Migliaccio Napoletano con Liquore a Base di Erbe Amaro San Filippo

Il Migliaccio Napoletano con Liquore a Base di Erbe Amaro San Filippo è uno dei dolci più amati e apprezzati del Carnevale, la festa più colorata e vivace dell’anno. Un tripudio di maschere, allegria e scherzi, che coinvolge grandi e piccini in tutto il mondo, celebrando l’eccesso e il divertimento in un periodo di pura spensieratezza.

Quella di oggi è una versione speciale di uno dei dolci più popolari della tradizione contadina, simbolo del Carnevale in Campania e amato in tutta Italia: il Migliaccio. Questo dolce, simile alla Pastiera, richiama i profumi e i sapori tipici della tradizione napoletana. Se la Pastiera è il dolce pasquale per eccellenza, nato secondo la leggenda dal culto della sirena Partenope ma in realtà creato tra le mura di un convento a San Gregorio Armeno, il Migliaccio si distingue per il suo aroma inconfondibile di fiori d’arancio appena sfornato e per il ripieno dal delicato colore giallo tenue.

Il Migliaccio vanta una storia antica ed è l’emblema perfetto della cultura popolare campana, una terra ricca di sapori autentici e tradizioni secolari. Qui, per generazioni, il ritmo della vita è stato scandito dalla terra, lasciandoci in eredità un patrimonio gastronomico straordinario, simbolo dell’essenza più genuina dell’italianità.

Il nome del dolce deriva dal latino “miliaccium”, che significa “pane di miglio”, a indicare l’ingrediente principale con cui veniva realizzato: la farina di miglio. A questa si aggiungeva il sangue di maiale, poi sostituito nel tempo dal semolino, latte e burro.

Le origini storiche di questa preparazione risalgono al periodo Medioevale, intorno all’anno Mille, quando nelle cucine contadine era consuetudine utilizzare il sangue di maiale fresco. Questo alimento, molto diffuso in un’epoca segnata dalla povertà, era considerato un nutriente ideale per chi lavorava nei campi. Dal punto di vista nutrizionale, infatti, il sangue era ricco di proteine, ferro e vitamina D e oggi sarebbe considerato un vero superfood.

Nonostante fosse osteggiato dalla Chiesa cattolica, che lo considerava parte di un rito pagano, il sangue di maiale continuò a essere usato fino al 1922, quando ne fu vietata la vendita per motivi igienico-sanitari, anche nella preparazione del famoso sanguinaccio, per scongiurare il rischio di infezioni. La sua scomparsa dalle ricette risale in realtà al ‘700, ma la tradizione rimase radicata nei ceti popolari ancora a lungo. Successivamente, al posto del sangue si iniziarono ad aggiungere i ciccioli di maiale, un’usanza che in alcune zone rurali di Napoli persiste tutt’oggi. Tuttavia, le origini del dolce potrebbero essere ancora più antiche, considerando che sia i Romani che i Greci utilizzavano la farina di miglio, spesso addensata proprio con il sangue di maiale.

Questo dolce si presenta come una torta morbida e soffice, dal sapore delicato e dal profumo irresistibile. Come spesso accade, esistono numerose varianti legate alle tradizioni di famiglia. In alcune versioni si aggiungono all’impasto i capellini d’angelo, una pasta sottilissima, per ottenere una versione salata del Migliaccio.

Altre ricette prevedono l’aggiunta di rum per affiancare l’aroma dei fiori d’arancio, oppure di canditi di cedro e arancia, farina di mais, uvetta sultanina, amarene, ciccioli e persino Parmigiano Reggiano, per citarne alcune.

Oggi vi presento la mia versione rivisitata del Migliaccio, arricchita da una nota aromatica intensa e originale grazie all’aggiunta di un liquore a base di erbe, l’Amaro San Filippo. Ma prima di entrare nel dettaglio della preparazione, facciamo un doveroso viaggio tra le tradizioni e le origini del Carnevale.

Questa festa, che nel 2025 inizia il 27 febbraio e si conclude il 4 marzo, precede il Mercoledì delle Ceneri. Si tratta di una delle cosiddette “feste mobili”, poiché la sua data varia in base ai festeggiamenti della Santa Pasqua, cadendo sempre 70 giorni prima. Sebbene oggi sia legata al mondo cattolico e cristiano, le sue radici affondano nelle antiche religioni pre-cristiane.

Con il passare del tempo, questa festa ha perso il suo significato esclusivamente religioso, diventando una celebrazione popolare, un periodo di festeggiamenti e allegria. L’etimologia della parola Carnevale deriva dal latino “carnem levare” (ossia “togliere la carne”), poiché indicava l’ultimo banchetto concesso il Martedì Grasso prima del periodo di astinenza e digiuno. In epoche precedenti, la festa era chiamata “fasnachat” o “fesenach”, nota anche come la “festa della pazzia”.

Per la tradizione cattolica, il Carnevale rappresenta il momento delle “grandi abbuffate”, che precede la Quaresima, un periodo di digiuno e penitenza in commemorazione dei 40 giorni di digiuno di Gesù nel deserto. Durante questo tempo, il consumo di carne era vietato fino alla Santa Pasqua.

Per rendere più sopportabile questo lungo periodo di privazioni, la Chiesa istituì dieci giorni di festeggiamenti, concedendo massima libertà nel mangiare e bere, senza alcuna preoccupazione di peccare.

La storia del Carnevale affonda le sue radici nella notte dei tempi: una festa già celebrata dagli antichi Babilonesi e Fenici, che rendevano omaggio alle loro divinità. Per gli Egizi, era una festività dedicata alla dea Iside.

Nell’antica Roma, i festeggiamenti del Carnevale richiamavano i Saturnali, mentre per i Greci erano le Dionisiache. In questi periodi di festa, le gerarchie sociali venivano sovvertite e regnava la libertà di scherzare: persino i servi potevano dare ordini ai padroni. Questo tempo di rinnovamento coincideva con la fine di un anno e l’inizio di quello nuovo.

In particolare, sia i Greci che i Romani dedicavano queste celebrazioni al dio del vino: per i primi era Dioniso, mentre per i secondi era Bacco.

Molte sono le storie, gli aneddoti e le leggende nate intorno a questa festività. Una che ho trovato particolarmente simpatica e che voglio raccontarvi riguarda la nascita del Carnevale, che sarebbe da attribuire a Re Carnevale e alla Regina Quaresima.

Si narra che Re Carnevale fosse un sovrano dall’animo buono, gentile e molto generoso, tanto nobile e altruista da tenere sempre aperte le porte del suo castello per chiunque ne avesse bisogno, permettendo a tutti di entrare e cibarsi con ciò che desideravano. Un giorno, però, si abbandonò ai piaceri della tavola, esagerando fino a sentirsi male. Preso dal malessere, decise di chiedere aiuto a Sorella Quaresima, la quale accorse prontamente al suo capezzale. Decise di aiutarlo, ma a una condizione: diventare la regina del castello. Il re accettò, e così la Regina Quaresima prese il comando, imponendo però regole molto severe al popolo, che non piacquero al sovrano. Il re si rattristò, e la regina, presa da compassione, per fargli tornare il sorriso gli concesse tre giorni all’anno in cui avrebbe potuto fare tutto ciò che desiderava. Nacque così il Carnevale. Durante questi giorni, si entra in un mondo fatto di allegria, gioia, feste mascherate e dolci golosi, dove ognuno può dare sfogo alla propria creatività e voglia di festeggiare.

E così, anche per gli italiani e per il mondo intero, il Carnevale è diventato simbolo di libertà e divertimento. Un grande classico che segna il giorno più scatenato dell’anno, con musica, sfilate di carri mascherati, stelle filanti, coriandoli, costumi colorati e originali. Ci sono sfilate vivaci e l’opportunità per i bambini di vestirsi come i loro personaggi preferiti, mentre gli adulti si divertono con abiti fantasiosi o maschere tradizionali.

Dal Carnevale di Venezia, con le sue calli affollate ogni anno da migliaia di turisti e i suoi esclusivi gala in Piazza San Marco, al Carnevale di Viareggio, una delle feste italiane più spettacolari, dove festosi carri allegorici sfrecciano lungo la passeggiata a mare. E ancora, il vibrante Carnevale di Rio de Janeiro, una grande festa a ritmo di samba con sfilate che attraggono visitatori da ogni parte del mondo, considerato tra i più belli, e il Carnevale di Santa Cruz de Tenerife, secondo solo a quello di Rio per importanza.

E come ogni festa che si rispetti, anche il Carnevale ha i suoi dolci tipici regionali! Che festa sarebbe senza chiacchiere, castagnole, frittelle, riccioli, làciàditt, crescionda, cecamarini, cicerchiata, pignolata glassata o il delizioso migliaccio? Un elenco di bontà infinite, con varianti che cambiano da regione a regione e da città a città. Prelibatezze a cui proprio non possiamo rinunciare in questo periodo di festa!

Oggi, per realizzare il nostro Migliaccio, ho il piacere di utilizzare il Liquore a Base di Erbe Amaro San Filippo. Con questo dolce vi invito a un viaggio gastronomico che unisce due icone dell’arte culinaria italiana: i dessert e il mondo degli amari. Gli amari, conosciuti anche come bitter, sono simili ai liquori in quanto ottenuti tramite macerazione e infusione di erbe. Si differenziano dai liquori per la caratteristica “amara” dovuta alla loro minore percentuale di zuccheri.

Due mondi, quello dei dessert e quello degli amari, che potrebbero sembrare dissonanti, uno opposto all’altro, ma che invece ci regalano esperienze gustative inaspettate e sorprendenti, capaci di conquistare anche i più scettici tra i nostri ospiti.

Generalmente, siamo abituati a consumare l’amaro come aperitivo, dopo il caffè, o come digestivo. Anche durante il giorno, può essere una bevanda corroborante. Per noi italiani, rappresenta un momento di piacevole convivialità, un rito che fa parte della nostra identità culturale a tavola. L’amaro è una bevanda alcolica che, come suggerisce il nome, ha un sapore amaro e una gradazione alcolica minima di 15 gradi. Si ottiene dall’infusione in alcool di un mix di erbe, e il segreto della bontà di un amaro dipende dalla qualità e dalla quantità delle erbe utilizzate.

Possiamo fare una distinzione tra gli amari, suddividendoli in 4 categorie:

  1. Amari forti o amarissimi: generalmente consumati come fine pranzo o cena, con una gradazione superiore ai 40 gradi.
  2. Amari medi: con un sapore ben definito, tendente al secco, e una gradazione alcolica tra i 30 e i 36 gradi.
  3. Amari leggeri: con una minima dose di zuccheri e un sapore tendenzialmente dolce. Sono utilizzati anche come aperitivi e digestivi e hanno una gradazione alcolica tra i 16 e i 31 gradi. A questa categoria appartiene la “china”, che si ottiene dalle cortecce di china, un albero originario delle foreste montane della Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia.
  4. Amari dolci: che non sono necessariamente dolci, ma hanno una minore percentuale di amaro rispetto agli altri amari.

Il nostro bel paese vanta un’incredibile varietà di liquori amari, con ogni regione che offre le proprie specialità. Questi liquori sono diventati un prodotto insostituibile nelle nostre case e nei bar, in un mercato in continua evoluzione. Oggi, c’è una costante ricerca di nuove combinazioni di spezie e erbe officinali, un continuo desiderio di scoprire l’elisir di lunga vita, il tutto nel rispetto del mantra del bere responsabilmente e consapevolmente.

Gli amari affondano le loro radici nella notte dei tempi, con origini che risalgono all’antica Grecia, al Medioevo Arabo e alle abilità dei frati nei conventi, che, con sapienza, preparavano infusi secondo l’antica tradizione contadina. Grazie alle nozioni di fitoterapia e alchimia, l’uso di erbe, spezie e radici ha dato vita ai precursori degli amari. Già al tempo degli antichi Romani e dei Greci si conoscevano le proprietà farmacologiche dell’amaro. Lo stesso Lucrezio usava il termine “amaro” come sinonimo di medicina, definendo l’assenzio come “disgustoso” e utilizzato a scopo terapeutico per i bambini. Per i Greci, l’amaro era la cura per i problemi digestivi, mentre Ippocrate lo consigliava contro i reumatismi, l’anemia, i dolori mestruali e anche durante il travaglio e il parto.

Molto c’è ancora da scoprire su questo affascinante mondo degli amari, ma oggi voglio presentarvi il protagonista della nostra ricetta: l’Amaro San Filippo, un liquore artigianale italiano che incarna perfettamente la fusione tra tradizione e innovazione. Questo amaro, prodotto con una selezione di 23 botaniche, rappresenta un viaggio sensoriale unico, caratterizzato da un equilibrio perfetto tra dolcezza e amarezza. Tra le erbe più note troviamo la genziana, l’anice stellato, la cannella, la china, e l’arancio pernambucco, ognuna delle quali contribuisce con le sue note aromatiche per creare una bevanda dal sapore complesso e ricco.

La sua gradazione alcolica di 30% lo rende robusto ma al contempo perfettamente equilibrato, rendendolo ideale sia come digestivo che come ingrediente per la preparazione di cocktail sofisticati. Il processo di creazione dell’Amaro San Filippo è meticolosamente curato, con una distillazione che rispetta le antiche tradizioni, ma che al tempo stesso è aperta all’innovazione per mantenere l’autenticità e la qualità del prodotto.

L’amaro si distingue per le sue sfumature speziate che si sviluppano ad ogni sorso, offrendo un’esperienza di degustazione che affascina per la sua profondità. L’intensità del sapore è accompagnata da un retrogusto piacevolmente persistente, che regala una sensazione di piacevole calore. Consiglio di servirlo freddo, tra 0 e 4 gradi Celsius, per esaltare al meglio le sue note aromatiche e permettere agli appassionati di apprezzarne appieno la complessità.

Questo liquore artigianale non è solo una bevanda, ma un vero e proprio simbolo di passione e dedizione, tramandato di generazione in generazione, in particolare dal fondatore, Mario Zanotta, che ha ereditato la tradizione dal padre e dalla madre, continuando a realizzare un amaro che racconta la storia di Milano e delle sue radici più profonde. Un prodotto che non solo celebra la tradizione familiare, ma anche la bellezza e la complessità di una città in continua evoluzione, rendendo ogni sorso un’esperienza unica.

Se non avete ancora avuto il piacere di assaporarlo, vi consiglio vivamente di acquistarlo. Visitate il loro shop online e lasciatevi conquistare dal suo sapore inconfondibile. Non solo avrete il privilegio di degustare un amaro dal gusto straordinario, ma farete anche un viaggio nel cuore della tradizione milanese. Una bottiglia di Amaro San Filippo è un regalo perfetto per gli amanti delle bevande artigianali e per chi vuole scoprire un nuovo tesoro della nostra cultura gastronomica. Non ve ne pentirete, sono certa che, come me, vi innamorerete di questa autentica bontà.

Vediamo ora cosa ci occorre per realizzare il nostro Migliaccio Napoletano con Liquore a Base di Erbe Amaro San Filippo:

Ingredienti:

  • 600 ml di latte fresco intero
  • 200 ml di acqua
  • 80 grammi di burro
  • i semini di una bacca di vaniglia
  • 180 grammi di semolino
  • 4 uova a temperatura ambiente
  • 250 grammi di zucchero semolato
  • 200 grammi di ricotta
  • un pizzico di sale
  • 50 ml diAmaro San Filippo
  • 60 grammi di arancia e cedro canditi
  • 60 grammi di uvetta a piacere
  • zucchero a velo a completare

Migliaccio Napoletano con Liquore a Base di Erbe Amaro San Filippo: Ricetta

In una capiente casseruola, mettiamo il latte, l’acqua, i semini di una bacca di vaniglia, un pizzico di sale e il burro. Portiamo sul fuoco e lasciamo raggiungere il bollore. Appena sfiora il bollore, abbassiamo la fiamma e versiamo il semolino a pioggia, mescolando continuamente. Cuociamo per qualche minuto, poi spegniamo la fiamma e lasciamo raffreddare a temperatura ambiente.

Quando il composto sarà freddo, aggiungiamo la ricotta e amalgamiamola con uno sbattitore elettrico. Aggiungiamo le uova, una alla volta, e lo zucchero semolato. Aromatizziamo con il Liquore a Base di Erbe Amaro San Filippo e aggiungiamo i canditi e, se gradito, l’uvetta sultanina precedentemente fatta rinvenire nel Liquore a Base di Erbe Amaro San Filippo.

Versiamo il composto in una tortiera imburrata e infarinata e inforniamo in forno preriscaldato a 180°C per circa 50 minuti. Una volta cotto, facciamo raffreddare e spolverizziamo con zucchero a velo.

Il nostro Migliaccio Napoletano con Liquore a Base di Erbe Amaro San Filippo è pronto per essere servito!

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Alla prossima ricetta!

Un abbraccio

Patrizia

 


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