Cosa mangiavano e dove mangiavano gli antichi romani durante l’intera giornata.

La sobrietà alimentare caratteristica degli antichi romani era negli stessi inizi leggendari di Roma.

Giá sulle navi di Enea, secondo il racconto di Virgilio, i marinai troiani potevano nutrirsi quasi esclusivamente della polenta di farro. Soprattutto accompagnata dai pesci pescati durante il viaggio e dalla poca carne acquistata nei porti.

Di buon’ora, appena sveglio e senza neanche lavarsi le mani, i romani consumano uno dei due pasti della giornata, una colazione sostanziosa a base di pane e formaggio, frutta e carne.

Cosa mangiavano e dove mangiavano gli antichi romani

Cosa mangiavano e dove mangiavano gli antichi romani.

Si tratta spesso degli avanzi della cena del giorno prima, che gli invitati ad un banchetto possono portarsi a casa in un cestino.

Sbrigati i primi affari, i romani si dedicano al prandium, lo spuntino della tarda mattinata, sobrio e veloce.

In seguito l’evento culinario della giornata si svolge invece al pomeriggio. Quando il Romano abbiente, dopo il consueto bagno alle terme, e quindi verso le tre o le quattro del pomeriggio, si siede comodamente a tavola fino al calare del sole.

Le portate nell’Antica Roma.

Qui le portate sono numerose, fino a sei, ognuna con una serie svariata di piatti. Nella cena normale dopo l’antipasto – gustatio – seguono le portate principali di carne e pesce. Finalmente si chiude con le secundae mensae, cioè i dessert.

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Tuttavia la serata continua con il simposio, in cui alla mescita di vino – sempre annacquato – . Si accompagna ancora qualche cibo, come i porri, che stimolano la voglia di bere.

Una serie di norme di buona educazione e di etichetta regola la cena. Fondamentale anche il rispetto alla disposizione dei posti a tavola.

Nel triclinio (sala da pranzo), infatti, il padrone di casa fa disporre i letti tricliniari. Su questi cui i convitati si distendono a due o tre, sostenedosi con il braccio sinistro piegato. In tal modo la mano destra è libera di afferrare i cibi dai bassi tavolini accuratamente imbanditi davanti agli ospiti.

Il posto d’onore, detto “consolare”, è all’estrema destra del letto centrale. Ed è così chiamato dal fatto che un messaggero, entrando dalla porta postagli di fronte, può facilmente trasmettere al convitato ivi disteso una comunicazione importante e urgente.

Nel frattempo il padrone di casa si dispone subito a sinistra dell’ospite d’onore.

Nelle case più ricche.

Nelle case più ricche dei romani le sale da pranzo sono più d’una.

Nelle case più ricche dei romani le sale da pranzo sono più d’una. Di conseguenza vengono occupate secondo la stagione dell’anno e l’orientamento. I triclini estivi, spesso seminterrati e contenenti fontanelle e giochi d’acqua, sono orientati a nord. Mentre quelli invernali prospettano a ovest, fatto che permette di cogliere gli ultimi raggi di sole della giornata.

L’alimentazione romana di epoca arcaica e repubblicana è sobria, a base di legumi, cereali, formaggio e frutta; con la conquista dell’Oriente, invece, almeno sulle mense ricche, arrivano nuovi ingredienti da tutte le province.

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Accanto al pane quotidiano, alla puls (sorta di polenta condita), alle grandi quantità di lupini, lenticchie, ceci e soprattutto fave, oltre a lattughe, cavoli e porri, fichi, mele e pere, incominciano ad essere consumati anche cibi di lontana provenienza, come le ciliege, importate per la prima volta dall’Oriente da Lucullo.

Il Romano povero.

Il Romano povero, ovviamente, non ha accesso ai cibi importati e costosi e in casa non ha neanche il triclinio. Egli continua la tradizione antica di pasti frugali ed economici. Il Romano ricco, invece, come ci tramandano abbondantemente le fonti, offre frequentemente banchetti, cui partecipano decine di amici e clienti. Qui i cibi sono vari, cucinati con cura ed anche molto elaborati, almeno stando alle ricette del cuoco Apicio, giunte fino a noi.

Sono molto apprezzate le uova di anitra, piccione e pernice e molto consumato è il pesce, fresco o in salamoia. Simile ad alcune salse orientali moderne a base di pesce salato e fermentato (come il Nuoc Nam indocinese), è il garum, una delle salse più note dell’antichità, di cui esistono diverse varietà.

Ancora più diffuso, però, è sicuramente l’olio d’oliva, importato soprattutto dalla Baetica (odierna Andalusia) e dall’Africa settentrionale, le cui anfore da trasporto hanno formato in Roma, in circa tre secoli, una vera e propria collinetta artificiale : il monte Testaccio (detto “Monte dei cocci”).

Si mangia raramente carne bovina.

Si mangia raramente carne bovina, più spesso carne ovina e caprina, e comune è il maiale, del quale si è imparato a sfruttare ogni parte. Il consumo di insaccati è enorme e apprezzata la carne di volatili – da cortile e da voliera – prodotta intensivamente nelle ville rustiche o cacciata, insieme a selvaggina più grande, come cinghiali, daini, cervi e caprioli.

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Una delle caratteristiche fondamentali della cucina romana è l’accostamento di gusti opposti. Di conseguenza il piccante con il dolce, il dolce con l’aromatico. Oggi non troveremmo poi così gradevoli gran parte delle ricette che ci sono pervenute, ad esempio le pere lesse con miele, passito, salsa di pesce, olio e uova. Forse neanche le pietanze a base di gru, fenicotteri, pappagalli e pavoni che ornavano certe tavole molto raffinate.

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