Piadina Romagnola (ma noi la chiamiamo Piada)

Trovo difficile dire cos’è per me la piadina romagnola.
Ma potrei definirla, diciamo così, quella specialità, o prodotto tipico, o prodotto della tradizione, che per secoli è stato solo romagnolo e che poi all’improvviso, nel corso di pochi anni è divenuto patrimonio culinario di tutti.

Ne sono contenta, mi piace, che la nostra piadina non sia più relegata alla sola Romagna, adesso la si trova un po’ ovunque, ed è solo positivo, che la si possa mangiare ogni volta che si vuole.

Però…

Pare, per sentito dire e per averlo letto in giro un po’ ovunque, che la piadina sia considerata un tipico street food, e che sia il top del cibo di strada italiano. Be’, sì, non è sbagliato in effetti: la si può mangiare per strada, è vero, e non c’è dubbio che possa essere associata ad un fast food visto che la si può comprare bell’e farcita e via. Ma c’è un ma.

C’è che qui dalle mie parti esiste ancora un nocciolo duro di campanilismo romagnolo che fatica a considerarla un cibo di strada, perché un tempo la piadina tutto era (e per alcuni di noi ancora è) tranne che “di strada”. La piadina era, ed è, cibo “di casa”. Nel senso di “di focolare”.

Questo sano campanilismo di cui parlo fa rima con attaccamento alle proprie radici, fa rima con appartenenza ad un territorio, e fa rima con: “ma che ne sapete voi, voi che la comprate in piadineria farcita con patatine fritte e maionese, voi che la piadina romagnola a volte è street food, ma poi certe volte è anche gourmet, e a chilometri 0. Che ne sapete voi di quando era l’unico pane che avevamo, di quando cenavamo solo con piada e insalata, che il giorno dopo la mangiavamo indurita, e di quando la facevamo con la farina di granoturco perché era l’unica farina che c’era…”. “Che ne sapete voi di cos’è davvero per noi, e cos’è stata”.

Un campanilismo che – avendo mio padre nel proprio vissuto anche tutto ciò – gli fece dire una sera, ad un cameriere di un ristorante di qui – che aveva chiesto “vi porto altra piadina?” – gli fece dire con aria un po’ abbattuta: “In un ristorante come questo dovreste chiamarla piada. Noi qui a sud di Rimini la chiamiamo piada, non piadina”.

La romagnola doc che è in me, degna figlia di tal romagnolo dentro, quella sera ha capito questa verità: che noi, perlomeno noi di questa famiglia, abbiamo un attaccamento profondo alla parola “piada”.
Piada e basta, non piadina, e non piadina romagnola. La piada per noi si chiama piada. Punto.
Con quelle poche parole, e con quell’atteggiamento da c’era una volta, mio padre aveva espresso alla perfezione tutto il suo profondo senso di appartenenza, e di attaccamento, a questi luoghi. E ad un certo vissuto. Che è il vissuto di tanti.

Quanto significato in un semplice cibo.
E in un semplice nome. Che dice tante cose, forse tutte.

piadina romagnola alla riminese - piada

La questione è che tutto si è svolto in pochi decenni.
In questa nostra parte di Romagna ancora una trentina d’anni fa le commistioni culinarie erano rare, si mangiava ogni giorno in modo molto tradizionale, la domenica c’erano le tagliatelle fatte in casa dalla mamma e il pollo, che era esclusivamente quello ruspante della nonna Francesca. Il pesce era solo quello del “nostro mare”, e la piada si faceva esclusivamente in casa, non si comprava perché fuori casa proprio non esisteva.
Gli unici rivenditori di piada erano alcuni saltuari furgoncini fermi lungo qualche strada, che però avevano una piada talmente diversa da quella di casa, che li snobbavamo un po’, questi furgoncini.
E gli acquirenti erano perlopiù turisti o gente di passaggio, perché per la gente “del posto” quella piadina lì non era “come la nostra”.

Adesso, è ormai abitudine di tutti – romagnoli compresi – andare in piadineria, al chiosco, alla baracchina, al furgone, a mangiare una piada o a comprarla da portare a casa per cena o per un pranzo veloce. Addirittura ora la si va a comprare quando si hanno ospiti, cosa impensabile in questa stessa casa di trent’anni fa.

Ed è divenuta un’abitudine consolidata acquistare le piadine precotte, la cui diffusione è capillare: le buste di piadina precotta riempiono i banchi frigo di ogni supermercato, ipermercato, discount o salumeria.
Ho una personale convinzione, che se la cultura della piadina romagnola si è diffusa a livello nazionale, o forse più, sia merito anche di questa idea della precottura. È stata decisamente un’idea vincente. Anche se poi ha contribuito alla trasformazione della piadina da cibo del focolare romagnolo a fast food. Oppure, seguendo un altro filone, a cibo gourmet per amanti delle riscoperte gastronomiche “del territorio”.

Ma è giusto. Le tradizioni si evolvono ed è giusto che si diffondano. Adesso la ricetta della piadina romagnola in tutte le sue varianti è, davvero, patrimonio di tutti. C’è chi segue la ricetta di famiglia, chi la ricetta dell’amica, chi segue la ricetta trovata in rete, chi quella passata in tv. C’è chi la fa col lievito madre, chi con farine senza glutine, chi preferisce la piadina alta chi la sottile.
Io non discrimino, a me piacciono tutte, di ogni tipo, e quando rinfresco il lievito madre le faccio anch’io le cosiddette piadine con l’esubero.
Mi piace mangiare di tutto e cucinare di tutto e non sono del tutto concorde con certe prese di posizione sull’originalità indiscussa delle ricette regionali su cui spesso ho sentito polemizzare. Ho spesso provato, e con soddisfazione, le ricette di altre regioni o altre culture pur senza conoscerne le ricette originali, perciò mi guardo bene dal criticare chi vuol provare a fare la piadina a modo suo.

Questo però non mi impedisce di provare nostalgia per un’epoca e per uno stile di vita, e per quel sentirmi romagnola di questa parte di Romagna, o per esteso del Montefeltro. Per quel sentirmi la romagnola della mia giovinezza, che significa avere dentro di me vivo il ricordo dei nonni, dei campi, della casa da contadini che non potrò mai dimenticare, e che non esiste più. Significa portare sempre vivo dentro di me l’immagine di un camino della mia infanzia, il camino immenso a pavimento nella casa della zia Pepa, su cui poggiavano le graticole e un treppiede, e sul treppiede la teggia, e lì sopra la piada, che mi fu concesso di cuocere, a me bambina, tra le lingue di fuoco che lambivano il bordo.
Può sembrare un’immagine ottocentesca, quasi da poesia di Pascoli, ma ho avuto la fortuna di viverla dal vivo, solo pochi decenni fa. Un’atmosfera indimenticabile, e un’immagine che non può non sovvenirmi di tanto in tanto, e con un pizzico di nostalgia.

Ad esempio quando concedo ai miei figli, a volte con un sospiro, di aggiungere alla farcitura delle loro piade anche la maionese, o peggio il ketchup.

😆

piada - piadina romagnola alla riminese

Quando ero bambina – e dopo gli otto anni spesso l’addetta alla piada ero io – la piada si faceva a occhio, rigorosamente. Si versava la farina sul tagliere a occhio, si metteva lo strutto a occhio e si aggiungeva l’acqua calda a occhio, e il sale giusto un pizzico (la nostra piada fatta in casa è sempre stata fin da allora tendenzialmente poco salata).
La nonna Francesca metteva anche un pizzico di bicarbonato, probabilmente un’abitudine derivata dalla sua esperienza di cuoca d’albergo, avendo il bicarbonato lo scopo di mantenere la piada morbida più a lungo (ma rendendola anche più “panosa”). Il bicarbonato è tipicamente usato in altre zone della Romagna, mentre qui da noi, dove vige la piadina sottile (che da quando è stata disciplinata è detta “alla riminese”, distinzione necessaria e doverosa), il bicarbonato è out.

A quei tempi, quando l’unico disciplinare esistente era l’insegnamento della mamma, fare la piada a occhio poteva significare che la piada non riusciva sempre uguale, a volte era troppo morbida perché mi ero sbagliata e avevo versato un po’ troppa acqua, e stenderla col matterello era difficile perché si attaccava al tagliere e dovevo inondarla di farina, a volte invece l’impasto mi riusciva troppo duro, perché avevo messo meno acqua o meno strutto, e tirare le piade dure era una fatica! mi si arrossavano i palmi e le mani mi prudevano.

Ma era tutta esperienza 🙂 Esperienza che adesso sta facendo mia figlia: 😛 😀

piada - mani Flavia

A dispetto della mia attitudine alla realizzazione a occhio, una proporzione ottimale fra gli ingredienti naturalmente esiste. E sarei tentata di darvi quella, che è semplicissima e con la quale non si sbaglia: 1 kg di farina, 100 g di strutto (ma c’è chi dice 150), 1 bicchiere d’acqua calda, una presa di sale. Ma non lo farò. Non serve a nulla ripetere qui una ricetta uguale a quella che potete trovare ovunque. 🙂

Per questa ricetta, della mia piada oggi ho fatto così: ho preso la farina, l’ho versata a occhio e poi l’ho pesata, ho messo lo strutto a cucchiaiate come ho sempre fatto, poi l’ho pesato, poi ho messo l’acqua a scaldare, l’ho versata, e ho calcolato quanta ne ho usata. Infine per questa volta, solo per questa volta, ho aggiunto anche un pizzico di sale (la versione senza sale che faccio da vent’anni a questa parte oggi salta un turno!).
E sono questi gli ingredienti che vi darò. Be’, leggermente arrotondati, ché era inutile scrivere cose tipo 572 grammi, 67 grammi… 

Piadina Romagnola (ma noi la chiamiamo Piada)

Ingredienti per 7-8 piade
600 g farina 1 (oppure 0)
70 g strutto
250 g (circa) acqua calda
una presa di sale

Procedimento
Versare la farina sul tagliere e disporla a fontana.

Scaldare l’acqua in un piccolo pentolino oppure nel microonde.

Mettere lo strutto nella fontana e aggiungere l’acqua calda (e il pizzico di sale). Aggiungere l’acqua un po’ alla volta, non tutta subito.
Considerare che la quantità d’acqua potrebbe variare perché dipendente dalla capacità di assorbimento della farina.

Far sciogliere lo strutto nell’acqua calda aiutandosi con una forchetta.

fare la piada - strutto acqua

Mescolare prendendo poca farina alla volta, aggiungendola con la forchetta e aiutandosi con la mano libera.

Impastare a mano.

fare la piada - impasto

Aggiungere la farina gradualmente, la consistenza dell’impasto, che deve essere morbido ma non appiccicoso, si comprende facilmente al tatto. L’eventuale farina in eccesso (significa che si era messa acqua insufficiente) potrà essere aggiunta all’impasto dopo essere stata inumidita con poca acqua (volendo, si può aggiungere una “puntina” di strutto).

fare la piada - aggiunta acqua

Lavorare l’impasto (con due mani, anche se qui vedete una sola mano per esigenze di “devo fare la foto!”). Non è necessaria una lunga lavorazione, l’impasto può tranquillamente rimanere un po’ rustico.

fare la piada - impasto

Lasciar riposare l’impasto coperto da una ciotola per circa mezz’ora.
Era, questo riposo, una cosa che decenni fa non facevamo, all’epoca la piada si impastava, si tirava e si cuoceva al momento, perlomeno a casa nostra. Adesso abbiamo imparato che il riposo distende le maglie glutiniche, perciò facciamolo! 🙂

Dividere l’impasto in pagnottine (tipo quelle della pizza) e tirarle con il matterello.
Dovrebbero essere tonde, per quanto possibile, ma se non lo sono non importa 😀 D’altronde da qualche anno a questa parte qui ci sono delle piadinerie che fanno la piadina quadrata!

Ed ecco mia figlia all’opera: 😀

fare la piada - Flavia

Lo spessore: qui siamo nel campo del gusto personale, della tradizione familiare, del … “oggi mi è venuta troppo sottile” … “oggi mi è venuta più spessa del solito”… .
A casa mia di solito si fa sottile, come da tradizione riminese. Per la piadina alla riminese il disciplinare stabilisce uno spessore fino a 3 mm: è perfetto, io non li supero mai. 🙂

piada sottile

Siamo arrivati alla cottura.

La piada si cuoce, tradizionalmente, su quella piastra di ferro che in romagnolo delle mie parti si chiama “teggia”. In altre zone so chiamarsi “testo”, credo sia di ghisa, ma ammetto di non conoscerlo (mi sa che devo rimediare).
Da parecchio tempo ormai è in commercio un modello di teggia ricoperta in teflon che tanti preferiscono perché è indubbiamente più pratica. Io non mi sono convertita, perché ritengo che il teflon non sia adatto a questo scopo data l’alta temperatura a cui va cotta la piada, e il teflon alle alte temperature emette sostanze nocive. E una piastra non ben riscaldata non cuoce bene la piada.

Ciò specificato, per la cottura procedere così:

Mettere a scaldare la teggia sul fornello più o meno dieci minuti prima di iniziare a cuocere la piada (quelle in teflon immagino abbiano un riscaldamento più breve). Quando la teggia è ben calda, pulirla con una vecchia pezza di stoffa oppure della carta da cucina, attenzione a non scottarsi.

cuocere la piada - pulizia teggia

Porre una piada sulla teggia: tenendo la piada sulla mano aperta e facendola cadere con una veloce rotazione del polso.
Non so il perché, ma il cercare di poggiarla sulla teggia con due mani di solito determina delle antipatiche pieghe della piada, che poi in quei punti non si cuoce bene. Visto che la cosa era appena successa a mia figlia e stavo insegnando a lei il metodo della rotazione del polso, ho pensato di fare questa foto anche per voi. 😀

cuocere la piada

Quando inizia a cuocere si formano delle bolle, che devono essere forate con una forchetta o con la punta di un coltello altrimenti si ingrandiscono troppo (e creano sul retro della piada delle macchie troppo estese).
Se le bolle non si formano oppure se si formano troppo lentamente significa che la fiamma è troppo bassa oppure che la teggia non si è scaldata adeguatamente.

piada - cottura

Non lasciare la piada ferma, muoverla continuamente facendola girare, usando la forchetta o un coltello infilato sotto alla piada, e aiutandosi con la mano libera.
Muovere la piada è fondamentale altrimenti tende a produrre macchie bruciate.

Girare la piada sull’altro lato. Prima di girarla e cuocere l’altro lato controllare che sia cotta sollevando un lembo.
È preferibile cuocerla da un lato e poi dall’altro senza poi girarla di nuovo sul lato già cotto.  

cottura della piadina

Il tempo di cottura totale è di due-tre minuti, tempo che naturalmente dipende dallo spessore, ma che si può intuire anche dal colore e dalla consistenza della piada: se tende ad irrigidirsi significa che è già troppo cotta, poiché più si cuoce più si secca.
In conclusione l’ideale è una cottura veloce a fuoco medio alto. E tranquilli, si impara subito. 🙂 Potrà forse succedere di bruciacchiare la prima piada, se la fiamma è troppo alta, oppure di ottenere una piada sbiadita se è troppo bassa, ma vi assicuro che dopo aver cotto le prime tre piade la tecnica è appresa e non la si dimentica mai più. 🙂

Ed eccola qua la mia piada sottile appena cotta e piegata:

piadina romagnola alla riminese di casa mia

Le piade appena cotte devono essere impilate – stese oppure piegate a metà o in quattro – in un cestino e coperte con un tovagliolo o un canovaccio per mantenerle calde. Raffreddandosi tendono a seccarsi, perciò è consigliabile farcirle appena cotte, in modo da poterle piegare più agevolmente, e mangiarle subito, prima che si raffreddino.

Per qualcuno, l’ideale sarebbe… avere la mamma, cioè io, disposta a restare al fornello a cuocere e a distribuire una via l’altra piade appena cotte belle fumanti a chi è seduto a tavola… 😀 ma… ahah! non scherziamo, si mangia tutti assieme! e le piade si portano in tavola così:

piadina romagnola alla riminese - piada

Il mio consiglio è di farcirle con… be’, farcitele come vi va! 🙂

Buon appetito!

Senza sale

Commento senza sale: Forse nessun romagnolo di lunga stirpe approverebbe la piada insipida, nondimeno… si può fare 🙂 e io, come per tutto quello che cucino a casa mia, anche nella piada non metto il sale quando la faccio solo per noi. Francamente mi è capitato di mangiare piadine (soprattutto quelle confezionate precotte) fin troppo salate se si considera che tanto poi vanno farcite con prodotti notoriamente sapidi come salumi o salsicce. Non escludo che in questi casi sia una scelta dovuta a motivi di conservabilità. Ma la nostra piada fatta in casa, non solo quella fatta da me ma anche quella della mia infanzia e anche quella fatta dalla mia mamma ancora oggi, è sempre stata pochissimo salata.

Conservazione: la piada fatta in casa può essere conservata per alcuni giorni in frigo. Consiglio di porre le piadine stese, crude, sovrapposte (ma separate da un foglio di carta forno, per evitare che si attacchino fra loro) chiuse in un contenitore per alimenti, oppure chiuse in una busta per alimenti. Si può anche congelare, ma confesso che è un’abitudine che non ho, ci vuole così poco a fare quattro piade al volo quando se ne ha voglia!

Se avete anche voi come me dei ricordi legati alla piadina della vostra infanzia, e vi fa piacere condividerli, scrivetemi! Potete farlo qui nei commenti oppure potete passare a trovarmi sulla pagina Facebook e scrivermi lì. 🙂

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4 Risposte a “Piadina Romagnola (ma noi la chiamiamo Piada)”

  1. Grazie di questo post, di tutta la storia che contiene! Sono un veneto, da Padova, e per quasi tutta la mia vita la “piadina” (sempre diminutiva) era la tortilla fiappa dei pub oppure l’ostia bruciata dei baracchini notturni. Poi per vicende più che varie sono finito a vivere in Romagna, nell’entroterra di Forlì, a Meldola. Sono stato lì solo per quattro anni e me ne sono andato costretto da cose più grandi di me. Tra le tante cose che mi sono portato via, la ricetta della piada della mia vicina di casa, cioè era proprio la vicina di pianerottolo e avevo scoperto che aveva avuto il chiosco in centro al paese per… vent’anni prima. Non sono mai stato bravo davvero, e da quando non vivo più in Romagna non la preparo più, manca tutto il contesto. Una cosa che mi ha stupito del tuo racconto è la dimensione domestica della piada, mi ero fatto l’idea che la presenza dei chioschi fosse antica quanto la piada stessa… forse perché, a partire dalla mia vicina, nessuno dei romagnoli che ho conosciuto mi ha svelato questo aspetto. Però ai miei occhi di foresto, anche i chioschi hanno ancora qualcosa che non ho visto in nessun altra parte d’Italia dove si servono “piadine”- la clientela di tutti i tipi, classi, età, la cottura sul momento, le farciture che non sembrano hamburger- anche se forse questo era perché stavo in mezzo ai monti, chissà. Mi ricordo di una sera che mi ero fermato a un chiosco a Frampula, c’era giusto una signora, tanto in là con gli anni, e ci ha fatto due piade con il prosciutto crudo- erano così buone. Forse perché aveva messo un po’ dei suoi ricordi di casa nel prepararle, mi viene da dire dopo aver letto il tuo post.
    Ti ringrazio di nuovo di aver condiviso tutto questo, ho imparato nuove cose sulla Romagna che mi manca tanto, e spero di non aver scritto niente da foresto, che possa dispiacerti… nel caso, mi scuso.

    1. Gianluca! che belle cose hai scritto! non ti devi scusare di nulla, che dici! anzi grazie per queste belle parole e per aver condiviso i tuoi ricordi! 🙂
      Guarda, il mio è un racconto molto personale, di una Romagna molto ristretta, questa bassa Romagna a sud di Rimini, che arriva fino a Cattolica e che abbraccia le colline dell’entroterra. Spesso io dico di sentirmi di appartenere più al Montefeltro, a questa zona a cavallo tra Romagna e Marche, che alla Romagna vera e propria in senso geografico. La regione è estesa e molto variegata, pensa che prima che Rimini divenisse provincia eravamo in provincia di Forlì, ma noi non ci sentivamo forlivesi perché Forlì era così lontana! quando ero bambina impiegare tre quarti d’ora per andare a Forlì equivaleva ad un viaggio lungo e il nostro capoluogo io (ma credo non solo io) lo sentivo francamente estraneo. La provincia di Rimini in un certo senso ci ha dato un’identità 🙂 I chioschi a righe bianche e rosse o bianche e verdi sono tipici della Romagna ravennate e cesenate e forlivese, non c’erano qui da noi, non escludo per nulla che questa dimensione “di focolare” che ho vissuto io qui abbia avuto un diverso percorso in quelle zone, in effetti occorrerebbe approfondire 🙂 Facciamolo! 🙂

  2. Ottimo articolo, Catia, si sente tutto l’attaccamento al tuo territorio e alle tue radici familiari, che secondo me non può che essere un bene. Mi conforta molto che anche una che la sa lunga come te vada “a occhio”, perché le volte che la faccio, la faccio così anch’io, che sono piemontese e con Sua Maestà La Piada non c’entro niente 😀 Ciao!

    1. Grazie Zeudi! 🙂 Per chi ha avuto gli insegnamenti culinari di mamme e nonne non può che essere così, le massaie di un tempo facevano tutto a sentimento 😀 e imparavano tutto da bambine guardando giornalmente quel che facevano mamma e nonna. Io che sto un po’ a metà perché non sono massaia ma sono stata educata da chi lo era ho dei ricordi ben precisi, per fare esempi extra-piada, di come ad esempio si spenna e pulisce un pollo (guardando la nonna e aiutandola) o di come si fanno le tagliatelle verdi (guardando la mamma), e sono cose che davvero non si dimenticano mai 🙂
      Del tuo Piemonte ho dei ricordi di quando avevo 7 anni di certi pomodori ripieni di sottaceti e maionese, mi confermi che sono tipici o è un mio ricordo falsato dalla tenera età? 😀 😀

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