FILETTO AL VINO NOBILE DI MONTEPULCIANO

 

Questa ricetta è tipica della zona in cui vivo, la Valdichiana, in provincia di Siena. Infatti i due ingredienti fondamentali sono il filetto di vitello ed il vino. La carne proviene da allevamenti della tipica razza toscana di bovini, la Chianina, mentre il vino è il conosciutissimo Nobile di Montepulciano, tipico del paese toscano da cui prende il nome ed è conosciuto in tutta Italia.

INGREDIENTI

– 1 fetta di filetto di vitello

– mezza bottiglia di vino nobile di Montepulciano

– 1 cucchiaino di miele

– insaporitore Ariosto per carni alla griglia q.b.

– sale q.b.

Scaldate una griglia sul fuoco, e quando sarà rovente cuocetevi il filetto (se potete cuocete pure la carne alla brace… verrà ancora più buona!). La ricetta lo richiede cotto al sangue, quindi cuocetelo pochi minuti per lato (il mio è cotto molto bene, perchè a me non piace la carne al sange… voi cuocetelo comunque in base ai vostri gusti).

Nel frattempo in una padella versate il vino, mettetelo sul fuoco, aggiungete il cucchiaino di miele e riducetelo a fuoco medio. Dovrà diventare come una salsina, non densa, ma ristretta.

Quando la carne è quasi cotta cospargetevi l’insaporitore Ariosto per carni alla griglia e dosate di sale.

Su di un piatto da portata versate la riduzione di vino e adagiatevi sopra il filetto cotto. Buon appetito!

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa ricetta è legata al territorio toscano, così come lo sono molte opere d’arte. Nel mio paese se ne trovano varie, ma quella di cui oggi vi voglio parlare è la famosa Lunetta di Donatello.

 

 Questo è il mio paese Torrita di Siena.

 

 

 

 

La piazza del paese con il pozzo ed il Palazzo Comunale

 

 

 

 

La Chiesa delle Sante Flora e Lucilla situata nella piazza comunale, all’interno della quale si trova l’opera d’arte la Lunetta di Donatello.

 

 

 

 

 

 

La famosa Lunetta di Donatello

 

 

 

 

La Lunetta“ (come familiarmente chiamata dai torritesi) si colloca indubbiamente fra le più importanti opere d’arte del nostro paese, sia per l’elevato valore artistico, sia per l’affezione e rispetto che quel sempre maggior numero di paesani ha per la storia e l’arte del nostro “Campanile”. Il suo vero nome è infatti Il Sangue Del Redentore.

Il bassorilievo in marmo, attualmente collocato nella Chiesa delle SS. Flora e Lucilla, conosciuto come “la lunetta di Donatello”, ha avuto un iter storico poco noto. Non se ne conosce con sicurezza la collocazione originale e se l’autore è lo stesso Donatello o la sua Scuola. Nel timpano della porta dell’oratorio della Chiesa della “Madonna delle Nevi” è posta una copia dell’opera. In un manoscritto di un concittadino torritese, G.M. Guasparri, si legge:“…..Nel timpano della porta dell’oratorio – della Madonna delle nevi – si ha un’opera d’arte notevole, sebbene non catalogata, esprimente la Resurrezione. Il Redentore risorge in mezzo ad una gloria di angeli e di serafini. Altri due angeli in piedi, oranti, sono ai lati. In basso nel mezzo due mezze figure di un uomo e di una donna in atto di preghiera, che potrebbero essere i committenti della scultura….. (tale possibilità viene messa in risalto da P.Hennessy; infatti a detta del critico, che concorda con quanto sostenuto dal collega Carli, le due figure con le loro masse corporee sporgenti rispetto al piano del rilievo potrebbero raffigurare i donatori in preghiera oppure San Giovanni Evangelista a sinistra e la Vergine a destra) ….. Le vesti sono di foggia quattrocentesca, mentre la modellatura delle figure finissime, sembra più tardiva. Però, quest’opera – nella sua linea generale, per la maniera onde è condotta la modellatura e, più, per il sentimento che la informa- deve ragionevolmente attribuirsi ad un artista del XV secolo. Il bassorilievo, di forma semicircolare, doveva essere la parte superiore di un monumento funebre. Certamente la sua attuale ubicazione non è originale. …..”.

Dal precedente passo si deduce che negli anni 20-40 del Novecento l’opera, che per altro era stata venduta nello stesso periodo dall’Amministrazione dell’Ospedale Maestri per sopperire alle ingenti spese incontrate per alcuni lavori di rinnovamento del plesso ospedaliero, non era stata ben focalizzata e  attribuita con certezza, anche se si intuivano già la possibile ubicazione e le finalità originarie.

Keith  Christiansen ipotizza che il bassorilievo facesse parte in origine di un tabernacolo composito. Probabilmente Donatello avrebbe realizzato l’opera durante la sua permanenza a Siena. Egli ritiene, inoltre, che l’opera sia stata portata a Torrita in occasione di lavori di  trasformazione effettuati nel Duomo di Siena nel XVII o nel XVIII secolo.

E’ interessante la sua somiglianza con un bassorilievo in bronzo del Vecchietta (Castiglion d’Orcia 1410 – Siena 1480), “La Resurrezione”, attualmente presso “The Frick Collection di New York”. Ciò fa pensare che la fonte ispiratrice del Vecchietta possa essere stata la “lunetta” di Donatello. Il Christiansen non condivide la comune opinione, diffusa tra la critica, che vuole la collocazione cronologica dell’opera intorno al 1430. Egli propende, infatti, per la fine degli anni ’50 del XV secolo, quando Donatello avrebbe gettato a Siena il seme del suo stile, che divenne dominante negli ultimi quaranta anni del secolo.

La prima menzione dell’opera risale all’Ottocento, quando si trovava sulla facciata della Madonna delle Nevi ed è plausibile che fosse stata collocata in quell’avamposto di provincia del contado senese a seguito delle modifiche del Duomo di Siena tra il ‘600 ed il ‘700.

Il rilievo risente in maniera evidente della tecnica rivoluzionaria di Donatello. Si tratta di un connubio di vari studi sulla prospettiva teorizzati da Brunelleschi e le soluzioni pittoriche di Masaccio. Questa tecnica di lavorazione della lastra marmorea, che prende il nome di “stiacciato” si caratterizza per la realizzazione di un rilievo di natura quasi pittorica, tanto è minimo lo spessore dello sbalzo. E’ evidente il desiderio di trasferire nella pietra le peculiarità della pittura. Si ottengono effetti di allontanamento dei piani, moti e scorci di figure entro lo spazio dilatato, non solo con il diminuire delle dimensioni dei corpi, dai più vicini ai più lontani, ma modulando il rilievo dai primi agli ultimi piani, nei quali ultimi il rilievo è appena accennato.

In maniera molto simile alla pittura, in questo genere di bassorilievo la raffigurazione si immerge in profondità e la modellazione sensibile e irregolare crea effetti di luce ed ombra.

Sono appunto questi suggestivi giochi di luce ed ombra, che richiamano molto la pittura, e questo senso di profondità, che ci inducono a credere che la lunetta di Torrita sia quasi sicuramente uscita dalla Bottega di Donatello.

Tra coloro i quali si sono interrogati su quelli che potrebbero essere i nessi tematici tra l’opera in questione ed altre realizzazioni frutto dell’attività di Donatello va menzionato il Middeldorf, per il quale le rappresentazioni del sangue del Redentore erano abbastanza diffuse in genere nell’Arte toscana dei primi decenni del XV° secolo. Egli accomuna la nostra lunetta  ad un bellissimo bassorilievo in marmo presso il Palazzo Ducale di Mantova. Secondo la maggior parte dei critici il manufatto marmoreo viene datato intorno agli anni trenta del Quattrocento ed è ipoteticamente associato al “Tabernacolo del Sacramento in San Pietro” (1432-1433).

Il Collareta in un opuscolo dal titolo “DONATELLO IN TOSCANA” del 1985,  rimarca  il più volte dibattuto rapporto tra la lunetta di Torrita ed il tabernacolo romano e ripercorre la strada critica che vuole vedere nell’opera il risultato di un’esecuzione non molto alta stilisticamente nonostante si riscontri una genialità a livello concettuale. La maggior parte dei critici è, infatti, orientata a considerare il marmo un prodotto della bottega di Donatello, strettamente dipendente da un disegno del maestro, oppure un’opera eseguita dal maestro con la collaborazione della bottega.

L’Avery (1991) distingue come parti riconducibili alla mano di Donatello le teste dei personaggi, tant’è che la composizione troverebbe significative conferme in alcuni disegni del maestro. Avery assegna le nuvole, che mancano dell’analoga finezza esecutiva rimarcabile nei volti, ad una mano di inferiore abilità.

Pope-Hennessy è uno degli studiosi che più ha mostrato un certo scetticismo circa l’autografia del maestro ed ha puntato invece sul fatto che si possa trattare di una realizzazione della bottega, prodotta a partire da un modello di Donatello.

Egli confuta le ipotesi di Bode, che, invece, aveva pubblicato un articolo sul rilievo nel 1925 e vedeva nel Sangue del Redentore un bassorilievo autografo.

Analogie con la lunetta di Torrita sono rintracciabili in altre opere di Donatello. Ad esempio nell’Assunzione della Vergine collocata presso il monumento Brancacci a Napoli (1426-1428) e nell’opera intitolata l’Ascensione e consegna delle chiavi (c.1430).In entrambi i casi la figura del Cristo si erge sugli altri personaggi su una mandorla a forma di nimbo che risulta scorciata per la presenza del bordo superiore.

Tornando all’ipotesi che accomuna la lunetta torritese con l’opera in San Pietro si può notare una discreta somiglianza tra gli angeli posti lateralmente sul rilievo di Torrita e gli angeli del Tabernacolo del Sacramento in Vaticano.

Lo stesso Pope-Hennessy suggerisce che la lunetta in origine potesse far parte integrante del tabernacolo e in seguito, per cause a noi sconosciute, fosse stata rimossa. La collocazione precisa, a detta del critico, sembrerebbe essere stata nella parte superiore.

Nel 1977 H.M. Caplow propone una lettura dell’opera singolare. Concorda con l’idea di Pope-Hennessy secondo la quale la lunetta potrebbe essere il pezzo mancante che avrebbe dovuto sormontare il tabernacolo di San Pietro, ma ha un’intuizione importante e non scevra da un’attenta riflessione. L’autore rileva che volute simili a quelle presenti nell’Annunciazione Cavalcanti in Santa Croce a Firenze, opera dello stesso dello stesso Donatello, avessero potuto arricchire il marmo. Esse sarebbero state posizionate sui lati, sporgenti dalla cornice. Caplow, inoltre, si interroga circa la conformazione della maggior parte dei tabernacoli eucaristici per il sacramento, contemporanei all’opera torritese e constata che, a differenza dei tabernacoli fiorentini per il sacramento che seguono lo schema del Tabernacolo di Desiderio da Settignano in San Lorenzo, dove è previsto il simbolo eucaristico di Gesù Bambino eretto su di un calice (vedi anche il tabernacolo attribuito a Ciuccio di Nuccio (?) nella Cattedrale di Cortona), la parte più alta del tabernacolo di Santa Maria in Trastevere a Roma -firmata OPUS MINI- include un Cristo Risorto col sangue che viene raccolto in un calice. Questa scelta del Cristo Risorto, anziché quella del Gesù Bambino, non differirebbe molto dall’iconografia del nostro marmo.

E’ verosimile, quindi, che la lunetta torritese completasse proprio un tabernacolo eucaristico.

In conclusione l’autore fa propria la teoria di P.Hennessy aggiungendo che il tabernacolo romano sarebbe stato disegnato da Donatello che si circondò di validi assistenti tra cui Michelozzo, al quale attribuisce l’esecuzione della maggior parte della Lamentazione di Londra, che ritiene fosse posta alla base del tabernacolo, mentre la lunetta di Torrita, scolpita da uno sconosciuto assistente, originariamente avrebbe sormontato il tabernacolo.

Notizie  sull’alienazione della lunetta

Dalla lettura delle edizioni dell’epoca di due giornali come La Nazione e il Popolo di Roma si ripercorrono molte tappe fondamentali della vicenda del furto del bassorilievo torritese.

Dalle fonti d’archivio della soprintendenza risalenti al 1926 è palpabile quello che fu lo sconcerto ed il fervore dovuto ad un evento simile, visto che avvenne in un piccolo paese poco incline e mai esposto alle luci della ribalta.

Prima di tutto l’oggetto in questione, poco e mal valutato dalla gente del luogo tranne che da alcuni appassionati d’arte quali G.M.Guasparri, era custodito all’interno dell’Ospedale Maestri di Torrita e fino al 1923 era murato sulla porta d’ingresso dell’Oratorio della Madonna delle Nevi.

Dall’articolo de La Nazione del 12 febbraio del 1926 si evincono le dinamiche e i passaggi di proprietà del rilievo. L’Amministrazione Ospedaliera giustificò il trasferimento del manufatto dalla porta d’ingresso dell’oratorio all’Ospedale  sostenendo la necessità di tutelarlo da eventuali furti al quale sarebbe stato esposto vista la sua ubicazione all’esterno.

Il rilievo rimase custodito nelle stanze della Direzione dello Spedale “Maestri” vari mesi. L’intricata vicenda vide implicate alcune personalità del paese insieme ad un antiquario fiorentino.

Non si conoscono bene le motivazioni che spinsero l’Arciprete don Giulio Savelli, vice presidente dell’Ospedale, a vendere illegalmente l’opera anche se il diretto interessato si giustificò dicendo che il ricavato sarebbe servito per alcuni urgenti  lavori interni all’Ospedale.

Sembra che il mediatore della compravendita, tra il Savelli e l’antiquario fiorentino G.Vitali, fosse G. Guasparri.

Un altro dato importante emergente dalla lettura dell’articolo è il fatto che la datazione del marmo fosse alquanto approssimativa e non ne fosse conosciuto l’artefice, nonostante l’antiquario avesse probabilmente intuito il reale valore dell’oggetto.

Infatti, si legge: “…era stato remosso un bassorilievo dei primi del secolo XVI o della fine del secolo XV…”.

I giornalisti dell’epoca raccolsero alcune indiscrezioni dalla popolazione del luogo da cui sembrava che l’Arciprete avesse intascato un’ingente somma di denaro.

Dall’analisi dei documenti delle entrate e delle uscite dello Spedale Maestri non risultarono né registrazioni né ricevute di alcuna vendita pari ad un importo di 35.000 Lire, il che acuisce i dubbi circa la condotta del Vice-presidente Savelli.

L’aggravante di tutta la vicenda è rappresentato dalla mancata consultazione e consenso, da parte dell’Amministrazione dello Spedale, all’Autorità tutoria e al Ministero della Pubblica Istruzione.

Fulvio Corsini, titolare della cattedra di scultura presso l’Istituto di Belle Arti di Siena, fu implicato nel trafugamento e accusato di aver indicato per primo all’antiquario Vitali il bassorilievo e di aver eseguito una copia in marmo di carrara (patinata e sbocconcellata) da sostituire all’originale.

La prefettura di Siena aprì subito le indagini per ritrovare l’originale che, come sappiamo oggi, fu recuperato sul mercato antiquario e nel 1938  fu restituito per essere  riposto presso lo Spedale Maestri.

Premettendo che la cifra irrisoria di 35.000 Lire dell’epoca fosse sbagliata visto che il valore del marmo, come si riteneva, sarebbe ammontato a circa 100.000 Lire, è chiaro che il patrimonio dello Spedale non ci avrebbe di certo guadagnato.

 

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5 Risposte a “FILETTO AL VINO NOBILE DI MONTEPULCIANO”

  1. ottimo il filetto in rosso 🙂 quante notizie! molto caratteristico il tuo paese,sono stata a Siena, non ho visitato altro solo il centro della piazza.. chissaà davvero quale sia stata la vera ubicazione, ovvero per cosa fu creata dal Donatello, l’importante credo che sia comunque rimasta integra se è stata spostata da una parte all’altra 🙂 ciao cara buona serata

  2. GRAZIE LAURA!!! E’ un post bellissimo!!! E scopro che viviamo anche vicine! 🙂
    Grazie di aver partecipato! Ti ricontatterò per avere il tuo indirizzo per spedirti il libro! Buona giornata, Simo! 🙂

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