La tradizione colloca noi italiani, fra i popoli che più amano la cultura della buona cucina.

La tradizione colloca noi Italiani, fra i popoli di questo pianeta che più amano la cultura della buona cucina.

Ciò è confermato dal fatto che molti dei piatti classici del nostro paese hanno fatto il giro del mondo, conquistandosi una buona fetta della cucina internazionale.

Il nostro paese, come ogni altra nazione ha un suo proprio tipo di alimentazione, e di conseguenza il nostro palato è portato a recepire con preferenza determinati sapori rispetto ad altri.

Un esempio di pasto in epoca romana da un dipinto di Roberto Bompiani, conservato al Getty Museum. (fonte: Wikipedia).

La cucina nell’antica Roma.

Non ci deve stupire, sapere che presso alcuni popoli la carne dei serpenti è considerata un cibo prelibato,

Di conseguenza mentre noi condiamo prevalentemente con olio di oliva, nei paesi del nord Europa il principale condimento è il grasso animale.

Possiamo anche dire che alcuni popoli si nutrono di insetti come ragni e cavallette.

Il gusto del buono e del cattivo non è una caratteristica innata.

Si deve puntualizzare che in un individuo, il gusto del buono e del cattivo non è una caratteristica innata.

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Soprattutto si è sviluppato attraverso una serie di fattori che potremmo così suddividere. Fattori ambientali, come l’abbondanza di determinati prodotti rispetto ad altri. Fattori culturali, quali il passaggio tra le varie generazioni di ricette tradizionali. E fattori di tipo religioso, come ad esempio il divieto di mangiare carne di suino presso i popoli islamici.

Quanto sinora detto vale non solo da popolo a popolo ma anche da un tempo all’altro. Gia agli inizi del nostro secolo l’alimentazione dei nostri nonni non era la stessa dei giorni d’oggi. Sia per la mancanza di alcuni alimenti successivamente importati nel nostro paese. Oppure per la recente creazione di alcuni piatti che corrispondono ad una sempre più crescente richiesta di sapori internazionali.

Prendendo in esame questa diversità di alimentazione attraverso il tempo, immaginiamoci quindi di fare un bel salto indietro nel tempo e di ritrovarci nello stesso luogo da dove siamo partiti, ospiti di un banchetto all’interno di una domus romana.

Quali saranno i piatti che ci saranno serviti?

La Cena è per il ricco liberto Trimalcione il contesto ideale per ostentare ad amici e curiosi.

Avranno sapori ed aromi a cui siamo abituati oppure resteremo inorriditi soltanto alla loro vista?

Sicuramente dipenderà dal tipo di occasione per cui saremo invitati a partecipare alla mensa del nostro ospite.

In ogni modo, pensando all’epoca romana si è portati a pensare erroneamente, che i Romani fossero dediti a continue orge e a monumentali banchetti come vengono descritti quelli di Nerone e di Trimalcione.

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In primo luogo occorre puntualizzare che gran parte della popolazione non avendo a disposizione tutte le comodità di cui disponevano le famiglie dei ricchi, per mangiare doveva arrangiarsi e molto spesso i pasti venivano consumati per strada.

Molto diffuse erano le taverne (caupona) e i venditori ambulanti, i quali vendevano un po di tutto.

Per esempio olive, pesci in salamoia, pezzetti di carne arrosto, uccelli allo spiedo, polpi in umido, frutta, dolci e formaggio.

Il pasto medio di un povero.

Di solito il pasto medio di un povero era composto da un pezzo di pane e da piccoli pesci in salamoia. Il tutto accompagnato da un bicchiere d’acqua o di vino tra i più scadenti.

Un viaggio che vuole approfondire le origini e la storia dei piatti più noti della cucina tradizionale romana.

I momenti della giornata dediti al soddisfacimento dei bisogni della gola erano in linea di massima tre. Il Jentaculum o prima colazione. Il prandium, o pranzo di mezza giornata e la cena, ovvero il pranzo di fine giornata. E, finalmente, il Jentaculum e il prandium di solito erano ridotti a un misero spuntino consumato in fretta e furia durante le varie attività che caratterizzavano la giornata lavorativa.

Di conseguenza la loro importanza era talmente minima che frequentemente uno dei due veniva addirittura saltato.

Il pasto più importante della giornata era la cena.

Era in questa occasione che l’uomo romano poteva assaporare i vari piatti più o meno elaborati, comodamente disteso sul triclinae e conversare con i suoi convitati.

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Alla cena ci si recava di solito dopo aver fatto il bagno alle terme, dove, tra l’altro si aveva l’occasione di incontrare i propri conoscenti e invitarli alla propria mensa.

Infatti le terme erano anche il ritrovo di molti sfaccendati che vi si recavano con la speranza di ricevere un invito da qualche amico.

Nella Roma repubblicana ed imperiale si mangiava bene, naturalmente chi poteva permetterselo, e si divideva la giornata in tre pasti.

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2 Risposte a “La tradizione colloca noi italiani, fra i popoli che più amano la cultura della buona cucina.”

  1. Seneca nel criticare la sregolatezza dei costumi dei suoi contemporanei attribuiva la crisi delle antiche doti morali alla perdita dell’antica frugalità, a quella parsimonia veterum che in effetti si riscontra nelle abitudini alimentari primitive quando i latini si nutrivano di polente (puls) in parte sostituite nel II secolo a.C. dal pane.

    1. Nella cucina antica romana il piatto nazionale erano le crocchette rapprese di polenta di miglio cotta nel latte (puls fitilla), poi la vera e propria polenta (era chiamata così in latino la farinata di orzo) e infine, arrivati a una certa agiatezza, soprattutto di puls farrata o farratum, una più saporita e nutriente (molto più ricca di proteine) polenta di farro.

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