La Crapiata (Crapiet in dialetto materano) è un piatto della tradizione contadina materana. Si prepara in occasione della festa della crapiata, il 1° agosto, una festa di antiche origini, molto probabilmente pagana, celebrata per festeggiare la fine e l’abbondanza del raccolto.
Fin dai tempi più antichi, l’ultimo giorno di luglio le donne del “vicinato” pulivano i legumi, li mettevano a bagno per tutta la notte e il giorno dopo li cucinavano in paioli posti su treppiedi, all’aperto, nel cortile, a fuoco lentissimo e solo con acqua e sale, per poi servirli a tutti gli abitanti del vicinato, assieme al vino.
In questo modo si festeggiava la fine dell’annata di lavoro, dato che poi i contadini il 15 agosto tornavano nella piazza principale della città alla ricerca di un nuovo ingaggio o di un nuovo terreno da fittare.
Il nome crapiata è di origine incerta, potendo risalire:
- al latino crapula, che sta per ubriachezza: durante la festa infatti si bevevano vini e liquori dolci
- a crapa, capra, perché la domenica successiva alla festa si scuoiava e si cucinava una capra
- a cràpia, voce calabrese che indica il treppiedi a cui si appende il paiolo dove si cucinavano i legumi
- a crampa o cramba, in greco krambe, che è la pianta di ceci o di fave o di piselli.
Al giorno d’oggi la crapiata si festeggia il 1° agosto nel borgo La Martella, quartiere di Matera nato a ridosso di quelle terre coltivate dai materani, dove si cuociono quintali di legumi per le migliaia di curiosi che intervengono alla festa.
Ed in particolare vorrei ringraziare la signora Anna e il signor Franco, originari di questo quartiere e da sempre coinvolti nell’organizzazione della festa, che mi hanno gentilmente fornito tutte le indicazioni necessarie alla realizzazione di questa squisita pietanza (e non parlatemi di stagionalità… la festa è il primo agosto e fredda la crapiata è ottima!).
Ecco la ricetta in quantità sufficiente per 6 persone:
Crapiata
Ingredienti
50 gr di GRANO
50 gr di FAVE SECCHE CON LA BUCCIA
50 gr di CICERCHIE
50 gr di CECI
50 gr di LENTICCHIE
50 gr di FAGIOLI BIANCHI
50 gr di FAGIOLI ROSSI
250 gr di PATATE NOVELLE
250 gr di CIPOLLE
ALLORO
ROSMARINO
SALVIA
OLIO EVO
SALE
Procedimento
Mettete in ammollo tutti i legumi insieme, e a parte il grano, in acqua fredda per 24 ore.
Il giorno seguente, risciacquate tutto sotto l’acqua (avrete messo il grano a parte perché richiede di essere risciacquato con un setaccio in luogo di un colapasta per non perdersi!) e mettete in pentola con gli aromi richiusi in un infusore da tè in acciaio inox, il sale e la cipolla, coprendo di acqua per 4 dita sopra il livello raggiunto dai legumi stessi. Portate a bollore, poi abbassate il fuoco e lasciate cuocere lentamente.
Quando i ceci sono pronti (dopo un paio di ore) aggiungete le patate novelle ben lavate con tutta la buccia. Continuate a cuocere sempre a fuoco basso. Ci vogliono in genere 4 o 5 ore di cottura!
Mezz’ora prima di spegnere aggiungete l’olio extra vergine di oliva e, se necessario, aggiustate di sale.
Nella ricetta originaria, tra gli aromi viene utilizzata anche “La Martella”, una pianta locale, con foglie e odore che ricordano la menta, ma meno marcati.
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Ho letto con molta attenzione perché in effetti per ‘Ncapriata in Puglia si intende la minestra di Fave e Cicorie. A proposito del nome le mie ricerche mi hanno portato a scrivere questo: Incapriata o ‘Ncapriata dal tardo latino e bizantino Caporidia, derivante a sua volta dal greco antico Kapyridia, polenta di farinacei, parrebbe, secondo alcuni, che questo sia il primo piatto, nel vero senso della parola, cucinato dall’uomo, dopo le varie abbrustoliture, accidentali o volute, che avevano cominciato a rendere più commestibili e digeribili i cibi provenienti dalla raccolta direttamente in natura.
Credo che per quanto riguarda la cottura, molto diversa nei tempi tra le lenticchie e gli altri legumi, in particolare la cicerchia, penso che migliore risultato darebbe una cottura separata mettendo tutto insieme solo verso la fine.
Altra stranezza di questa usanza è il mangiare i legumi secchi ad agosto quando sono ormai alcuni troppo vecchi ed altri troppo freschi per essere buoni.
Ancora una cosa, la Martella, la pianta locale, non ha niente a che vedere con la Mortella o Mirto?
La tua analisi molto dettagliata e accurata denota una profonda attenzione per le tradizioni delle nostre parti. In effetti quello della cottura è sicuramente un appunto costruttivo alla luce delle attuali conoscenze culinarie. Semplicemente ho voluto riportare la ricetta tradizionale dei cortili del vicinato, dove i contadini riunivano le loro “ricchezze” cioè i legumi e il grano per preparare questa festa e cuocevano come ho indicato e come in questa sagra avviene ancora oggi. I legumi utilizzati sono tutti secchi (anche le fave).
La pianta “la Martella”, da cui credo prenda il nome anche il quartiere (ma di questo non posso essere sicura), dalla descrizione della pianta che ho trovato su internet pare essere proprio quella da te indicata.
In conclusione non mi resta che ricordarti che questa festa si tiene il primo di agosto presso La Martella a Matera e ti assicuro vale la pena vederla!