Dolci e sontuosità del Rinascimento! ( Terza parte)

 

imageIntorno al 1300 le preparazioni di cucina in genere e quelle dei dolci in particolare, connotate da una linea operativa densa di impegno e di un eccezionale senso della misura , consistevano nell’ utilizzazione accurata ed equilibrata di verdure, ortaggi, frutta, uova, formaggi .
Dell’ ormai lontano Impero Romano era rimasto soltanto un accentuato e diffuso gusto per l’ agro- dolce che s’ intensifico’ nell’ Umanesimo e nel Rinascimento insieme all’ uso del miele.
Infatti i monaci continuarono per lungo tempo ad allevare le api ( anche dopo l’ introduzione dello zucchero di canna da parte degli Arabi nell’ 827 ) per ottenere la cera per le candele e quindi avevano un’ autonoma produzione di miele che continuo’ ad essere impiegata nella produzione di di dolciumi che si protrasse per tutto il periodo del Rinascimento tanto che i fabbricanti di candele e quelli di dolci furono sempre uniti in una sola Corporazione.

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Gradatamente riprese anche l’ uso sobrio delle carni, soprattutto maiale, pollo e cacciagione. Furono intensificate molte colture e nacquero prodotti eccellenti come parmigiano, champagne, vini e liquori pregiati, pasticcini, biscotti, torte, granite, cassate ecc. le cui ricette per lungo tempo rimasero segretissime, ma questa segretezza non impedì a lavoratori, lavoratrici ed ex converse che avevano imparato a preparare dolci nei conventi e nelle abbazie di avviare la produzione dolciaria in proprio, aprendo   le prime  botteghe artigianali.

Le abilita’ culinarie lentamente e faticosamente acquisite soprattutto grazie all’ impegno ed all’ ingegno monacale dal 476 in poi, perdurarono piu’ o meno inalterate durante l’ Umanesimo.

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Le prime variazioni sostanziali del gusto sono registrate verso la fine del 1300 da Guillaume Tirel, maestro di cucina alla Corte di Carlo VI, soprannominato Taillevent per il gran naso con il quale sembrava fendere il vento. Egli scrisse il ” Viander “, un manoscritto di 46 ricette redatte con grafia gotica e rese in forma poetica . “Il Viander” e’ il primo testo di cucina dal tempo dei romani, ebbe molto successo, fu tradotto in molte lingue e segna l’ inizio della notorietà’ della cucina francese che più tardi fu particolarmente influenzata da quella italiana trapiantata in Francia da Caterina de’ Medici ed ivi sviluppata e trasformata.

image Le ricette, del ” Viander” impostate in totale liberta’ documentano una cucina abbastanza simile a quella dei secoli precedenti per quanto riguarda le minestre di verdure e di ortaggi, ma appaiono per la prima volta le nuove salse insieme a complicate preparazioni di carni arricchite con spezie non comuni.

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Tra le altre ricette di Taillevent e’ significativo ricordare la torta di mele, uvetta, fichi e cipolle che convalida la preferenza del gusto agro-dolce, che caratterizzerà l’ intero Rinascimento.
Comunque, la tendenza generale e’ ancora quella di una certa linearita’ e sobrieta’ che risponde al rapporto cibo- salute ed i benefici generali di questa alimentazione furono confermati e diffusi nel “Libro de arte coquinaria” di Martino da Como.

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Tuttavia non mancarono le esagerazioni, anche in questo periodo, documentate dai grandi pranzi che venivano allestiti in occasione di nozze e ricevimenti nobiliari.
I pasticcieri, infatti per accattivarsi i favori dei loro signori , escogitavano di continuo nuove ricette finalizzate a strabiliare.

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E’ il caso di una gigantesca torta servita allo sposalizio di un principe mantovano sormontata da tre grandi statue di marzapane a grandezza d’ uomo, come riferisce Cervio, uno scrittore dell’epoca, presente al banchetto.
Per ridurre l’eccessivo spreco delle materie prime usate per confezionare dolci tanto grandi, vennero approvate, in alcune città italiane, speciali leggi che ponessero fine allo sperpero compiuto dai grandi signori. A Bologna, ad esempio, fu emanata, nel 1224, una legge che permetteva nei banchetti una sola qualità di dolciumi.
Tuttavia, escluse queste sproporzionate magnificenze, fino alla fine del XIII secolo, la pasticceria rimase abbastanza uniforme a quella che ho ampiamente descritto nella seconda parte di questa ricerca.

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La situazione di equilibrio alimentare, pero’ , muto’ negli anni successivi e nel pieno dell’ età rinascimentale si affermo’ una cucina molto elaborata, tendente sempre a coprire i sapori naturali degli alimenti. Le carni venivano sottoposte a frollature interminabili ed a ripetute cotture; acqua di rose, spezie di ogni tipo, agresto, zucchero andavano abbondantemente a far parte di ogni cottura e le preparazioni venivano sempre servite con salse molto elaborate che alla fine accomunavano tutti i cibi col medesimo sapore.

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Bartolomeo Scappi detto il Platina autore del ” De honesta voluptade” fu cuoco privato di Papa Pio V e fu tra i cuochi incaricati di preparare i cibi per i cardinali del Conclave svoltosi dal 29 novembre 1549 al 7 febbraio 1550, nel quale fu eletto Papa Giulio III e le complesse operazioni del servizio sono descritte minuziosamente in chiusura del trattato.

image Una novità significativa dell’Opera sta nell’ accuratissima descrizione delle tavole e delle cucine cinquecentesche con le suppellettili e gli attrezzi che le completavano. E’ il primo vero e proprio trattato italiano che codifica e articola, in modo sistematico, la vastissima materia gastronomica del periodo.
Un altro elemento particolarmente rilevante di cui tener conto, riguarda l’ introduzione delle posate, l’ arte di apparecchiare le tavole e di servire le pietanze, nonche’ l’ uso di nuovi materiali per pentole e stoviglie.
Infatti l’arte dello stare a tavola si perfezionò con grande ritardo rispetto a quella del cucinare.

image Fino al 1300 circa, non venivano usate tovaglie, le carni venivano consumate usando le mani e Fra Bonvesin da la Riva in un trattato del 1315 raccomandava di prenderla con tre sole dita!
Un secolo dopo Montaigne manifesta la sua meraviglia per avere assistito a un pranzo dove tutti i convitati avevano il cucchiaio e nel Galateo, monsignor Della Casa raccomanda di non ungersi troppo le mani mangiando!
La forchetta divenne d’uso comune, ma soltanto per ricchi e nobili nel 1500 e tra la borghesia si diffuse due secoli piu tardi.
Per tutto il 1500 c’ era un solo piatto per ogni convitato, non veniva mai cambiato tra una portata e l’ altra e gli avanzi si buttavano sotto la tavola ! Ogni tanto si lavavano le mani con acque profumate, per detergerle dall’unto.

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Le magnifiche corti delle Signorie italiane consegnarono all’Europa intera un modello culinario opulento e sfarzoso dove le quantità delle “imbandigioni”, il grande uso di dolciumi, che diverrà ben presto un abuso e la cura nella presentazione erano a dir poco, stravaganti !
Nel pranzo nuziale di Costanzo Sforza, signore di Pesaro, con Camilla d’Aragona, furono servite due serie di sei portate ciascuna. Nella prima serie le portate furono: la prima di canditi, paste e pinocchiate; la seconda di uova, latte e un daino arrosto; la terza, di un vitello e fagiani; la quarta di pavoni; la quinta di formaggio; la sesta di giuncate.
Nella seconda serie vennero serviti : vini diversi, pesce, cinghiale con pasticci di uccelli, vitello arrosto, frutta, vini e liquore hypocras, pregiato in quel tempo.

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Insomma, una svolta epocale che origino’ una vera e propria rivoluzione gastronomica, determinata soprattutto dalle importazioni di ingredienti nuovi provenienti non solo dalle Americhe, ma anche dal’ Oriente.
Le vivande più apprezzate alla corte di Ferrara nel 1400 erano capponi, pernici, trote, fagiani, quaglie, beccafichi, piccioni, lepri, salmoni, carpioni, ostriche, meloni, insalate , pesche, tartufi, porcospino, ranocchie ecc.

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In campo dolciario insieme al caffè, il cacao fu uno dei principali protagonisti di questa rivoluzione di sapori e di scoperte che caratterizzo’ il Rinascimento.

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Inizialmente fu usato soltanto dai farmacisti in piccole dosi, ma ben presto fu dolcificato, utilizzato come bevanda e vennero inaugurate le prime sale aperte al pubblico dove si poteva gustare la cioccolata calda in tazza con l’ aggiunta di miele e spezie profumate.
I pasticceri dopo le prime felici sperimentazioni incominciarono ad usarlo in grandi quantità nell’ impasti dolci creando nuove e squisite specialità e fu impiegato ben presto anche per i gelati.

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La questione della primogenitura dei gelati e quella della regione di nascita del gelatiere italiano che fondo’ nel 1686 il primo Caffe’ parigino il famoso “Procope” e’ piuttosto controversa.

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I siciliani sicuramente furono i primi a preparare i sorbetti di frutta già dal 780 d.C., su insegnamento degli arabi, ma sulle creme- gelato più o meno simili a quelle odierne, le fonti sono piuttosto vaghe e non si può accertare se Procopio Coltelli specialista di gelati sia nato ad Acitrezza (CT) come vogliono i siciliani e poi si sia spostato a Firenze per lavorare ed abbia insegnato ai fiorentini l’ arte della gelateria, ne’, come vogliono i toscani, che sia nato a Firenze e dopo essersi specializzato in Sicilia, sia andato a Parigi!

Queste parole, forse le ultime della Regina di Francia, Maria Antonietta sono affisse su una parete del Caffè Procope di Parigi

Queste parole, forse le ultime della Regina di Francia, Maria Antonietta sono affisse su una parete del Caffè Procope di Parigi


E’ certo soltanto che, il primo Caffè di Parigi fu aperto da lui nella seconda meta’ del 1600 e divento’ il piu’ famoso ritrovo francese. (Il locale e’ attivissimo e noto ancora oggi come ristorante, al n. 13 di Rue de l’Ancienne Comédie. )

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Nel 1700 e nel 1800 fu frequentato, tra gli altri, da La Fontaine, Voltaire, Napoleone, Honoré de Balzac, Victor Hugo, George Sand, Paul Verlaine e Anatole France, come ricorda una epigrafe sulla porta, ma anche da Robespierre, Danton e Jean-Paul Marat.

Si narra che, alla fine di un banchetto offerto dal Principe di Conde’ in onore di Luigi XIV (il Re Sole) vennero serviti gelati, ( forse su insegnamento del gelatiere Procope ai maestri pasticcieri di Corte) a forma di uova ed erano stati preparati con tanta cura che gli invitati credettero veramente che fossero uova e non si accorsero di nulla finché mangiando, constatarono che l’ albume era crema di gelato alla vaniglia ed il tuorlo crema di gelato allo zabaione.

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Luigi XIV, amava la buona tavola era molto goloso e godeva di un appetito formidabile;il suo pasto comune si componeva di tre piatti di zuppa, un fagiano, una tortora, due costolette d’agnello, un piatto di prosciutto, dolci e frutta; i pranzi di corte comprendevano, lui regnante, otto servizi, ciascuno composto da venti a trenta diverse portate.

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Le famose uova del Re Sole continuano ancora oggi ad essere presenti nei menu di alcune gelaterie italiane ed il tema dei gelati, truccati da preparazioni salate, e’ stato variamente interpretato: insieme all’ uovo sodo, c’ e’ il gelato travestito da uovo fritto che di solito viene servito, in un tegamino di coccio ed anche il gelato “bucatini al pomodoro” ottenuto facendo passare un gelato piuttosto denso di crema, nello schiacciapatate. Poi si cosparge di sciroppo di ciliegie o di mirtilli e di mandorle grattugiate che simulano salsa e formaggio!

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Luigi XV, eredito’ dal padre la passione per il cibo e non disdegnava di preparare personalmente pasticci di carni, caffè e crepe.
Invento’ un tipo di pane che porta il suo nome e sotto il suo regno compaiono moltissime nuove e prelibate pietanze, tra cui: i pasticci tartufati di cacciagione, varie specie di frittate dolci e salate, i filetti di pollo e le costolette d’agnello à la Bellevue, “ispirati” dalla Pompadour, le quaglie alla Mirepoix, il consommé, i bocconcini e i polli à la Reine, creazione di Maria Leszćzynska.
Nascono sotto il suo regno anche la salsa Béchameil cosi’ chiamata in onore dell’ omonimo marchese e la salsa maionese (da Mahon, città assediata da Richelieu ) e le crêpes del cardinale di Bernis.

image Nasce in questo periodo anche la pasta sfoglia per merito di Claude Lorrain detto Gelee, un fabbricante di paste, il quale mentre stava impastando alcuni dolci, si accorse di essersi dimenticato di unire la prescritta dose di burro. Visto che aveva gia’ impastato la farina lo aggiunse poco a poco lavorando ogni volta l’impasto. Solo dopo la cottura constato’ di aver ottenuto una pasta leggerissima e friabile che, meglio di ogni altra , si sposava con creme dolci di uova o di burro.

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Insomma fu l’ epoca delle esagerazioni come quella di non voler più masticare, diffusa presso parecchi nobili e quindi tutto veniva ridotto a gelatine, conserve, purées e sughi.

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Per concludere e’ piacevole ricordare che, qualche strappo a questo clima di accentuate “aberrazioni” gastronomiche si deve a colte gentildonne e uomini di pensiero che si riunivano spesso tra loro intorno a mense frugali, per conversare di letteratura, arte o scienza !