La polenta reggiana con le sue tre varianti è un piatto povero ampiamente diffuso non solo nella provincia di Reggio Emilia ma anche in tutto il Nord d’Italia dove una volta si utilizzava come sostituto del pane e va servita come contorno o come primo piatto sia calda che fredda a fette abbrustolite.
La polenta di granturco come la conosciamo oggi si diffuse in Europa soltanto dopo la scoperta delle Americhe quando Cristoforo Colombo la introdusse nel vecchio continente.
Diffusa già ai tempi dei Romani, la polenta era piuttosto un impasto costituito per lo più da farro e fava macinata.
Nel Medioevo, la polenta ricavata dal miglio, dal grano saraceno, dalla farina d’orzo, di farro e di fava essiccata e macinata veniva cotta nell’acqua e insaporita con sale, grasso di maiale, olio di vinaccioli o di noci, cipolla, aglio, rosmarino, salvia e talvolta con frutti come i fichi e l’uva.
Naturalmente da sola, la polenta non forniva i principi nutritivi necessari ma era considerata l’alimento dei poveri e rimedio alla atavica fame e accompagnò per lungo tempo le tavole delle classi più umili durante le terribile carestie che si dovettero affrontare.
polenta reggiana – un piatto d’altri tempi
Dosi e spunti della ricetta sono stati tratti dal volume primo dell’opera LA CUCINA CONTADINA REGGIANA di Giuliano Bagnoli.
Ingredienti per 4 persone
Nel reggiano, la ricetta base della polenta o pulèinta presenta 3 varianti.
variante dura
- 440 g di farina di granturco a grana grossa
- 1,8 l di acqua calda
- 1,8 g di sale grosso
variante tenera
- 400 g di farina di granturco a media macinatura
- 1,5 l di acqua calda
- 15 g di sale grosso
variante morbida
- 400 g di farina di granturco a macinatura fine
- 1 l e 250 cc di acqua calda
- 12 g di sale grosso
Preparazione della polenta reggiana
Per cuocere la polenta si adopera un paiolo ma potete in alternativa utilizzare un tegame sufficientemente largo, antiaderente e con le pareti svasate, cioè, non perpendicolari al fondo.
Nella tradizione contadina la polenta si cuoceva nel paiolo di rame rivestito di stagno all’interno sul fuoco del focolare o su quello della cucina economica: un’impresa al quanto difficile e pericolosa!
Riempite il tegame con l’acqua necessaria e portatela ad ebollizione, salatela e versate lentamente la farina gialla a pioggia (ho scelto la farina di granturco a grana grossa conosciuta in commercio come farina gialla bramata, è chiaro che a noi la polenta piace soda), mescolando all’inizio con un cucchiaio di legno o una frusta in modo costante, rapido e sempre nello stesso verso per evitare che si formino grumi.
Se si dovessero formare dei grumi, schiacciateli con un cucchiaio di legno contro le pareti del tegame. Tenete a disposizione una pentola d’acqua salata in ebollizione in modo da aggiungere un po’ per volta nel caso la polenta tendesse a rassodarsi troppo, cosa che succede soprattutto nelle prime fasi di cottura.
A tale scopo, si usava l’apposito bastone, lungo circa 70 cm, con l’estremità leggermente incurvata ed appiattita chiamato in dialetto canèla d’la polèinta.
Mescolate adagio sempre di continuo e fate cuocere a fuoco basso poiché la polenta deve sobbollire. Man mano che la polenta si cuoce, noterete che l’impasto diventerà più duro e ogni tanto rilascerà uno sbuffo di vapore. La cottura avverrà quando l’impasto inizierà a staccarsi dalle pareti del paiolo o del tegame, più o meno dopo 45-50 minuti.
Ribaltate la polenta su un tagliere di legno e servitela fumante nei piatti individuali usando un cucchiaio di legno. Accompagnate con burro e formaggio come vuole la tradizione, con il vostro condimento preferito, con sughi corposi come il ragù di carne o come contorno insieme a stufati ad esempio il coniglio alla cacciatora o lo spezzatino di manzo.
La tradizione vuole che la polenta sia ribaltata su di un’asse di legno, in dialetto trêr zò la pulèinta. E servita sia calda fumante che tagliata a fette non dovrà mai conoscere il contatto col “ferro”, per antica tradizione.
La polenta non consumata può essere conservata per altre preparazioni. Va lasciata raffreddare, tagliata a fette con un filo di refe o con un coltello di legno, avvolta in carta stagnola e sistemata in contenitori chiusi in frigorifero per un paio di giorni.
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Articolo veramente interessante! amo la cucina tradizionale e scoprire le varianti di ogni zona!
Buona serata carissima!
Paola
Siamo in due, cara Paola. Ogni volta che faccio un viaggio cerco sempre le ricette regionali da preparare al mio rientro!
Complimenti per la ricetta spiegata in modo dettagliato …quasi quasi la preparo per cena… 😉 ciao carissima!! 😀
Grazie, Lidia! A cena ho preparato la polenta abbrustolita con salsiccia.