Gli Ossobuchi con i Funghi, da servire con Barbera D’Alba DOC Superiore Vini Veglio, sono un secondo piatto di carne tra i più rappresentativi della cucina italiana. Un vero e proprio must della nostra tradizione culinaria, da replicare e gustare sulle nostre tavole. Non solo è un piatto stuzzicante e prelibato, ma fa parte del nostro patrimonio enogastronomico.
Quando si parla di ossobuco, il pensiero corre subito alla tipica ricetta milanese, il celebre “òs bùùs a la milanese,” simbolo della città di Milano. Questa versione prevede l’uso di un taglio di carne che, grazie a una cottura lenta e delicata, diventa così tenero da sfaldarsi al tocco della forchetta, arricchito dal midollo che intensifica il sapore complessivo.
Un’altra caratteristica distintiva è la cremolada, una sorta di pesto preparato con aglio, prezzemolo e scorza di limone, che viene aggiunto a crudo per esaltare ulteriormente il sapore della carne.
Anche in Toscana esiste una forte tradizione legata all’ossobuco, ma, a differenza della ricetta milanese, la cottura avviene in umido con un classico soffritto di sedano, carote e cipolle, sfumato con vino bianco e arricchito con salsa di pomodoro, brodo e aromi. L’unico elemento in comune con la versione milanese è la cottura lenta e dolce.
Il taglio di carne utilizzato, secondo tradizione, si ricava dalla parte finale dello stinco del bovino, chiamato “geretto” o “garretto”. Questo è un taglio di carne di terza categoria che rappresenta lo stinco del bovino, sia anteriore che posteriore. Questo taglio viene privato del polpaccio, che diventa il “campanello” o “pesce.”
Il geretto è più tenero se di vitello, più corposo se di manzo o vitellone, ma molto dipende anche dall’età dell’animale. Questo taglio assume nomi diversi in ogni regione d’Italia: a Bari, Foggia e Potenza è noto come “gamboncello,” a Torino è chiamato “giaret,” a Bologna “lanterna,” e a Padova “muscolo di coscia.”
I tagli di terza categoria includono quelli provenienti dalla pancia, dalla spalla, dagli arti e dal collo, tutti caratterizzati da una buona quantità di grasso, che li rende molto saporiti e ideali per bolliti e brodi.
Pur considerato un taglio “meno pregiato” per la presenza di tessuto osseo e muscoli ricchi di tessuto connettivo, il geretto è tra i migliori per le preparazioni a lunga cottura. La sua peculiarità è il midollo, che conferisce una ricchezza di sapore apprezzata dai buongustai. Il geretto è composto da tredici fibre muscolari, ha una forma circolare e al centro è attraversato da un osso contenente il midollo, da cui deriva il nome ossobuco.
Questa carne ha origini molto antiche: secondo fonti storiche, il suo consumo risale già al periodo medievale, a partire dal 1300. In quel tempo, lo stinco di vitello e le ossa con midollo erano ampiamente utilizzati in cucina.
Negli anni successivi, l’ossobuco non solo ha conquistato il palato con la sua prelibatezza, ma è diventato anche oggetto di scherno e litigi, spesso usato come “arma” durante le risse nelle taverne. Questi locali, noti come “ammazzatoi”, vengono menzionati anche da Émile Zola: i clienti, dopo aver gustato l’ossobuco, spesso usavano gli ossi come proiettili dopo aver bevuto un bicchiere di troppo.
La ricetta più celebre per la preparazione dell’ossobuco in quel periodo era senza dubbio quella milanese. La versione fiorentina, invece, ha fatto la sua comparsa più tardi nelle trattorie del centro di Firenze, offrendo una variante che non ha nulla da invidiare alla più famosa cugina milanese.
La cottura fiorentina prevede spesso l’uso di pomodoro e un generoso battuto di base, che conferisce al sugo una consistenza corposa. Nella tradizione, l’ossobuco viene servito con polenta morbida, patate lesse o semplice pane, perfetto per l’immancabile “scarpetta” o per gustare il delizioso midollo.
Indipendentemente dalla versione scelta, l’ingrediente chiave per la riuscita della ricetta è sempre la qualità della carne.
Questo piatto della tradizione, dalle origini contadine povere, vanta numerose ricette e varianti regionali, tutte ugualmente saporite e capaci di esaltare le papille gustative. Ad esempio, l’Ossobuco alla Romana è un piatto dalle origini laziali, ideale per la stagione dei primi freddi. Qui il geretto viene cotto in un ricco sugo di pomodoro con piselli, e servito con un soffice purè di patate, una di quelle preparazioni che invitano inevitabilmente a fare la mitica “scarpetta”.
E che dire degli ossobuchi alla Romagnola? Una preparazione contadina che vede protagonista l’ossobuco di manzo, arricchito dal profumo e dalla nota aromatica del marsala secco, passata di pomodoro e tanto prezzemolo. Questa variante, completamente diversa dalle precedenti, offre un piatto dai colori caldi, ideale quando fa fresco, da accompagnare a riso bollito condito con burro e zafferano.
Oggi vi voglio proporre un’altra versione dell’ossobuco, cugino del celebre ossobuco alla Milanese: l’ossobuco con i funghi. Questo piatto regala grande soddisfazione quando lo porti in tavola ed è un classico della cucina di settembre, dove la nostra carne di geretto si sposa in modo ideale con i meravigliosi doni del bosco di questa stagione.
Siamo alle soglie dell’autunno, il periodo perfetto per “andar per funghi” e gustare queste delizie capaci di insaporire ogni piatto, regalando un profumo unico e un’aroma inconfondibile a primi piatti, secondi di carne, torte salate e molte altre preparazioni.
I funghi, quel magico alimento che comprende più di 700.000 specie conosciute al mondo (anche se non tutte commestibili), occupano un posto speciale nelle cucine di tutto il mondo. Si tratta di vegetali particolari, privi di foglie, fiori o radici, che da sempre hanno affascinato l’umanità, circondati da miti e leggende che si perdono nella notte dei tempi.
Secondo alcune credenze, i funghi nascono dalle serate danzanti di folletti e gnomi, mentre altre leggende ne attribuiscono la crescita al diavolo. Gli antichi Egizi, invece, li consideravano i “figli degli Dei”, inviati sulla terra attraverso fulmini e saette, motivo per cui erano degni di essere consumati solo dai faraoni.
C’è persino un racconto che narra come i funghi siano nati dalle briciole di una pagnotta, una bianca e una nera, che Gesù e San Pietro mangiavano mentre camminavano in un bosco. Le briciole cadute generarono funghi commestibili dalla pagnotta bianca e funghi velenosi da quella nera.
Considerati doni immortali in alcune culture, come in Giappone, dove il fungo reishi è utilizzato nella medicina tradizionale, molti lo ritengono (anche se non esistono prove scientifiche certe) un alimento “adattogeno”, ovvero un composto che può aiutare l’organismo a potenziare il sistema immunitario, prevenire infezioni, aumentare forza e resistenza, combattere lo stress e persino prevenire o trattare i tumori.
Nelle Alpi Tirolesi sono stati rinvenuti i resti di una mummia risalente a ben 5300 anni fa, un uomo preistorico che aveva con sé un “kit medicinale” contenente un fungo chiamato Piptoporus Betulinus. Questo fungo, con proprietà antibatteriche, era utilizzato come antisettico, antibiotico e vermifugo dall’uomo primitivo per trattare le infezioni.
I funghi presentano forme e colori vari, spesso affascinanti. Ad esempio, ci sono i Chlorophos Mycena, che rilasciano spore luminose, il porcino Gyroporus cyanescens, che cambia colore diventando di un blu acceso una volta aperto, e il Boleto luridus, caratterizzato da un cappello dai molti colori che vanno dal marrone al rosso, dal blu al grigio, fino al giallo.
Per la nostra ricetta, utilizzeremo un misto di funghi di bosco, tra cui il “Re del Bosco”, ovvero il porcino del genere Boletus, un fungo che raggiunge la sua massima raccolta nei mesi di settembre, ottobre e all’inizio di novembre. Questi funghi sono tra i più ricercati e amati al mondo e sono considerati i più nobili tra tutti i funghi.
Il Boletus edulis è un fungo dall’aspetto gradevole, estremamente delizioso da gustare, con un aroma meraviglioso che si abbina perfettamente a tutti gli ingredienti, che si tratti di pasta, riso, carne o pesce. Grazie alla loro distintiva nota di sapore, questi funghi conferiscono un tocco unico a ogni piatto.
Per accompagnare un piatto così ricco di sapore, aromi e profumi, vi propongo il Barbera d’Alba DOC Superiore. Non un vino qualunque, ma il vino dell’Azienda Agricola Vitivinicola Veglio Giovanni & Figli, una realtà a carattere familiare che da ben quattro generazioni e oltre 100 anni, coltiva uve con amore e passione, trasformandole in nettare nel rispetto della natura e dell’uomo.
L’azienda, con sede in Valle Talloria, si estende su oltre 20 ettari nei comuni di Diano d’Alba e Serralunga d’Alba in provincia di Cuneo. Negli ultimi anni, oltre ai vigneti, sono stati impiantati anche noccioleti su una superficie di circa 4 ettari.
Ho avuto il piacere di conoscere e apprezzare questa realtà, nata nel lontano 1899 con il capostipite, il signor Giuseppe, e oggi seguita con amore dal signor Paolo, che con la sua famiglia continua la tradizione con lo stesso impegno e dedizione che hanno sempre contraddistinto la loro attività, ma con un occhio attento alle nuove tecnologie, avvalendosi dei più moderni metodi di coltivazione e produzione.
La passione di questa famiglia per la propria terra li ha portati a coltivare uve tipiche del territorio. Professionisti del settore, che giorno dopo giorno lavorano per conferire un’anima ai loro vini, espressione di un territorio ricco di sapori e profumi.
I vini sono ottenuti esclusivamente da preziose varietà di uve accuratamente selezionate, antichi vitigni autoctoni curati con maestria da sempre, seguendo un processo di vinificazione accurato e scrupoloso. Accanto alle produzioni storiche come il Dolcetto di Diano d’Alba, il Barolo DOCG, il Nebbiolo d’Alba DOC, il Barbera d’Alba DOC e il Barbera d’Alba DOC Superiore, negli ultimi anni si sono aggiunti vini bianchi come il Moscato d’Asti DOCG, il Langhe DOC Arneis e il Langhe DOC Chardonnay. Grazie a loro, il vero sapore del Made in Italy giunge sulle nostre tavole.
Il vino proposto oggi è il Barbera D’Alba DOC Superiore un vino affascinante e ricco di personalità, realizzato al 100% con uve Barbera. Queste uve provengono da vigneti situati nei comuni di Diano d’Alba, in località Bric a Serralunga d’Alba, in località Barbiasco, terreni baciati dal sole e coltivati in un terreno ricco di marna argillosa, che offre le condizioni ideali in termini di clima e temperatura.
Questo vino si presenta con un colore rosso scuro intenso che, con l’invecchiamento, tende al granato. È caratterizzato da profumi intensi, gradevoli e fruttati, mentre il sapore è ampio e persistente, risultando al palato piacevolmente secco e tannico. È ideale per accompagnare una varietà di piatti, tra cui primi piatti ricchi, arrosti e formaggi stagionati. Questo vino si distingue per l’ottimo equilibrio tra struttura, acidità e una persistente fragranza. Per gustarlo al meglio, si consiglia di servirlo a una temperatura di 18 gradi centigradi.
Vi invito vivamente a visitare il loro sito per scoprire questa rara perla di bontà e tutti i vini prodotti dalla Cantina Veglio.
Vediamo ora cosa ci occorre per realizzare il nostro Ossobuchi con i Funghi da Servire con Barbera D’Alba DOC Superiore Vini Veglio:
Ingredienti:
- 4 ossobuchi di vitello
- 1 carota
- 1costa di sedano
- 800 grammi di funghi misto bosco (*)
- 1 spicchio di aglio
- farina bianca 00 q.b.
- 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
- sale
- pepe nero macinato al momento
(*) Potete scegliere tra funghi freschi o, se preferite, surgelati. In questa ricetta utilizzeremo un mix di porcini freschi, sanguinelli, mazze di tamburo, chiodini e giallini raccolti nel bosco. Tuttavia, fate attenzione: raccogliete i funghi solo se li conoscete bene e, in caso di dubbio, fateli controllare per assicurarvi che siano commestibili.
Ingredienti per la polenta:
- 280 grammi di polenta bramata
- 1 litro di acqua
- 1 cucchiaino di olio evo
Per accompagnare il piatto:
- Un calice di Vino Barbera D’Alba DOC Superiore Vini Veglio
Ossobuchi con i Funghi da Servire con Barbera D’Alba DOC Superiore Vini Veglio: Ricetta
Prima di iniziare la ricetta, ecco alcuni consigli utili: se utilizzate porcini, scegliete funghi con un gambo sodo e la “barba” sotto il cappello di colore bianco o crema. Questo indica che il fungo è giovane; se la barba è di colore giallo o oliva, significa che è vecchio. In molti lo usano comunque, ma a mio parere conferisce un sapore amaro, quindi preferisco eliminarla.
Se, al momento del taglio, notate che la polpa presenta dei forellini, non gettate il fungo, ma cospargetelo di sale grosso. Questo aiuta a far uscire eventuali “ospiti indesiderati”. Lasciatelo riposare per 10-15 minuti e poi passatelo accuratamente con un panno umido.
I funghi non vanno mai lavati sotto l’acqua corrente. Prima, eliminate la terra (il grosso già nel bosco), poi utilizzate un coltellino per rimuovere eventuali residui e puliteli con un panno umido.
Il gambo delle mazze di tamburo è duro, quindi non utilizzatelo. Quando le raccogliete, vi consiglio di metterle in un bicchiere con acqua fino al momento dell’uso.
Una volta puliti, tagliate i funghi a pezzi. In un pentolino, fate soffriggere uno spicchio d’aglio con un filo d’olio, poi aggiungete i funghi e cuoceteli per una decina di minuti. Aggiustate di sale, ma fate attenzione se avete già salato i porcini in precedenza, nel dubbio, assaggiate.
Passiamo ora alla preparazione della carne. Praticate delle piccole incisioni sulla pelle esterna degli ossibuchi e batteteli con delicatezza.
In una capiente padella, versate un filo d’olio extravergine di oliva e aggiungete la carota e il sedano tagliati sottili. Lasciate insaporire, poi adagiate gli ossibuchi leggermente infarinati, scuotendo via l’eccesso di farina.
Fate dorare la carne da entrambi i lati e sfumate con vino bianco. Lasciate evaporare, poi aggiungete i funghi, salate e pepate. Unite un cucchiaio di concentrato di pomodoro e qualche mestolo di brodo. Proseguite la cottura a fiamma dolce per 50-60 minuti, finché la carne non risulterà molto tenera.
Nel frattempo, preparate la polenta. Portate a ebollizione dell’acqua salata con un cucchiaino d’olio, quindi aggiungete la polenta a pioggia e mescolate continuamente, cuocendo per circa 40 minuti.
I nostri Ossibuchi con Funghi, da servire con Barbera D’Alba DOC Superiore Vini Veglio, sono pronti per essere gustati. Per la scarpetta, consiglio una buona fetta di pane casereccio, se preferite al posto della polenta.
Accompagnate il piatto con un eccellente calice di vino rosso corposo e ben strutturato, come il Barbera D’Alba DOC Superiore Vini Veglio.
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Alla prossima ricetta!
Un abbraccio
Patrizia