L’annessione di Napoli al Piemonte, ovvero i primi passi verso l’Unità d’Italia, fu celebrata da Camillo Benso conte di Cavour con una manciata di pasta. «I maccheroni sono cotti e noi li mangeremo».
Nonostante le differenze tra Nord e Sud, la pasta fa da trade union nel Belpaese, che, indubbiamente, anche dal punto di vista gatronomico riflette una travagliata storia nazionale che contempla commistioni e conoscenze trasmesse da regione a regione, da città a città.
Il rapporto città e campagna, e ancor più, tra ceti sociali diversi è raffigurato nei piatti dell’arte culinaria. Spesso sono le città che vengono identificate con alcuni cibi, ma, in realtà, è dalla campagna che arrivano le specialità.
Contenuto del Post:
- 1 La cucina dell’Italia meridionale.
- 1.1 Partiamo da Napoli.
- 1.2 Totò, Peppino di Filippo e Sophia Loren.
- 1.3 Competizione creativa.
- 1.4 La poesia.
- 1.5 Scendendo verso il Sud incontriamo la Basilicata.
- 1.6 Non solo a Napoli.
- 1.7 Cucina povera.
- 1.8 Anche la cucina pugliese è semplice.
- 1.9 La cucina calabrese è robusta, fatta di sapori intensi, di piatti antichissimi.
- 1.10 Nell’alimentazione dei calabresi c’è qualcosa di sacro e di antico.
- 1.11 Nell’alimentazione dei calabresi il pane ha un posto centrale.
- 1.12 Salumi calabresi.
La cucina dell’Italia meridionale.
Gastronomicamente Italia vuol dire pasta, gelato, e pizza, antichissimi ma da sempre di successo. La pizza, vero emblema nazionale è, in realtà, un piatto povero, nato a Napoli durante una terribile carestia.
Quando si parla di gastronomia dell’Italia meridionale si ritrovano delle costanti in tutte le regioni, e, spesso, la cucina campana, rappresenta un punto di riferimento.
Probabilmente per ragioni storiche, vincolate alle carestie e alla povertà, il cibo è per i meridionali una vera e propria fissa, spesso la principale paura è proprio quella di rimanere digiuno. Perciò il mangiare, come momento di condivisione, rappresenta molto di più che il semplice nutrirsi.
Partiamo da Napoli.
Lungo il nostro viaggio gastronomico, partiamo da Napoli, e nello specifico da Pulcinella, maschera napoletana nata durante l’epoca della Commedia dell’Arte.
Il servo ama mangiare ed è sempre alla continua ricerca di cibo, visto che avverte incessantemente un gran bisogno di sfamarsi.
In alcuni film, poi, la pasta, ed in particolare, gli spaghetti sono stati spesso protagonisti di scena,sia sulla tavola dei ricchi che alla mensa misera dei poveri. Infatti cibo come realismo e specchio della vita quotidiana, cibo come icona dell’identità nazionale o come icona d’identità familiare.
Totò, Peppino di Filippo e Sophia Loren.
È indimenticabile Totò nell’opera di Scarpetta, nel film Miseria e nobiltà (1954), che danza sul tavolo assieme a Peppino De Filippo: i due mangiano con ingordigia afferrando e ficcandosi gli spaghetti un po’ ovunque, in bocca, nella tasca dei pantaloni…
Di Napoli è anche Sophia Loren che nella sua produzione televisiva e cinematografica ama ostentare questa sua passione per il cibo. Addirittura la Loren è stata battezzata, dalla critica cinematografica, pizzaiola. Poiché impersonò una sanguigna e prosperosa pizzaiola nel film a episodi L’oro di Napoli diretto da Vittorio De Sica.
Ingrediente fondamentale della pizza è il pomodoro. In realtà sin dal ‘600 si trovano le ricette delle pizzelle, dischi di pasta di pane, fritti, con condimenti assortiti.
Ma bisogna aspettare verso la fine del ‘700, con l’arrivo in tavola del pomodoro per avere la pizza contemporanea. Le prime versioni di pizza con il pomodoro vengono condite con aglio e olio a crudo, o mozzarella e acciughe salate.
Competizione creativa.
Per tutto l’800 i pizzaioli napoletani si scatenarono in una specie di competizione creativa che ha dato vita ad un buon numero di varianti: pizza con pesce, prosciutto, etc.
Ma l’evento clou della storia della pizza è rappresentato dall’incontro con la famiglia reale dei Savoia, avvenuto nell’estate del 1889. Il re Umberto I° e la regina Margherita trascorsero a Napoli e dintorni, più precisamente nella reggia di Capodimonte, un breve periodo di vacanza che inevitabilmente stimolò la curiosità nei confronti di questo piatto.
Molti, tra gli artisti locali e i gentiluomini che andavano a far visita ai reali, nello spiegare le usanze locali, non potevano fare a meno di parlare della pizza. Il più rinomato pizzaiolo dell’epoca, don Raffaele Esposito, venne chiamato a palazzo per preparare alcune pizze per i reali, incuriositi dai racconti dei visitatori.
Nel frattempo furono create per quest’occasione reale la pizza Mastunicola, condita con sugna, formaggio e basilico; la Marinara, un condimento di aglio, olio e pomodoro. Di conseguenzaanche la Margherita, che mostrava i colori della bandiera nazionale, con mozzarella, pomodoro e basilico.
L’entusiasmo della regina nei confronti della versione “patriottica” portò il pizzaiolo partenopeo ad un scelta storica: la pizza con mozzarella, pomodoro e basilico si sarebbe chiamata proprio come la regina.
La poesia.
Ecco la poesia di Eduardo De Filippo che rende omaggio al ragù napoletano
‘O ‘rraù (Il ragù)
‘O rraù ca me piace a me Il ragù che piace a me
m’ ‘o ffaceva sulo mammà. Ma lo faceva solo mia mamma
A che m’aggio spusato a te, Da quando mi sono sposato con te
ne parlammo pè ne parlà. Ne parliamo solo pour parlair
io nun songo difficultuso; Io non sono difficile
ma luvàmmel’ ‘a miezo st’uso Ma è meglio che togliamo quest’abitudine
Sì,va buono:cumme vuò tu. Sì, va bene, come vuoi tu
Mò ce avéssem’ appiccecà? Non è mica il caso di litigare?
Tu che dice? Chest’ ‘è rraù? Tu che dici? Che questo è ragù?
E io m’ ‘o mmagno pè m’ ‘o mangià… Ed io lo mangio solo per mangiare.
M’ ‘ a faja dicere na parola?… Posso dire giusto una parola?…
Chesta è carne c’ ‘ a pummarola Questa è carne con il pomodoro
Scendendo verso il Sud incontriamo la Basilicata.
Scendendo verso il Sud ed addentrandoci nelle montagne incontriamo la Basilicata, terra molto ricca di tradizioni culinarie.
Chissà la gastronomia lucana non appartiene ai riferimenti culturali, ma, senza alcun dubbio, la cucina lucana è tradizionalmente una sapiente unione di prodotti semplici e genuini, lontana dalle sofisticate elaborazioni della cucina moderna. Basti pensare che nella preparazione dei piatti è contemplato il solo uso dell’olio di oliva, mentre il burro, il burrino, è usato come formaggio.
Nonostante le similitudini con alcuni piatti delle regioni limitrofe, l’originalità della cucina lucana consiste nella capacità di trarre sapori dalle cose più semplici, di miscelare le spezie esaltando anche i piatti più poveri.
Non solo a Napoli.
Anche nella piccola regione del Sud Italia il pane e la pasta la fanno da padroni: il pane resta l’alimento di eccellenza, impastato con farina di grano duro, sale e crescente (lievito naturale di pasta).
È, spesso, cotto nei forni a legna, e viene tagliato a pezzature, che variano dalle panelle da Kg.1 fino alle panelle che raggiungono anche i Kg.3. Ci sono, poi, focacce di pane con il buco e panini (sia all’olio che le tipiche rosette o sfilatini che pesano circa gr.250). Data l’importanza del pane, a Matera, è nato un consorzio per la tutela del pane tipico Materano. E’ tipica, soprattutto in inverno ed in particolare in alcune zone, la preparazione di un primo piatto denominato pane cotto.
La pasta è preparata a mano con farina di grano duro (alcune volte può essere impastata con l’aggiunta di uova) ed essiccata per un paio di ore. Vi sono molte qualità di pasta e variano a secondo della zona. Nel Potentino è possibile trovare: i cavatelli, i fusilli o ferretti, le lagane.
Nel Materano è possibile trovare, oltre le classiche orecchiette, i cavatelli.
Nella zona di Senise sono classiche l’ tapparedd’ (le tapparelle), una pasta che durante la lavorazione è incavata a tre o quattro dita. Questi tipi di pasta hanno diversi condimenti. In genere la pasta viene condita con un sugo di pomodoro cotto con la carne di maiale, salsiccia o carne di vitello e cosparsi con formaggio pecorino e peperoncino o rafano (una radice dal forte sapore piccante simile alla senape). Le lagane possono essere accompagnate con fagioli o ceci, cotica di maiale e peperoncino.
Cucina povera.
Si tratta per lo più di una cucina povera, che si basa sui prodotti della terra, le carni e i latticini derivanti dagli allevamenti ovini e il maiale. È sempre stata praticata l’arte di conservare gli alimenti, e la mancanza di corti e ricchi banchetti ha limitato il panorama dell’arte culinaria.
Fra i prodotti che si ricavano dal suino il più celebre, fin dai tempi della antica Roma, è la salsiccia o lucanica, ricavata dal maiale della regione, in genere magro perché pascola sulle montagne insieme a pecore e agnelli. Ricetta antica per agnello e castrato è la pigneti: pezzi di carne, patate, pomodoro, cipolla, peperoncino, formaggio pecorino e salame sbriciolato, che vengono messi in un’anfora di terracotta, poi chiusa con creta e passata in forno caldissimo.
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Presenza immancabile sulla tavola di questa regione è il peperone essiccato, che viene esaltato nella sugna piccante, caratteristico condimento conservato in vasi di vetro, ottenuto con polvere di peperone, finocchio, sale e grasso suino.
Proseguendo verso la costa adriatica, con il paesaggio punteggiato a perdita d’occhio dagli ulivi, lambito da 784 chilometri di costa e dominato dai rilievi calcarei delle Murge, la Puglia è il luogo dove le tradizioni della civiltà contadina si fondono e si confondono con il fascino del mare, in una osmosi di idee, usi e tradizioni. La Puglia è il crocevia marittimo e terrestre fra oriente e occidente, la terra delle mille chiese, delle cattedrali romaniche, dei castelli federiciani e delle grotte.
Anche la cucina pugliese è semplice.
Anche la cucina pugliese è semplice, legata soprattutto al lavoro della terra, che non conosce gli apporti delle corti, ma ha elaborato piatti tipici dai molti sapori e profumi. Quattro i cardini di questa gastronomia: olio, grano, verdure e pesce.
Dalla fascia costiera adriatica, tutta ammantata di stupendi oliveti, si ricava quell’olio che ha un posto d’onore in cucina e che rappresenta circa un terzo della produzione complessiva italiana. Nella pianura del Tavoliere si coltiva il grano duro, all’origine di innumerevoli tipi di pasta e del celebre pane pugliese, scuro e saporito. Molto diffuse e di qualità pregiata sono le produzioni ortofrutticole, alla base di piatti originalissimi, elaborati comunque in tutte le province senza differenze sostanziali.
Dal biondo grano di Puglia, la via della pasta si snoda tra produzione industriale e attività artigianale di pastifici e massaie. Ai vari tipi di pasta corrisponde una nutrita varietà di condimenti che si alternano nel menù domestico settimanale. Le paste casarecce, ovvero fatte a mano, sono condite soprattutto con le verdure. Pasta e cime di broccoli, pasta e cavoli, maccheroni e melanzane, pasta e purea di fave, spaghetti e cicoria.
Tra verdure, legumi e carne i condimenti non si contano. Molto noto è poi il ragù di pesce chiamato ciambotto.
Lungo la costa la gastronomia si tinge di azzurro, gli itinerari a base di pesce sono molteplici trovando piatti ricercati e raffinati buongustai anche nelle zone interne. Su tutta la costa pugliese il pesce è molto abbondante.
Unica eccezione è il foggiano, dove, caso veramente singolare, alcune vicende storiche hanno reso la gastronomia locale diffidente verso il mare e i suoi prodotti.
La cucina calabrese è robusta, fatta di sapori intensi, di piatti antichissimi.
Costante della gastronomia dell’Italia meridionale è una tavola, certo non raffinata o ricca d’ingredienti. Questo vale anche per la Calabria, regione aspra, caratterizzata da un’atavica povertà,. Lontana dai grossi centri culturali e vessata per secoli da un’economia di tipo feudale che l’ha impoverita di risorse.
Protesa al centro del Mediterraneo, lambita da due mari, la Calabria nelle sue coltivazioni ha raccolto e metabolizzato influenze dell’Est come dell’Ovest. Alcune coltivazioni furono trapiantate sul suolo di quella che si chiamava Enotria dai coloni greci.
La tavola che caratterizza la regione è robusta, fatta di sapori intensi, di piatti antichissimi e di aromi violenti.
Nell’alimentazione dei calabresi c’è qualcosa di sacro e di antico.
Nell’alimentazione dei calabresi c’è qualcosa di sacro e di antico: ogni festa religiosa ha in Calabria il suo cibo di devozione, ogni evento della vita familiare – nozze, lutti, battesimi – il suo adempimento gastronomico.
Era regola che per Natale si dovessero mettere in tavola tredici portate e che lo stesso si dovesse fare per l’Epifania. Le feste di Carnevale richiedevano un menù fondato su maccheroni e carne di maiale. La Pasqua non poteva celebrarsi senza i pani rituali e l’arrosto di agnello.
Il rigore di questo calendario si è affievolito col tempo, lasciando però tracce visibili nel repertorio alimentare della regione. Infatti, il cibo dei calabresi è sostanzialmente quello che era una volta, determinato dagli usi, dalle credenze e dalla storia.
Incontestata è ad esempio l’origine greca dei laganoi, larghe fettuccine molto amate a Sibari, mentre è sicuramente arabo il nome della mustica, lo straordinario, appetitosissimo cibo che deriva dalla pratica di mettere sott’olio e sotto peperoncino le acciughe appena nate.
Le verdure sono, da sempre, protagoniste e, insieme alla pasta e a tutti i derivati del maiale, costituiscono la base della cucina locale. Regina delle verdure è la melanzana, visto che il terreno calabrese, povero di acque, di natura silicea e scarsissimo di calcio, è adatto a questa solanacea, perché consente la maturazione di un complesso di sostanze aromatiche che danno alla polpa un sapore ottimo. Nella regione si conoscono un’infinità di modi di cucinare le melanzane: in agrodolce, in scapece, ripiene, fritte con pomodori e uova, etc., talvolta arrivano in tavola irriconoscibili.
Altre verdure onnipresenti sono i pomodori, i peperoni e le cipolle dalla caratteristica buccia rosso-violacea. Di polpa dolce e carnosa, dai bei colori vividi, sono ornamento della tavola nelle più svariate preparazioni.
Nell’alimentazione dei calabresi il pane ha un posto centrale.
Nell’alimentazione dei calabresi il pane ha un posto centrale: è consumato con ogni piatto e la sua preparazione è molto curata, specie nel mondo contadino; è molto saporito e presenta una serie di varianti: ricordiamo le focacce, dette pitte, piene di sapori, perché alla pasta lievitata si accompagnano sapori diversi, dai pomodori alle sarde, dalle cipolle alla ricotta, dalla salsiccia al caciocavallo.
Altri tipi di pasta sono maccaruni, sciliatelli, schiaffettoni, filatieddi, canneroni, ricci di donna. Sempre fatti con semola o farina di grano duro. Vengono uniti a condimenti saporiti, che li avvolgono in uno strato scivoloso rendendo il piatto ricco, colorato, stuzzicante. Oggi però sempre più si usano paste industriali.
Forse la minestra più esemplare della tradizione è il maccu di fave, un passato di fave cotto senza condimento ma insaporito poi con olio crudo, pecorino grattugiato e molto pepe.
Tutto il capitolo che riguarda il maiale è ricco di «colore». Data l’economia della regione, la carne bovina è praticamente assente e lu puorcu è il re della tavola ancora oggi. Il consumo di maiale, sia fresco sia stagionato, è notevole: capocolli, prosciutti, soppressate, salsicce sono cibi molto amati dai calabresi.
Salumi calabresi.
Tra i salumi più tipici, la soppressata dal colore vivace (per la presenza di peperoncino e sangue di suino) e talvolta lagrimusa, cioè stillante grassi odorosi, e la ndugghia», salsiccia a base di lingua, trippa e altra carne di maiale, che entra nella cosiddetta minestra maritata con erbe domestiche e verdure selvatiche. Maiale e pasta si incontrano nel morseddu, una pitta che si taglia in due e si riempie di un intingolo succoso a base di interiora di suino con pomodoro e peperoncino. Specialità di Catanzaro, è cibo straordinariamente energetico e “infuocato”.
Il morseddu si ritrova con nome di suffritto a Cosenza e a Reggio. Parecchi piatti calabresi sono specifici di una sola delle tre provincie, anche se le caratteristiche di fondo sono comuni a tutta la regione. La geografia del resto spiega come, prima della costruzione dell’attuale ricchissima rete stradale, a causa degli ostacoli naturali, e precisamente le montagne, le provincie siano rimaste chiuse in se stesse.
Particolarmente interessante, anche dal punto di vista gastronomico, è la Sila perché straordinaria è la connotazione di questo altopiano che sembra, per capriccio, della natura in pieno Mediterraneo. Abeti e pini, laghi e pascoli, boschi fittissimi e un clima d’alta montagna a pochi chilometri dalle spiagge abbaglianti e calcinate del Tirreno e dello Ionio: un “paradosso” geografico. Chi ama cercare e mangiare i funghi deve fare una vacanza in Sila, considerata dagli esperti la zona più ricca d’Italia, e li offre quasi tutti l’anno: a maggio ci sono le “spugnole” profumate (marroccu), che vengono cotte in spezzatino con la carne di capra o nel ragù.
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