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Nascita ed evoluzione dei dolci dalla preistoria al termine dell’ eta’ imperiale romana. ( prima parte )

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Il primo sapore conosciuto da ogni essere umano e’ stato quello dolce del latte materno che ha determinato la nostra naturale ed imprescindibile ricerca del medesimo gusto in altri alimenti.
Quindi si puo’ affermare che il DOLCE e’ nato con l’ uomo e che i primi nutrimenti umani come miele, bacche, frutti, semi, furono sicuramente dolci.
Soltanto piu’ tardi, i nostri antenati scoprirono gli altri sapori e nel corso dei millenni durante il lungo e costante percorso evolutivo, quando acquisirono definitivamente la consapevolezza della propria umanita’ introducendo nella loro esistenza sepolcri, matrimoni e divinita’ , (di foscoliana memoria, ) incominciarono ad assemblare con il miele gli ingredienti della loro alimentazione originaria e nacquero così i primi “dolci ante litteram” che riservavano esclusivamente ai momenti piu’ significativi della loro esistenza.
Per lungo tempo queste preparazioni furono semplicissime e venivano utilizzati soltanto i prodotti dell’ area geografica di appartenenza del gruppo, poi andarono gradatamente ad arricchirsi grazie agli scambi in natura e poi commerciali fra le diverse etnie.

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Durante gli scavi archeologici, attraverso l’ esame dei residui alimentari, il miele, le mandorle, i semi di datteri e di fichi, che fossilizzati rispondono positivamente a tutti gli esami di datazione hanno contribuito ad attribuire,con attendibile precisione, le epoche di riferimento nonche’ il tipo di insediamento, identita’ , spostamenti, abitudini e riti sacri dei popoli.

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L’ uso del miele ad esempio si perde nella notte dei tempi e per millenni ha rappresentato l’ unico alimento dolce disponibile ed in quanto tale era considerato prezioso per eccellenza.
Le prime tracce di arnie risalgono al 6000 a.C. e la parola miele sembra derivare dall’ittita melit.
Nell’ antico Egitto il miele era particolarmente apprezzato e le prime notizie di apicoltori che si spostavano lungo il Nilo per seguire con le proprie arnie la fioritura delle piante, risalgono a 4000 anni fa. Gli Egizi usavano deporre accanto alle mummie grandi coppe colme di miele, che il defunto avrebbe consumato durante il viaggio nell’aldilà (vasi di miele ermeticamente chiusi il cui contenuto si era perfettamente conservato sono stati rinvenuti durante gli scavi delle tombe dei faraoni). In alcuni geroglifici si leggono ricette a base di miele impiegate sia nell’arte culinaria che in medicina (cura dei disturbi digestivi, unguenti per piaghe e ferite). I sumeri ne facevano creme e unguenti mescolandolo all’ argilla, all’ acqua ed all’ olio di cedro, mentre i babilonesi lo usavano soltanto per cucinare.

imageNel Codice di Hammurabi si ritrovano articoli con cui gli apicoltori erano tutelati dal furto di miele dalle arnie.
La medicina ayurvedica, già tremila anni fa, considerava il miele purificante, afrodisiaco, dissetante, vermifugo, antitossico, regolatore, refrigerante, stomachico e cicatrizzante. Per ogni specifico caso era indicato un differente tipo di miele: di ortaggi, di frutti, di cereali o di fiori.

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I Greci lo consideravano “cibo degli dei”, e dunque rappresentava una componente importantissima nei riti che prevedevano offerte votive.
Omero descrive la raccolta del miele selvatico; Pitagora lo raccomandava come alimento per una vita lunga.

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I romani ne importavano grandi quantitativi da Creta, da Cipro, dalla Spagna e da Malta e pare che il nome stesso dell’ isola, in originale Meilat, significhi proprio terra del miele. Nel rituale nuziale dei greci antichi gli sposi si scambiavano dolci a base di miele e ciò avveniva anche nell’antica Roma.

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A questi alimenti originari si unirono, durante il neolitico superiore, gli impasti di farine ottenute dalla frantumazione tra due pietre di chicchi di cereali che, mescolati con acqua davano una pappa che veniva consumata cruda, cosi come e’ testimoniato dai residui che gli archeologi hanno ritrovato in caverne preistoriche. Con la cottura di questi primi impasti, su pietre arroventate, nacque il pane che costitui’ la base per gli arricchimenti successivi.

image Con la trasformazione dell’oleaster ( ulivo selvatico ) originario dell’ Asia Minore in olivo domestico, la cui coltivazione inizio’ in Siria nell’ VIII sec. a. C, per poi diffondersi in Grecia ( Schlieman rinvenne noccioli di olive nel palazzo di Tirino e nelle tombe di Micene) in tutta l’ area del mediterraneo ed in particolare in Egitto, venne avviata la produzione sistematica dell’ olio di oliva che ben presto venne consumato insieme al pane.
Sempre agli  Egizi e’ attribuito il primo uso del lievito e la preparazione delle prime focacce al miele!

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Insieme all’ olio incomincio’ anche l’ uso sistematico del vino il cui riferimenti piu’ remoti risalgono a 6000 anni fa e sono testimoniati sia dalla Bibbia che da bassorilievi sumeri nei quali l’ esistenza umana e’ simboleggiata da una foglia di vite e dalle scene di un banchetto dove vengono rappresentati schiavi che attingono vino da grandi crateri per colmare le coppe dei commensali.
Si può quindi affermare che, quando alla primordiale alimentazione umana costituita da miele, latte, bacche, fichi, mandorle, semi, seguirono gli impasti di cereali prima a crudo e poi cotti e si aggiunsero l’ olio di oliva ed il vino ebbero origine i primi veri impasti dei dolci .

imageCosi i fichi ( erano considerati tanto preziosi che, nell’ antica Grecia erano guardati a vista giorno e notte da guardiani chiamati “sicofanti” e gia’ da allora venivano essiccati al sole, religiosamente conservati e consumati in occasioni speciali) le mandorle, i semi di sesamo, i pistacchi triturati ed amalgamati con miele o vincotto andarono felicemente ad arricchire gli impasti di farine e/o a creare le farciture di quegli stessi dolci che consumiamo ancora oggi!

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Infatti fino all’ inizio del secolo scorso, quando gli scambi europei, transoceanici ed anche tra le diverse regioni italiane non erano particolarmente intensi e comunque eravamo ancora lontanissimi dall’ odierno e sempre piu’ diffuso “villaggio globale”, i dolci continuavano ad essere strettamente legati ai prodotti locali e le ricette base dei secoli precedenti tramandate di generazione in generazione si sono ripetute nel tempo arricchendosi soltanto di piccole variazioni che non ne hanno alterato la consistenza originaria.

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Il consumo di questi prodotti, piu’ o meno rivisitati, continua a seguire le cadenze periodiche del nostro lontano passato pagano, alle quali si sono sovrapposte le feste religiose ebraiche, cattoliche e islamiche.

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Basti pensare agli ingredienti dei mustaccioli o mostaccioli, ( dal greco mustacea ) farina, miele o vincotto, mandorle e cannella diffusi in tutta l’ area del Mediterraneo. Oggi i mostaccioli sono stati arricchiti da glasse di zucchero e da cacao e non sono piu’ durissimi e spaccadenti come quelli di un tempo!

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Alle ‘nzudde calabresi ( biscotti antichissimi di farina e miele buonissimi da inzuppare nel latte o nel vino ed ai petrali, sempre calabresi che, in un cuscinetto di pasta racchiudono un ripieno di fichi secchi triturati, mandorle e marmellata alla pari di molti dolci tipici greci e dell’ Africa del nord.

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Alla baklava turca e tunisina costituita da sfoglie leggerissime di pasta alternate a strati di mandorle e pistacchi triturati e ricoperta di miele.

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Al Masfouf tipico dolce tunisino consumato dopo il digiuno del Ramadan che e’ un ottimo cous cous dolce.( vedi la ricetta in questo blog)
Alle neole abruzzesi costituite originariamente da due sottili cialde di miele e farina cotte tra piastre di ferro arroventate sulla brace ardente e poi farcite di frutta secca e marmellata.
Alle pitte di frutta secca e miele che si preparano in Calabria fin dai tempi piu’ remoti.
Alle antichissime cartellate pugliesi che hanno il medesimo impasto di farina, olio e vino, la stessa forma di fiore e vengono fritte nell’ olio di oliva, proprio come i Chebakia , dolci marocchini che vengono ricoperti di miele e semi di sesamo mentre le cartellate sono cosparse di vin cotto, ma talvolta viene utilizzato anche qui il miele.

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Ai calzonceddi pugliesi ripieni di crema di mandorle, alle sfingi di riso al miele, per non parlare di decine e decine di ghiotti dolci siciliani , campani, abruzzesi, toscani, sardi, genovesi, ecc. fritti o cotti al forno che sono tutti accomunati dagli stessi ingredienti originari (impasti di farine con olio e vino, farciture di mandorle, miele, frutta fresca essiccata, fichi secchi, passato di ceci, ricotte, spezie, raramente con l’ aggiunta di uova che vennero legate agli impasti dei dolci molto pii tardi ) In simili procedure di preparazione si riflettono, “mutata mutandis” anche molti dolci dell’ Italia del nord e perfino di alcune zone europee.

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Queste preparazioni dolciarie, perdurarono pressoché invariate fino alla conclusione dell’ Impero romano. Le variazioni piu’ consistenti subentrarono dal medioevo in poi, grazie alla pazienza ed all’ inventiva di religiosi e religiose nelle diverse abbazie, monasteri e conventi che sorsero in quel periodo sull’ intero territorio italiano ed europeo che crearono nuove delizie per i nostri palati. Tuttavia le innovazioni nate nei conventi e nei monasteri non cancellarono le preparazioni originarie, che, come si e’ visto continuano ad essere consumate ancora oggi, ma ne perfezionarono e ne raffinarono le procedure, le arricchirono con altri ingredienti, ne mutarono alcune tecniche di cottura e di assemblaggio e ne variarono dosi ed abbinamenti, ottenendo prodotti piu’ delicati, dalla consistenza davvero celestiale! Insomma un impegno lento, accurato e concreto di ricerca di cui scriverò nella seconda parte di questo post.

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