ogni novità presto o tardi diventa normalità.

Ci sentiamo, per esempio, felicissimi quando usciamo dalla nostra zona di comfort e quella zona ci piace. Ci sembra quasi di vivere una nuova entusiasmante vita. Iniziamo a viverla, sembra bellissima, tanto che ci chiediamo perchè abbiamo aspettato così tanto.

Incontriamo persona nuove, nuove abitudini, nuovi modi di intendere il quotidiano. È quasi tutto perfetto. Perfetto fino a quando anche quella novità non diventa un’abitudine. Se qualcosa non si evolve in altro e rimane fine a sé stesso automaticamente diventa ovvio. Così la vita, gli amori, il cibo. Nessuna di queste è una passione. Le passioni sono gli sport, le attitudini, il modo di passare il tempo libero. Le passioni difficilmente muoiono. Ma se noi riuscissimo a trasformare la quotidianità della vita in passione, l’amore in passione (non quella dei primi mesi no, quella degli anni, del tempo), il cibo in passione (e non quella dei foodblogger no, quella delle sensazioni vere della condivisione), allora forse non arriveremmo mai al punto di partenza, o di fine, che è la stessa e identica cosa.

Ora vi chiederete, ok ma cosa centra adesso l’Amaro del Capo?

Beh l’Amaro del Capo rappresenta benissimo quello che sto cercando di dire. Quando questo amaro era ancora sconosciuto ai molti mio padre lo comprò chiedendomi di assaggiarlo. Mio padre è sempre stato un pioniere delle cose nuove, ha un innato talento nel riconoscere le cose di valore, certo a volte un po’ di abbagli li prende eh, come tutti del resto, se penso alla mia vita è piena di abbagli per esempio! Io mi ricordo che ero molto restia ad assaggiarlo, i calabresi (me compresa) che cosa volevano saperne di amari che non fossero alla liquirizia? Invece era buono, era buono davvero, molto più di quello che è ora, devo dirlo, molto più di quello che conoscono i molti adesso.

Questo amaro cominciò a spopolare in Italia, e io, che vivevo a Roma, potevo trovarlo tranquillamente nei supermercati e in quasi tutti i ristoranti. Ce n’era sempre una bottiglia nel mio freezer (rigorosamente in freezer) e quando non c’era, se mio padre veniva a trovarmi me ne comprava immediatamente una.

Quando vivevo con il mio ex fidanzato ci piaceva concludere le nostre serate (certo non tutte) con un piccolo bicchiere di quella bontà tanto zuccherosa. Nelle serate con gli amici e nei capodanni invece a volte esageravamo e la mattina eravamo preparati a un grande, grandissimo mal di testa. Ma del resto eravamo felici, capitava raramente, potevamo permettercelo.

Poi piano piano me ne sono disinnamorata, continuavo a sostenere che il gusto non fosse più lo stesso e che come tutte le cose inizialmente buone fosse poi diventato un prodotto troppo commerciale.

La verità era che ormai di quell’abitudine mi ero stancata

Ero arrivata al punto di rifiutarlo a fine serata nei ristoranti, anche quando mi veniva offerto, o nelle serate tra amici, lo ritenevo dannoso (e un po’ lo era dopo aver bevuto magari un po’ di birre o un po’ di bicchieri di vino). Non mi interessava più. Nel mio freezer, sia in quello romano che in quello milanese, non c’era più traccia di questo prodotto. Ho lasciato passare del tempo, come se tra me e lui dovesse esserci una riconciliazione che faticava a maturare, ma non ero affatto consapevole di questa cosa. Per me in realtà, in maniera conscia, era finita. Ma è l’inconscio che se la comanda sempre e lui non conosce volontà ragionevolmente applicate. 

Amaro del capo

Qualche mese fa ho iniziato a ricomprarlo, per averlo a disposizione dei mie amici, o di qualcuno a cui sapevo piacesse, mi piace prendermi cura delle persone a cui voglio bene, anche con piccole, piccolissime accortezze. Ieri sera invece per la prima volta sono tornata a casa con la voglia di berne un po’, per rasserenare l’animo, seduta fuori, sul balcone, a guardare le stelle e la luna calante. Mi sono resa subito conto che mi piace, mi piace ancora, che l’abitudine è passata, e adesso, dopo un po’ di pausa, è diventata invece una cosa che apprezzo più di prima, un momento per me e con me. Non ho passato la sera a bere sia chiaro, ne ho bevuto un piccolissimo bicchiere, mentre pensavo a questo testo e un po’ iniziavo a scriverlo, mentre pensavo anche a tutte le volte nella vita in cui mi sono arresa alla noia e invece dovevo scavare fino in fondo.

L’ho bistrattato, trattato davvero malissimo, ma il problema era in me, o forse non era un problema, era bisogno di riflettere, di capire. Come per tutte le cose bisogna rispettare le dosi giuste, che non sono sempre quelle consigliate. Bisogna vivere tutto a pezzetti, dando il giusto, mai troppo poco ma nemmeno troppo. Bisogna ascoltarsi e ascoltare. Viversi bene.

Ma stiamo parlando di un amaro, di un alcolico, di una cosa vietata ai minori come i film porno. Si, stiamo parlando esattamente di questo. Di cose che fanno parte della nostra vita, come i film porno cari maschietti. Solo che forse quelli non vi stancano mai. 

Sto paragonando la vita a un bicchiere di Amaro del Capo

Mi direte che sono pazza, una folle, una che veramente non sa più cosa scrivere. E invece no. La vita, o meglio la sua quotidianità, per me somiglia tantissimo a un bicchiere di Amaro del Capo. Quando ci sembra troppo dolce lo lasciamo lì dov’è, che sai quanti ce ne saranno di meglio? Ma dopo una lunga esplorazione, in cui a volte ci convinciamo di averne trovati anche un bel po’ di migliori, ci rendiamo conto che come quello non ce n’è. (Ora potete sostituire l’Amaro del Capo con qualsiasi altro amaro di vostro gradimento). Poi c’è chi ha il coraggio di tornare sui suoi passi sperando che nel freezer ci sia ancora posto, e chi invece, orgoglioso e pieno di ego o forse solamente distratto e superficiale, come lo sono stata io tante volte in passato e un po’ immagino continuerò ad esserlo, preferisce continuare a sperimentare.

Il problema secondo me è che quando mischi troppi gusti insieme non senti più il sapore di niente.

Fiorella Palmieri

09 settembre 2020

Le foto di questo articolo sono di proprietà di Amaro del Capo