Evoluzione della produzione dolciaria dopo la fine dell’ Impero Romano d’ Occidente. ( seconda parte )

 

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Dell’ alimentazione durante il periodo delle invasioni barbariche e fino all’ anno 1000 non esistono tracce scritte di riferimento, tranne il trattato dietetico di Antimo “De observatione ciborum ad Theodoricum regem Francorum epistola”, del 511.
Antimo, medico greco alla Corte dell’ imperatore Zenone a Bisanzio , intendeva riordinare con questo testo, l’ attitudine alla voracità ed alla gozzoviglia propria dei guerrieri germanici e consigliava una scelta selezionata di alimenti con attenzione alla loro qualita’ ed all’ equilibrio delle quantità anche in rapporto con le bevande.

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Le invasioni di barbari, che avevano provocato il crollo dell’impero, portarono alla formazione di regni romano-barbarici, come quello dei Franchi in Francia e dei Longobardi in Italia, dove si mescolarono le tradizioni della cultura romana, i costumi germanici e la religione cristiana.
In campo gastronomico non ci furono innovazioni anzi, dopo il loro passaggio, lasciarono soltanto una forte decadenza culturale ed economica.
Gli unici segni positivi, furono lasciati soltanto dagli Arabi nel Sud della penisola, particolarmente in Sicilia.

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In campo linguistico invece si registro’ una naturale evoluzione perché il latino dei romani, non piu’ parlato come lingua ufficiale, comincio’ a trasformarsi, sia attraverso le diverse parlate regionali sia con l’ acquisizione di parole e frasi dei barbari, in quella che si chiamerà lingua volgare.
Viceversa la situazione economica e sociale peggioro’ notevolmente. Le zone incolte si espansero invadendo strade e città e così peggioro’ anche la qualità della vita innalzando notevolmente la mortalità.
I commerci e l’ uso della moneta si diradarono progressivamente e sempre più spesso vennero sostituiti dal baratto.
Lo stato non esisteva più e la giustizia era superficialmente rappresentata dai grandi signori chiusi nei loro possedimenti, mentre le poche città rimaste erano governate dai vescovi.
Insomma una situazione di profonda crisi e di degrado durata quasi due secoli che precedette ed in parte segui’ il feudalesimo che sarà instaurato da Carlo Magno con il Sacro Romano Impero, nel 700.
E fu proprio in questo durissimo periodo in cui l’ unico valore rimasto era quello della lotta per la sopravvivenza che nacquero i primi monasteri.

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San Benedetto da Norcia nato nel 480 e morto nel 547 mise a frutto le esperienze precedenti e con l’ appoggio del Papa, dei vescovi e dei possidenti locali, fondò dodici monasteri dove i monaci seguivano la regola dell’ obbedienza assoluta e dell’ “ora et labora.”
Quindi oltre a pregare ed a vivere in solitudine, dovevano lavorare per guadagnarsi il pane quotidiano.
Poiché nel rito cristiano è necessario il vino per celebrare la Santa Messa, i monaci di tutti i monasteri fondati da San Benedetto, piantarono la vite in ogni luogo in cui il terreno sembrava più o meno adatto e la loro necessita’ spirituale divenne promotrice di un’ intensa e proficua attività economica che si avvalse non solo del lavoro agricolo degli stessi monaci ma anche della manodopera locale, ovvero della gente che viveva nelle campagne intorno ai monasteri e che solo nei monaci trovava il proprio riferimento.

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La coltivazione della vite fu cosi avviata in Borgogna , nel Beaujolais, nell’ Angiò, nello Champagne, in Normandia, ma anche in Austria, Portogallo, Italia, Svizzera, Spagna insomma in tutte le regioni europee dove maturava l’uva, c’ era la mano dei monaci!
I monaci bevevano vino non solo al naturale, ma anche aromatizzato all’anice, al rosmarino, all’ assenzio. Bollito e speziato con la cannella, i chiodi di garofano, le mandorle dolci, con un po’ di muschio e di ambra o con un’ aggiunta di miele come il pigmentum, bevuto il Giovedì santo e dal cui nome deriverà la parola francese piment, “peperoncino” o “pimento” e infine aromatizzato con chiodi di garofano, pepe e noce moscata.
Lo champagne è opera di un monaco, don Pérignon, ed i monaci ne potevano bere con moderazione, pronti a imporsi, per tutto il resto, la più rigida disciplina alimentare che si possa immaginare.

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San Colombano nato nel 540 e morto nel 615 fu uno dei promotori dell’evangelizzazione dei popoli germanici. Egli introdusse , in Germania l’uso penitenziale dei popoli irlandesi, per i quali il sacramento della confessione doveva concludersi con un impegno molto concreto di cambiamento della vita. Nel 591 egli giunse nel regno franco della Borgogna, dove fondò monasteri e continuò la sua opera di predicazione.
Alla predicazione si aggiungeva anche l’ obbligo di ospitalita’ per i pellegrini e quindi l’ impegno dei monaci veniva profuso anche per sfamarli e s’ ingegnavano ad elaborare pietanze con i limitati ingredienti provenienti dall’ orto e dagli alberi da frutto del circondario. Gli stessi prodotti e le erbe naturali venivano diversamente usati anche per fare liquori, confetture, dolci e perfino unguenti e medicamenti necessari per soccorrere i malati.

image image Veniva così ripreso il concetto di alternanza fra il lavoro e la preghiera espressa non soltanto attraverso la meditazione e la solitudine ma anche e soprattutto rapportata alla vita comune.
Pertanto fu proprio per merito del cosiddetto modello monastico che, nel Basso Medioevo si avvio’ una ripresa lentissima di valori umani e culturali che comprese anche le innovazioni nella coltivazione della terra e la ricerca alimentare per una migliore elaborazione dei modesti ingredienti a disposizione. Furono sempre i monaci che si adoperarono per rintracciare, catalogare, ricopiare gli antichi testi e i manoscritti dei saperi greci e latini che altrimenti sarebbero andati distrutti.

image La devozione monacale lascio’ il segno perfino in campo architettonico come nel caso della prima Abbazia Cirstencense di Citeaux che sorse ad opera di San Bernardo di Chiaravalle in opposizione a quella di Cluny che fu ritenuta troppo mondana. Per rinunciare all’ opulenza decorativa , fu scelta, nei rapporti matematici di edificazione, l’ elevazione del vuoto sul pieno che andrà a costituire una delle componenti principali dell’ arte gotica.

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I risultati concreti di questo lavoro di ricostruzione furono evidenti soltanto intorno all’ anno mille per poi sbocciare durante i secoli successivi e trionfare nel Rinascimento.
Ad esempio, i monaci di San Colombano dell’ Abbazia di Bobbio e dell’ Abbazia di Santa Giulia di Brescia, avviarono, fra le altre cose, anche un processo di rinnovo nella produzione dei formaggi. Infatti i rustici, ovvero coloro che si erano sistemati nei casolari sparsi alle pendici dei monasteri, si sdebitavano con i monaci con quote di formaggio. Erano prodotti piuttosto grezzi e furono gli stessi monaci a guidarli al miglioramento ed a suggerirne di nuovi.

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Di qui si avvio’ , come ha rilevato Montanari in quello splendido testo che e’ ” La fame e l’ abbondanza in Europa ” un processo di rinnovo della cultura gastronomica e quindi del gusto.

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Altrettanto importante fu il ruolo degli Ordini femminili sia in Italia che in Europa ed ogni Ordine aveva la propria specialità, di cui custodiva gelosamente il segreto.In Francia le suore erano abilissime nella preparazione dei dolci , ” le dulceamina “.Elaboravano crêpes, gaufres (dette refellae), piccole torte e crostate, pan pepato, frittelle, cialde, nieules (nebulae), petits bras (bracchia), portati in Germania dall’emigrazione protestante e conosciuti oggi come bretzeln.

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Altre denominazioni si riferiscono a un’epoca più recente come le religieuses i bernardins, le nonnettes, il pan pepato all’anic; il certosino caro ai bolognesi, i i sacristains, il bénédictin alle mandorle, con lo zucchero e alla bénédictine, la jacobine, un tortino di formaggio , i soupirs de nonne che in passato avevano un nome irriverente ed in particolare il “frangipane” una torta di pastafrolla alle mandorle nata in casa della nobile famiglia Frangipani.
Si dice che il “frangipane ” piacesse cosi tanto , a San Francesco che, sul suo letto di morte espresse il desiderio di mangiarne.
Non essendo più in grado di consumare lo squisito dolce e non volendo dispiacere chi l’aveva preparato, lo fece dividere tra tutti i frati presenti, che ne mangiarono con le lacrime agli occhi per dovere di obbedienza.
Su questa specialità girano tante leggende ed una delle più attendibili e’ quella che la ricetta sarebbe stata donata dal conte Cesare Frangipani a Caterina de’Medici in occasione del suo matrimonio con il futuro re di Francia. Tuttavia i francesi, pur riconoscendo che il nome derivi da un cognome italiano, ne rivendicano la primogenitura.
In fatto di dolci si racconta che, sempre San Francesco un giorno chiamò i suoi compagni e disse: « Voi sapete quanto Giacoma de Settesoli resti devota al nostro Ordine. Io credo che, se la informaste del mio stato, questa sarebbe una grande premura e consolazione nei suoi confronti. Scrivetele di inviarvi una tunica di questo tessuto color di cenere, come quello che tessono le sorelle cistercensi nei paesi d’oltremare. Che mi invii anche qualcuno di quei dolci di mandorle, zucchero e miele che mi preparava talvolta quando mi trovavo a Roma e che chiamano “mostaccioli”. »

imageIn Canada, grazie all’ impegno delle comunità religiose che li hanno custoditi per secoli, sono stati ritrovati i vecchi libri con i segreti delle antiche ricette francesi.

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I dolci sono numerosi: le rissoles, le croquignoles le talmouses, che oggi sono calzoni ripieni di mele e marmellata mentre le talmouses d’un tempo erano tortini di formaggio, mele sorpresa, biscotti all’anice, brioches, janoises (biscotti sottili e zuccherati) ed il pan pepato delle orsoline del Quebec si prepara ancora oggi secondo l’ antica ricetta di quei conventi.
Nel medesimo convento si preparavano, in occasione di alcune festività, e con gran divertimento delle Madri e dei bambini, i cavalli di pan pepato. Nel giorno della sua festa, la Madre Superiora distribuiva un enorme dolce agli allievi esterni, un tempo reclutati tra le famiglie più povere della città, soprattutto fra gli irlandesi immigrati. Ancora oggi, nella città di Quebec, le Sorelle della Carità distribuiscono a Natale i cavalli di pan pepato.
In Sicilia, l’ impegno delle monache nello sviluppo dell’arte dolciaria fu determinante e furono proprio loro a consacrare l’ arte della pasticceria nell’ isola .

image image imageTuttavia bisogna sottolineare che l’ abilita’ delle monache, nei conventi siciliani, era fondata e si avvaleva di solide basi gastronomiche sedimentate fin dal 700 d. C. circa. Infatti cosi’ come si e’ detto che, il passaggio dei barbari ed in particolare quello degli ostrogoti non aveva lasciato assolutamente nulla sul territorio italico, non si può assolutamente dire la stessa cosa degli Arabi.

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Si deve agli Arabi l’ introduzione di nuovi prodotti alimentari come melanzane, cannella, canna da zucchero , agrumi, zafferano, pistacchio, ceci, riso e soprattutto un radicale incremento della gastronomia che si arricchì di nuovi sistemi di cottura e di elaborazione delle materie prime.
Introdussero la cottura in agrodolce, il torrone di mandorle, la frutta candita, il marzapane e gli “sherbet ” ( antenati diretti delle Granite, che con panna montata o senza, con brioche o senza sono le regine incontrastate delle estati infuocate del sud ! )
Quelle antichissime ricette originarie e quelle procedure vennero ripetute e/o rielaborate dalla competenza e dalle abili mani delle suore, per approntare prelibatezze legate al calendario liturgico che erano usate soprattutto per ricambiare lasciti, favori e servizi ricevuti da personalita’ religiose ( vescovi, prelati, confessori ) e dalla nobiltà locale. Con l’ andare del tempo spinte dal desiderio di conquistare la meraviglia e la gratitudine di queste personalità, le Suore affinarono notevolmente le loro preparazioni e le arricchirono anche nell’ aspetto.

imageDalla seconda metà del 1400 in poi , la Sicilia divenne la prima produttrice di zucchero che ben presto si sostitui’ al miele e le decorazioni con lo zucchero, preziose come merletti divennero, insieme all’ abile uso delle mandorle, una costante nella composizione e guarnizione dei loro dolci.

 

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Nasce in questo periodo la pasta reale composta da mandorle e zucchero e comincio’ ad essere modellata e dipinta per riprodurre tutti i frutti. Un’ arte rimasta invariata nei secoli che ad Ognissanti continua a deliziarci nelle pasticcerie del Sud, insieme a cannoli ( anticamente erano chiamati teste di turchi ), nucatili, impanatigghi, cassate e cassatelle, piparelli, mostaccioli, stomatico, biscotti ricci, fior di mandorle, gelati, granite, sorbetti, susumelle, bocconotti, purceddhuzzi, sospiri, ecc.ecc.ecc.ecc………….
Con il trascorrere del tempo e il mutare della società, la produzione dolciaria dei monasteri femminili, si apri’ anche ad una sistematica attività commerciale, naturalmente riservata e circoscritta che permise ai conventi di godere di una certa autonomia economica.

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