Beatrice racconta l’Osteria di Rendola – 29 ottobre 2012

Eccolo lì, come se stesse aspettando proprio me. Nella cucina, con le sue guance rosse e i suoi occhi blu, ammalianti ma fuggevoli, la timidezza in persona. Era immobile, sorpreso della mia apparizione. Stava in piedi vicino ai fornelli e gli altri cuochi, notando la sua espressione, iniziarono a prenderlo in giro. “Ma perché voi due non vi fate una bella foto insieme?” suggerì Luca, un nostro amico chef. Ma ora stiamo correndo troppo, torniamo al giorno prima, il 28 ottobre 2012.

Stavamo facendo le valigie. Da Roma dovevamo partire per Rendola, a Montevarchi. “Sei pronta Beatrice? Dobbiamo andare a prendere Paola, verrà con noi”. Avevo chiesto a mia madre di portarmi ad Arezzo perché lei c’era andata l’anno scorso ma ci aveva portato mio cugino, Matteo, un cuoco, quindi particolarmente interessato dall’evento. La cosa però aveva incuriosito anche me, perché mia madre ha sempre raccontato delle bellissime storie su questa esperienza e l’aveva trascritta minuziosamente nel suo blog. “Finalmente conoscerai Luca Borghini” mi disse “è uno chef veramente bravo e simpatico. Lo conoscerai questa sera stessa.” Caricate in macchina le valigie, andammo a caricare una compagna di viaggio un po’ eccentrica, la fotografa Paola. Lei mi conosce sin da bambina, è un tipo particolare, ma molto estroverso, dai capelli color fuoco, occhi scuri e vispi e sulle labbra sottili spuntava sempre un sorrisetto divertito.
“Grazie belle ragazze! Ora partiremo per una vacanza culinaria, giusto Cristiana? Tranquilla che per i piatti ho portato la mia macchinetta professionale.”
Lei adora fare foto. Modificarle, sistemare la luce, e comprare tutti quegli arnesi che i fotografi professionisti possiedono. Questo evento sarebbe stato un divertimento unico per lei.

Prima di giungere alla nostra meta, ci fermammo a metà strada, a Orvieto per raccattare un’altra compagna di viaggio, Velia, chef brillante e personaggio televisivo, ma soprattutto una personalità forte e carismatica. Andammo nella Champagneria di Velia per salutare anche il suo compagno, Gianluca. Ci accolsero calorosamente.

“Dio caro, io starò tutto il tempo con il giaccone di mia nonna dal freddo!” esclamò allegramente Velia. “Credo che dovrò anche dormire con questo piumino super imbottito!”
“Non ti preoccupare, per qualsiasi cosa di cui tu abbia bisogno, sai che noi saremo sempre a disposizione.” le disse affettuosamente mia madre.
Velia è una nostra cara amica per questo volevamo accompagnarla noi e poi sarebbe tornata con noi due giorni dopo.

Dopo poco più di due ore di viaggio arrivammo in serata in uno stradone in mezzo alle campagne toscane. “Dove diavolo andremo stasera? Sono quasi le 20 e non c’è un’anima” l’ottimismo di Paola. Vagammo per qualche minuto buono tra strade buie e bivi senza indicazioni, fino a giungere in un vicolo cieco. Mamma fu costretta a fare inversione e Paola cominciò a perdere le speranze.

“No, aspetta vedo un cartello… certo potevano fare un’insegna più piccola, no?”. Così mamma riuscì a fatica a entrare in quello che doveva essere l’ “Hotel Relais La Ramugina” di Rendola. C’era una piccola insegna di legno con delle incisioni chiare su sfondo scuro. In effetti, era quasi illeggibile. Era buio e faceva anche abbastanza freddo.
Ci si presentò agli occhi un grande complesso rurale antico, forse del Settecento, costituito di casine comunicanti con portici e vetrate in quel momento illuminate. In una di queste, al piano di terra, vi era l’insegna sempre in legno, con inciso “Reception”. L’accesso era floreale, era un camminamento su tanti sassolini e sotto al portico vi era una volta intrecciata di piante rampicanti.
Appena entrate, siamo state accolte dalla proprietaria, Franca, che ha consegnato le chiavi delle camere a noi e a Velia. Dovemmo andare al piano superiore della reception, nel quale vi si accedeva tramite una grande portafinestra che lasciava intravedere un ambiente con un divano, due poltrone e un camino: doveva essere una sorta di sala comune. Le camere, erano in realtà mini-appartamenti: noi avevamo due bagni, una stanza matrimoniale, una singola, e un ingresso con divano-letto e tivù. Si intuiva lo stile campagnolo già dai nomi delle nostre camere: io, Paola e mia madre, dormimmo nel “Fienile” mentre Velia soggiornò nella “Torretta” infatti il suo modesto appartamento era situato su due piani, in una struttura più longilinea rispetto alla nostra. L’arredamento era un po’ country, ingentilito da perle e confetti, dato che la nostra Franca è anche una wedding planner. La sala comune invece aveva un busto che doveva far da modello per un abito da damigella o da sposa. Quello era il più atroce degli incubi nella deliziosa dimora campagnola. Purtroppo gli ambienti erano sempre freddi a causa dei riscaldamenti che andavano tenuti spenti fino a dicembre inoltrato. A cena, siamo dovute scendere nuovamente al piano terra, dove si trovava uno dei due ristoranti dell’agriturismo. Anche qui l’accesso era dato da una portafinestra: alla nostra sinistra avevamo un’area per la colazione, con macchinette del caffè, lavabo, tazze e confetti decorativi variopinti deposti in una scatola quadrata di vetro. Di fronte a noi si trovava un grande tavolo rettangolare con una decina di sedie e un paio di tavoli rotondi decorati con perle (ormai onnipresenti) e veli trasparenti da sposa. Dietro la zona colazione, nella parte sinistra della sala si snodava la cucina, che io ho avuto il piacere di visitare all’interno.
Alla nostra destra poi c’era una porticina con tre gradini che conducevano a un altro ambiente, una sala su due livelli riempita da tavoli e sedie, pronte ad accogliere ogni singolo ospite che si sarebbe aggiunto la serata successiva. Qui, conoscemmo i nostri compagni del tour culinario, tra chef, food blogger, autodidatti, fotografi e via dicendo: Giovanna, Antonio, Willy, Tiziana, Angela…ma Luca?
Già, Borghini! La sua simpatia già riuscii ad avvertirla prima di fare la sua conoscenza. Lo chiamò mia madre al telefono e ci lasciò basiti con queste parole: “Tranquilla Cristiana, il personale della signora Franca vi ha preparato tutta la cucina, così potrete già fare pratica, ambientarvi e conoscervi… noi invece ci vediamo domani!”

Infatti poco prima alla signora Franca le era stata fatta una domanda simile a: “Per la cena come ci dobbiamo organizzare?”
E lei, candidamente ci rispose: “Io ho detto al personale di sistemare la cucina e poi l’ho mandato via, come mi ha detto di fare Luca!”
E fu così che Velia e Antonio si misero ai fornelli sfamando tutti noi con una fantastica pasta con broccoli, pinoli, alici e pangrattato. Dopo cena, dato che eravamo tutti molto stanchi dal viaggio, rientrammo nelle nostre stanze… congelate. Niente riscaldamento. Noi per fortuna avevamo due bagni, quindi accendemmo i phon per rendere l’ambiente vivibile. Io stavo con un pigiama pesante invernale, ma non avevo portato le ciabatte. L’avessi mai fatto. Era come camminare a piedi nudi sulla vetta del Monte Bianco. Riuscii ad arrivare al letto matrimoniale da mia madre sana e salva.

Eccoci al 29 ottobre, ma ancora non siamo arrivati all’inizio della storia. La giornata si prospettava ancora lunga e piena di sorprese… ma naturalmente ancora non potevo saperlo mentre portavo il cappuccino in camera di Velia. Finalmente potemmo sperimentare quelle fantastiche macchinette del caffè e i deliziosi cornetti della signora Franca. Ogni volta che facevo le scale tra una stanza e l’altra però, c’era sempre quel bustino degli orrori che m’inquietava.

Quella mattina finalmente conobbi Luca Borghini. Un personaggio, spiritoso e molto gentile. Pelato, la testa la copriva con un alto copricapo da chef e il viso era sempre illuminato da un’allegria cartoonesca. Basso e panciuto, era l’anima della squadra, nonché il capo. Aveva organizzato tutto da solo, mettendosi d’accordo con la proprietaria del relais, i fotografi, gli chef e lo sponsor dello zafferano, Fabio, arrivato quel giorno, con cui era impegnato in un’ intervista radiofonica in diretta. Pian piano conoscemmo tutti gli chef partecipanti, a partire da Shady, uno chef che lavora ad Arezzo, dai capelli e gli occhi scuri, anche lui robusto di costituzione, ma più alto, che non si separava da Luca. E infine, la vincitrice del contest indetto da Luca, quest’ultimo forza motrice dell’evento, Silvia Iacoponi. Tutto questo movimento a cui assistevamo, era il suo premio: passare una giornata in una full immersion di cucina e sapori con i migliori chef.

Spizzicando qua e là, tra foto ai piatti e macchinette professionali puntate contro gli chef (Paola era all’apoteosi del divertimento per un suo sogno infantile), arrivò il pomeriggio. Non sembrava vero, tutto procedeva efficientemente, ogni chef era al lavoro, ognuno alle prese con i propri piatti. Dopo poco mi accorsi di altri nuovi arrivati che si occupavano di una cosa in particolare. Stavano vicini a Velia, all’entrata della cucina. Arrivati da poco.

C’era un signore, alle prese con un carpaccio di carne, e un ragazzo, entrambi vestiti con una divisa grigio-azzurra. Lui… era bellissimo. Molto alto, più di me, forse sul metro e ottantacinque circa. Fisico slanciato, spalle larghe, indossava abiti comodi, da lavoro, la divisa, pantaloni bianchi larghi, con un tocco però elegante, scarpe da ginnastica grigie che riprendevano la divisa. Ma naturalmente non erano i vestiti che mi avevano catturato. I suoi occhi. Il suo sorriso. Penso siano le più grandi meraviglie del mondo. Altro che opere artistiche degli Uffizi… qui avevo un vero e proprio David di Michelangelo. I suoi occhi azzurri erano così magnetici che neanche gli sfondi degli affreschi pompeiani si avvicinavano a quel colore magico. Il suo sorriso aveva una tale simmetria e perfezione che avrebbe fatto invidia a qualsiasi attore del cinema. I capelli castano chiaro erano sistemati nel tentativo di una cresta che però non si sarebbe potuto permettere. Non appena spostai un po’ lo sguardo notai un violento rossore sulle guance. Si era accorto della mia presenza e si sentiva osservato. I nostri sguardi si incrociarono.

Mi resi conto dopo qualche secondo che mi ero incantata a guardarlo. E poco dopo mi accorsi che si era incantato anche lui. Il padre quando mi vide sorrise e disse allegramente a me e a mia madre: “Io sono Alberto e questo è il mi’ figliolo, Marco”.

Marco. Un nome dell’Antica Roma. Che bello questo ragazzo di fronte a me. E’ molto timido e in quel momento anche un po’ impegnato, non riuscì a dirmi granchè.

“Da dove venite?” la sua voce era melodiosa, sembrava quella di un doppiatore.

“Eh, siamo di Roma…”

“Ah, quindi avete fatto un bel viaggio… Quanti anni hai?” Avvertii con piacere il tono interessato con cui me l’aveva chiesto.
“Io sedici e tu?”
“Io ventuno…”
“Ah, ti giuro pensavo ne avessi diciotto o diciannove…oh scusa ora devo andare”
Già, fare le foto era un mio grande impegno. Essendo mia madre una food blogger doveva avere anche lei un resoconto fotografico dell’evento. Poi purtroppo la serata si stava avvicinando e quindi anche io a breve mi sarei dovuta preparare… ma non volevo aspettare.

Mi fiondai in camera, con mia madre e Paola dietro. “QUANTO è CARINO!!!” urlai piena di gioia nella stanza. Non c’era nessuno nelle vicinanze per mia fortuna. “Effettivamente, concordo con te” rispose Paola “diventereste una bella coppia”

“Non so se hai notato che gli si era slogata la mascella  appena sei entrata in cucina…” aggiunse mia madre.”Non so, non penso di piacergli… voglio prepararmi e stupirlo, magari così riuscirò a conquistarlo!” dissi infine, con un po’ più di speranza. Paola mi rassicurò: “Guarda che hai stregato quel ragazzo. Sembrava un pesce lesso quando ti ha guardata. Fidati che è cotto a puntino!”. “Beh, dato che non ne ho la certezza, aiutami tu! Mi faresti i capelli?”

Eccolo lì, come se stesse aspettando proprio me. Nella cucina, con le sue guance rosse e i suoi occhi blu, ammalianti ma fuggevoli, timido come quel pomeriggio. Io avevo un vestito nero rivestito di pizzo, con le maniche lunghe aderenti, che risaltava il punto vita e finiva poco sopra all’altezza delle ginocchia. Paola mi aveva sistemato i capelli biondo scuro in una treccia laterale che ricadeva sulla spalla sinistra, solo la frangetta mi copriva parzialmente la fronte. I miei occhi blu li avevo definiti con un trucco da sera, non troppo pesante, con delle sfumature blu scuro e nere. Le labbra le avevo caricate di un bordeaux lucido e un colore più rosato lo avevo aggiunto alle guance, anche se non serviva, in realtà. Perché quando lo guardavo il viso mi s’infiammava. E per lui era lo stesso. Luca, vedendo i nostri sguardi l’uno incatenato all’altro, ci disse scherzosamente: “Ma perché voi due non vi fate una bella foto insieme?”. L’idea mi piaceva. Marco mise la mano sul mio fianco e io la mia sulla sua spalla. Non potevo non sorridere. Sentii un brivido correre lungo la mia schiena in quel primo contatto fisico. Non mi sembrava vero. Avrei voluto fare più foto, abbracciarlo… ma il dovere mi chiamava.

Proprio quella fantastica sera, dovevo fare la hostess. Ovviamente, dato che mia madre faceva la food blogger, non potevo venire senza far niente. Quella infatti era la mia divisa, con tanto di cartellino appeso al collo. Dritta in piedi all’ingresso ad accogliere i clienti che sarebbero venuti a mangiare le leccornie preparate quel giorno. Mentre accompagnavo le persone ai tavoli, non riuscivo a non cercarlo con lo sguardo. Vicino la cucina… dietro al buffet… Niente. Almeno per ora. All’entrata avevo notato un altro ragazzo, forse un po’ più giovane di Marco, ma non ci avevo fatto molto caso. Luca fece una breve presentazione della serata. Io avrei mangiato per ultima sempre per accompagnare le persone al buffet.  Ciò significava avere un’altra opportunità per capire dove si trovava. E infatti eccolo. Il mio ragazzo dalle guance rosse. Il suo sguardo incontrò il mio. Non era cambiato di colore il suo viso. Le guance rosse erano una costante in quel giorno ormai.

Finalmente potei sedermi e mangiare le prime cose. Stavamo in un tavolo rotondo da otto, nella prima sala, in un posto strategico perché molto vicino al buffet. Ecco che dopo i primi assaggi, Marco si avvicinò al nostro tavolo. C’erano anche un paio di amici orvietani con noi, Luca e Moreno e Francesca, un’altra amica chef aretina, detta la Burzi, ogni tanto la vedevo suggerire qualcosa al ragazzo in questione. Infatti ecco che me lo ritrovai ad offrirmi un carpaccio che avevo visto preparare da loro nel pomeriggio. “Questo è per te, con il formaggio e le pere” e mi regalò il più incantevole e gentile dei sorrisi, di quelli che illuminano più del sole in una giornata d’agosto. Mi scaldò il cuore quel gesto e sussurrai un debole “Grazie” abbassando timidamente la testa, ma gli ricambiai il sorriso. Ci sarebbe stato anche uno spettacolo di un comico, Stefano e il dolce fatto da Tiziana, un’opera d’arte di cake design, a fine serata. Tra me e Marco era un continuo gioco di sguardi, scambio di sorrisi e rossori alle guance. Sicuramente ci accomunava la timidezza. Ma nonostante tutto ciò, ancora non so spiegarmi il motivo, pensavo di non piacergli. ‘Perché dovrei interessargli proprio io? Sono piccola, di un’altra città… Saranno i nostri amici intorno che cercano di farmi sembrare tutto così bello’ cominciai a pensare. Non poteva realizzarsi tutto come un film hollywoodiano. Ma ecco che stava per arrivare una smentita che mi sarei ricordata… per sempre.

“Guarda chi e con cosa sta arrivando, Betty…” disse mia madre dolcemente, si percepiva che era emozionata anche lei. Non quanto me. Vedevo Marco che nuovamente si stava avvicinando al nostro tavolo per servirci qualcosa. Anzi per servire me. Ma non si limitò a quello.

C’era una sedia vuota accanto a me, Moreno era momentaneamente uscito dalla sala. Venne sostituito invece dal ragazzo della cucina, Marco, dal viso in fiamme, più timido che mai, insicuro nei gesti, ma deciso allo stesso tempo nel fare quello che stava per fare.

“Questa è per te”. Mi aveva portato la torta di Tiziana. Una torta semplice, elegante, a tre piani, finemente decorata di fiori lillà di pasta di zucchero. Sulla fetta che Marco mi aveva portato vi era uno di questi fiori e si notava la crema di limoni con cui la torta era stata farcita. Lui prese la forchetta e mi preparò un boccone.
“Vuoi assaggiare?”

‘Avrei mai potuto rifiutare simile richiesta?’ chiesi mentalmente, ma risposi con un semplice “Sì!”. La sua voce era calda, affettuosa e incredibilmente gentile ed accattivante.

Mi veniva da ridere. Come una matta. Esplodevo di felicità ed ero al centro dell’attenzione. Mamma ci fece una foto. Mi sentivo come quando eravamo in cucina, un altro contatto fisico. La sua mano appoggiata sulla mia spalla, mi tirava leggermente a sé. Quasi non avevo voglia di mangiare per quanto era pieno di farfalle lo stomaco. Anche se ci guardavano tutti, io non guardavo nessun altro a parte lui. Non esisteva nient’altro, solo quel magico attimo di folle allegria. E’ possibile provare queste emozioni in un solo giorno che conosci una persona? Non esiste una risposta. Deve capitare per poterlo sapere. E a me stava succedendo, ma ancora ero troppo stordita per accorgermene e la cosa mi avrebbe sorpreso sempre più.

“Dai ora basta, altrimenti inizierò a fare una figuraccia” disse l’Adone accanto a me.

“E con chi, scusa? Tanto ci stanno guardando tutti…”
“Non vorrei fare brutte figure con te”

Non ci fu neanche il tempo di rispondere che portò via la torta. Ma non ci rimasi male perché poco dopo lo ritrovai seduto a pochi centimetri da me.

Moreno tornò al tavolo: “E chi è questo intruso, si può sapere? Quello sarebbe il mio posto!” disse scherzosamente in maniera teatrale.

“E’ il figlio di Alberto, il macellaio” gli rispose Francesca “loro hanno preparato questa carne deliziosa che abbiamo appena mangiato”

“E immagino che tu abbia detto a-”

“Ssssh!” mi zittì. Ci avevo preso in pieno, ma a me quelle sorprese al tavolo erano piaciute ugualmente. Eccome se mi avevano fatto piacere!

“E’ stato coraggioso Marco” osservò mia madre “e molto gentile”.

Bene, aveva conquistato anche mia madre. Ottimo segno.

“Dai adesso basta mettere in imbarazzo questi ragazzi… lui poi è abbastanza rosso! Piuttosto che mi dite dei tortelli al cacao con ragout di chianina di Giovanna?”
Il discorso si spostò sul buffet della serata.

Purtroppo c’erano le ultime persone da servire e quindi ci dovemmo rialzare entrambi, ma stavolta non ci allontanammo molto dal tavolo. Eravamo alla giusta distanza per guardarci dritti negli occhi, con meno imbarazzo,  a metà fra le due sale, almeno non ci fissavano tutti.

A un certo punto un movimento alla mia destra, nella sala più piccola comunicante catturò la mia attenzione.

“Scusami, ma è da un po’ che ti vedo e te lo volevo chiedere, quanti anni hai?” mi chiese una signora biondina sulla sessantina, la cui curiosità mi aveva colpito già all’entrata.

Tentai di rispondere. “Sedici…”
“Aaaah sembravi più grande!! Sai che sei proprio bella? Di dove sei? Che scuola frequenti?”
“Beh, sono di Roma e faccio il liceo musicale e…”
“Ah, liceo musicale? Esiste? Che cosa interessante! E come sei entrata in contatto con il mondo della moda?” Mi interrompeva inconsapevolmente con una frenesia improvvisa.
“Sono in un’agenzia…”
“Quindi fai anche la hostess? Ma fai anche sfilate? Uh che bella esperienza! Ora ti presento mio nipote, Eugenio. Lui ha diciannove anni, sai? Frequenta l’università La Sapienza, a Roma… Insomma, potreste fare amicizia!”
“Ehm ciao, piacere…” mi disse questo ragazzo un po’ più basso di me dai capelli castani ricci un po’ scompigliati. Ecco chi era che avevo notato!
“Piacere, io sono Beatrice… Che facoltà studi?” Dove diavolo era finito Marco? Volevano presentarmi un altro ragazzo fin dal principio e io pensavo a uno solo, che non mi aveva presentato nessuno.
“Architettura…” mi rispose, imbarazzato, quasi controvoglia.

“Ah, interessante…” dopo un silenzio imbarazzante ritornai alla mia postazione.

Marco non aveva visto bene questa scena fortunatamente. A breve la gente se ne sarebbe andata. Bastava resistere ancora un po’ e avremmo potuto conoscerci meglio. Nel frattempo lui si avvicinò a me e cominciammo a parlare di noi. Non potevamo parlare tantissimo, tra un cliente e l’altro mi faceva una domanda. Più o meno quelle cose che stavo raccontando a Eugenio e che lui mi stava inconsapevolmente chiedendo di nuovo.

“Ah, quindi stai facendo il liceo musicale! E che suoni?”
“Pianoforte”
“Che bello deve essere! Io invece lavoro in macelleria con il mio babbo…”
“Ah sì? Hai fatto l’università?”
“Sì ma per sei mesi. Avevo scelto economia, mi piaceva tanto, ma non volevo fare il mantenuto a casa, volevo lavorare”
Anche responsabile. E’ il mio ragazzo ideale. Peccato che sia un po’ lontano da me…
Alla fine della cena ci fu lo spettacolo che ahimè non è stato per niente d’intrattenimento e infatti l’atmosfera si spense. Dopo tutti i saluti e i ringraziamenti, pian piano la sala cominciò a svuotarsi. Rimaneva solo la grande squadra di cuochi, fotografi e food blogger.
“Allora Marco non si torna a casa, eh? Avevi fatto tante storie…” disse Alberto punzecchiando il figlio.
“Sì sì, tra un po’…”
“Eh, tra un po’, tra un po’… Intanto sono le undici passate… Come mai questa improvvisa voglia di rimanere?”
Marco rispose con uno sbuffo. Francesca e Paola con una risatina. Io ingenuamente non pensavo potesse rimanere proprio per me.

“Perché, tu dove stai esattamente?” gli chiesi un po’ più sottovoce.

“Ad Arezzo… ma non è molto lontano da qua. Ma il mio babbo mi prende in giro perché non volevo venire, volevo che ci mandasse mio fratello”
“Ah, hai un fratello? Preferivi venisse lui, quindi?”
“Sì, Andrea, più grande di me. A questo punto no, comunque…”

Non potei non arrossire. Cambiai discorso, ma la cosa effettivamente mi incuriosiva.”Quindi i tuoi stanno insieme?”
“No, infatti il mi’ babbo deve portarmi a casa della mi’ mamma.”
“Ah, tranquillo, anche i miei sono separati.”
Infine ci avvicinammo a un computer che stava dietro al tavolo da buffet:
“Posso aggiungerti su facebook?” mi chiese sempre con educazione.
“Certo”
“Sai così potremmo rimanere in contatto… fino al nostro prossimo incontro”

Queste richieste piano piano riaccendevano in me la speranza. Lo dovevo rivedere. La serata stava finendo. Il giorno dopo sarei tornata a Roma.
“Quindi… ci si rivede?” mi chiese in maniera un po’ particolare… forse nascondeva un po’ la paura.
“Certo, domani?” chiesi, sognante.

“Io domani lavoro…” era quasi rassegnato “in ogni caso però a metà novembre dobbiamo lavorare a Roma per un evento… quindi ci rivedremo!”
La cosa però non ci aveva entusiasmato tantissimo. Mancavano venti giorni e sarebbe stato per vedersi allo stesso modo, in una giornata lavorativa.
“Mmh va bene, quindi ci si sente, ok? A presto, spero di vederti domani”
“Guarda, spero di poter tornare per pranzo appena chiudiamo…”
“Io purtroppo parto di mattina” mia madre doveva tornare comunque al lavoro. L’evento si era svolto di lunedì sera e saremmo tornate il martedì pomeriggio a Roma.
Oramai sembrava completamente rassegnato nel rivedermi a novembre.
“Va bene allora … a domani.”
“A domani.” Già mi mancava.
“Ah, quindi si torna? Hai fatto l’una, ragazzo mio! E pensare che neanche volevi venire! Buonanotte a tutti! A domani!” continuò a scherzare Alberto.

Tornammo stanche morte ma molto felici (io in particolare) nel nostro “Fienile”. Io mi buttai stanca nel lettone. Erano quasi le due. Prima di dormire feroci dubbi mi assalivano.
“Mamma, ma domani a che ora dobbiamo partire?”
“Io vorrei essere fuori di qui prima delle undici e mezza”.
“Ma passiamo per Arezzo?”
“Sarebbe di strada… ma per fare cosa, amore?”
“Sai… vorrei rivedere… almeno domani…Marco.”
“Allora ci dobbiamo svegliare presto. Non ti assicuro niente, ma ci proveremo, ok?”
“Ti prego mamma… magari non lo rivedo più…” Mi si stringeva il cuore al solo pensiero.
“Ok, allora domani sbrighiamoci.”
“Va bene, io tanto la valigia ce l’ho già pronta. Buonanotte, grazie mamma.” Ritornò in me un minimo di sollievo.
“Di niente. Buonanotte tesoro, a domani.”

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La squadra... quasi tutta!
La squadra… quasi tutta!

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Nella cucina a vista parte del team all'opera... i miei amici
Nella cucina a vista parte del team all’opera… i miei amici
Luca Borghini
Luca Borghini

Betty scaccio velia

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