Archivio della categoria: Ricette dell’ antica Roma

“Ova sfongia ex lacte” …..anche gli antichi romani facevano la frittatina !….

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Ova sfongia ex lacte

Ova quattuor , lactis eminam, olei unciamin se dissolvis ita ut unum corpus facies. In patellam subtilem adicies olei modicum, facies ut bulliat et adicies impensam quam comparasti. Una parte cum fuerit coctum, in disco vertes melle perfundis , piper aspargis et inferes
De re coquinaria 303

 

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Frittatine al latte

Mescola 4 uova, un ‘ emina (271 ml) di latte un’ oncia d’olio in modo da fare un corpo unico. Metterai in una padella sottile un po’ d’olio , farai in modo che frigga e aggiungerai la mistura che hai preparato. Quando sarà cotta da una parte la girerai in un piatto, cospargi di pepe e servirai.

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Tre ricette facili di dolci dell’ antica Roma tratte dal “de re coquinaria”

imageimagePatina versatilis
Nucleos,nuces fractas,torres eas et teres cum melle,pipere, liquamine,lacte et ovis.Olei modicum.
(De re coquinaria 129)

 

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Dulcia domestica
Palmulas vel dactilos excepto semine, nuce vel nucleis vel piper tritum infercies. Sale foris contigis, frigis in melle cocto et inferes
(De re coquinaria 296)

 

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Dulcia piperata
Piper, nucleos, mel, rutam et passum teres, cum lacte et tracta coques. Coagulum coque cum modicis ovis. Perfusum melle , piper apersum inferes
(De re coquinaria 300)

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Torta semi-liquida
Abbrustolisci mandorle,gherigli di noci frantumati, li triterai con miele, pepe, garum,latte e uova. Poco olio
Dolci casalinghi
Farcirai frutti di palma o datteri senza seme con una noce o pinoli o pepe tritato. Tocca fuori con sale, friggi in miele cotto e servi
Dolci al pepe
Triterai pepe, pinoli,miele, ruta e vino passito, cuocerai con latte e sfoglia di farina.cuoci l’intingolo con poche uova.Servirai dopo averlo cosparso di miele e pepe.

De re coquinaria ( Ricetta di pasticcio di maiale e mele in Latino e in Italiano)

imageMinutal Matianum

Adicies in caccabum oleum, liquamen, cocturam, concides porrum, coriandrum esicia minuta. Spatulam porcinam coctam tessellatim concides cum sua sibi tergila.Facies ut simul cquantur. Media coctura mala Matiana purgata intrinsecus, concisa tessellatim mittes. Dum coquitur, teres piper, cuminum, coriandrum viridem vel semen, mentam, laseris radicem, soffundes acetum, mel, liquamen, defritum modice et ius de suo sibi, aceto modico temperabis. Facies ut ferveat. Cum ferbuerit, tractam confriges et ex ea obligas, piper asparges et inferes.
(De re coquinaria 168)

 

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Pasticcio Maziano

Metterai a cuocere in una terrina olio, garum,taglierai un porro, coriandolo e piccole polpette. Taglierai a pezzettini una spalla di maiale con la sua cotenna. Farai in modo che cuociano insieme.A mezza cottura aggiungerai mele Maziane pulite all’intern , tagliate a pezzettini.Durante la cottura triterai pepe, cumino, coriandolo verde o seme, menta, radice di silfio,cospargerai di aceto,miele,garum,un po’ di vino cotto, e il suo sugo, stempererai con un po’ di aceto. Porterai ad ebollizione. Quando bollirà, friggerai la sfoglia e legherai con quella, Cospargerai di pepe e servirai

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ importanza del MIELE nella cucina dell’ antica Roma

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Elemento indispensabile nella vita dei Romani era il miele e l’apicoltore romano aveva un ruolo essenziale nella cucina latina.
Il miele era un prodotto molto diffuso in tutta la penisola: da nord a sud e nelle isole, numerose varietà rivaleggiavano in sapore e aroma, il che non impediva però ai Romani di importarlo anche dalla Grecia . Due tipi di miele solleticavano maggiormente il gusto dei Romani: quello di prima qualità (mei optimum) e quello di seconda qualità (mei secundum). Capitava spesso che i cuochi romani mischiassero le due qualità tra loro e Apicio ci da una ricetta per migliorare il miele cattivo, aggiungendo a una misura di miele di seconda qualità due misure di quello «ottimo».

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Anche se i Romani consideravano il miele soprattutto come un dessert, se ne servivano pure in modi diversi. Lo utilizzavano, per conservare alcuni alimenti come la frutta, ma anche per confezionare marmellate, vini « conditi », dolci. L’impiegavano poi per fare salse e con esso spalmavano i prosciutti e alcuni pezzi di carne prima di farli cuocere. Basta sfogliare le ricette di Apicio per rendersi conto dell’importanza di questo ingrediente, stimato più di ogni altro.
Il migliore, secondo gli autori latini, era il miele dell’Attica e Petronio ce ne da la prova e nel Satyricon scrive: « Per avere a casa sua il miele attico, si è fatto portare alcune api da Atene; così, a un tempo, le api locali diventeranno migliori grazie a quelle greche… »

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Ecco, di seguito l’ antica ricetta romana del vino aromatizzato al miele:
“Siano versati in un vaso di bronzo un quarto di vino e due cucchiai di miele, in modo che, mentre il miele bolle, il vino diminuisca di volume. Scaldalo a fuoco lento; gira il tutto finchè prenderà il bollore; quando comincerà a salire, trattienilo versando altro vino.Una volta freddo fallo scaldare di nuovo. Ripeti per altre due volte. Il giorno dopo lo schiumerai. Aggiungi allora 120 gr. di pepe, poco pistacchio, cannella e zafferano, cinque ossi arrostiti di datteri; trita cinque datteri che dal giorno precedente avrai posto nel vino per farli ammorbidire. Fatto ciò versa due litri circa di vino giovane”.

 

 

 

Il GARUM (salsa di pesce dell’ antica Roma)

 

Traduzione attualizzata:
Si prendono pesci grassi, come lo sono salmoni, anguille, alose, sardine e aringhe, e con questi pesci e con erbe aromatiche secche si prepari questo composto insieme al sale. Si predispone un vaso solido e ben peciato della capacità di due o tre moggi, poi si prendono delle erbe aromatiche secche odorose sia di orto che di campo, come ad esempio aneto, coriandolo, finocchio, sedano, santoreggia, salvia, ruta, menta, sisimbro, ligustico, puleggio, timo, origano, bettonica, agrimonia e con queste si fa, prima di tutto, uno strato sul fondo del vaso. A questo punto si fa un altro strato coi pesci, interi se sono piccoli, tagliati a pezzi se grandi. Sopra questo si fa un terzo strato di sale, alto due dita. In questo modo si deve riempire il vaso fino all’orlo alternando sempre questi tre strati di erbe, pesce e sale; quindi il vaso va chiuso con un coperchio e così lasciato a riposare per sette giorni. Trascorsi questi, per i venti giorni seguenti questa preparazione deve essere mescolata fino al fondo del vaso con un bastone di legno fatto a forma di remo, due o tre volte al dì. Passati i venti giorni, il liquido prodotto da questo miscuglio viene raccolto e con esso si può ottenere o il liquamen o l’oenogarum, con questa ulteriore preparazione. Si prendono due sestari di questo liquido e si mescolano a mezzo sestario di vino buono, quindi si aggiunge a questo composto un mazzetto di ciascuna di queste quattro erbe aromatiche secche, ovvero aneto, coriandolo, santoreggia e salvia. Si aggiunge anche un pugnetto di seme di fieno greco e, fra le spezie, trenta o quaranta grani di pepe, tre denari di costo, la stessa quantità di cannella e di garofano. Le spezie vanno mescolate al liquido macinate finemente. Quindi questo composto va cotto in un recipiente di ferro o di bronzo fino a che si riduca alla quantità di un sestario. Tuttavia, prima che cuocia del tutto, occorre aggiungere mezza libra di miele schiumato. Quando il tutto si sarà ridotto, deve essere filtrato come i decotti fino a diventar limpido, ma deve essere versato nel filtro ancora bollente. Una volta filtrato e raffreddato, si conserva in un vaso ben peciato per condire le pietanze.

Ricetta in latino:
Confectio liquaminis quod oenogarum vocant. Capiunt pisces natura pingues, ut sunt salmones et anguillae et alausae et sardinae et aringi, et fit ex eis atque ex herbis odoratis aridis cum sale compositio talis. Praeparatur vas solidum ac bene picatum capax trium vel quattuor modiorum, sumunturque herbae aridae bene olentes tam de horto quam de agro, utputa anetum coriandrum feniculum apium satureia sclareia ruta menta sisymbrium ligusticum puleium serpillum origanum vettonica argemonia, et ex his in fundo vasis primum ordo consternitur. Tum ex piscibus si minores fuerint integris, si maiores in frusta concisis alter ordo componitur. Super hunc tertius ordo salis binos digitos altus adigitur. Atque in hunc modum his tribus herbarum et piscium salisque ordinibus supra invicem alternantibus vas est usque ad summitatem implendum, tum addito operculo claudendum atque ita per dies semptem dimittendum. Quibus transactis per continuos viginti dies cottidie bis vel ter palo ligneo in modum remi formato compositio ista usque ad fundum est commovenda. Quibus expletis liquor qui de hac compositione defluxit colligitur atque in hunc modum ex eo liquamen vel oenogarum conficitur. Sumuntur huius liquoris sestarii duo et cum dimidio boni vini sestario commiscentur, tum quattuor herbarum aridarum singuli manipuli in hanc mixturam coiciuntur, aneti videlicet et coliandri et satureiae atque sclareiae. Faeni graeci quoque seminis pugillus unus adigitur., et de aromatibus piperis grana triginta vel quadriginta, costi pondo denari tres, cinnami similiter, caryophylli similiter. Haec minute contrita eidem liquori permiscentur. Tum vel in ferreo vel in aereo vase compositio haec tam dium coquenda est quousque ad unius sestarii mensuram perveniat. Prius tamen quam percoquatur mellis despumati selibram in eam adici oportet. Quae cum percocta fuerit more potionum per saccum colari debet usque ad claritatem, fervens tamen sacco infundenda est. Eliquata vero et refrigerata in vaso bene picato servatur ad obsonia condienda.

 

Pullum frontonianum

 

 Progressio:

Pullum condies  liquamine, oleo mixto, cui mittis fasciculum anethi, porri, satureiae et coriandri viridis, et coques. Ubi coctus fuerit, levabis eum, in lance defrito perunges, piper asparges et inferes.

Traduzione letterale:

Pollo Frontoniano
Sbollenta il pollo, condisci con liquame ed olio misto, cui aggiungi un fascio di aneto, porro, santoreggia e coriandolo verde, e cuoci. Quando sarà cotto toglierai il pollo, in un piatto di portata con sapa ungi bene, di pepe spargi e servi.

Oggi, potremmo preparalo così:
Sbiancare il pollo in brodo bollente per non più di 5 minuti. Sgocciolare, trasferire in un tegame con 3 cucchiai d’olio, 3 cucchiai di liquame [da sostituire con un dado e mezzo di brodo vegetale] e un fascio d’aneto, porro, santoreggia e coriandolo verde.
A cottura completa, sgocciolare di nuovo e spalmare con abbondantemente senape.
Spolverare di pepe macinato prima di servire.

A tavola con gli antichi romani

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Gli antichi romani davano grande importanza alle delizie della buona tavola ed i convivi erano occasione di spettacolo dove si esibivano le prelibatezze di grandi cuochi e le ricercatezze alimentari provenienti da tutti i luoghi dell’ Impero.
Il più grande cuoco della Roma imperiale fu Apicius che dilapido’ il suo ingente patrimonio in fastosi banchetti e quando le sue risorse economiche si esaurirono non accetto’ di vivere un’ esistenza grama e si avveleno’.image

Scrisse il “De re coquinaria”, prima raccolta conosciuta di ricette a cui si ispirarono tutti i testi successivi di cucina.
Durante l’ impero di Nerone , l’ arte culinaria raggiunse livelli impareggiabili di opulenza abbinata a lussi sfrenati e Petronio Arbitro, nel Satyricon, descrive con sferzante satira uno di questi straordinari banchetti a casa di Trimalcione, (un liberto asiatico arricchitosi grazie al suo padrone che gli aveva lasciato una cospicua eredita’, da lui investita con intelligenza e triplicata ) che sicuramente era ricchissimo ma oggi diremmo anche molto kitsch, e tra le altre cose di pessimo gusto, sui pesanti piatti d’ argento posati sulle tavole imbandite era inciso con il nome del proprietario anche il peso del metallo!
Ecco, di seguito la traduzione di un celebre passo del Satyricon, sulle stravaganze di Trimalcione:

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Non sapevamo, dopo tante meraviglie, che noi, come dicono, si era solo a metà strada.
E infatti, con le mense ripulite a suon di musica, vennero condotti nel triclinio tre maiali bianchi, adorni di cavezze e sonagliere, il primo dei quali, a detta del presentatore, era di due anni, di tre il secondo, ma già di sei il terzo.
Io pensavo che fossero arrivati i saltimbanchi, e che adesso quei maiali, come avviene negli spettacoli per la strada, avrebbero fatto qualcosa di eccezionale. Ma Trimalcione, rotti gli indugi,
« Quale di questi – disse – volete che all’istante vi facciano da cena? Che un pollo alla Penteo e altri cosi del genere i contadini li fanno, ma i miei cuochi anche i vitelli cotti in pentola sanno fare ». E subito manda a chiamare il cuoco, e, senza attendere la nostra scelta, dà ordine che si ammazzi il più anziano. Poi, ad alta voce: « Di che decuria sei? ».

image Come quello gli risponde che è della quarantesima, « D’acquisto, – continua, – o nato in casa? ». « Né l’uno né l’altro, – dice il cuoco, – ma a te lasciato in testamento da Pansa ». « E allora sta’ attento – lui conchiude – a servir bene. Se no, ti faccio spedire nella decuria dei lacchè ».
E il cuoco, mogio mogio davanti a tanta potenza, se ne andava in cucina tirato dall’arrosto.
A noi invece Trimalcione si rivolge con uno sguardo affettuoso, e « Il vino – disse – se non va, lo cambio, ma voi bisogna che gli facciate onore.

image Grazie al cielo, io non compro, ma attualmente quanto interessa la mangiatoia me lo produce un podere in campagna, che io ancora non conosco. Mi dicono che sia lì al confine tra Terracinesi e Tarentini. E adesso ho in mente con un po’ di terra di collegarmi alla Sicilia, che, se mi vien voglia d’andare in Africa, possa navigare sul mio.
Ancora non aveva tutto effuso, che un’alzata con un maiale gigantesco si insediò sulla tavola.
Noi ci mettemmo a far le meraviglie per la sveltezza, ché nemmeno un pollo, giuravamo, si sarebbe potuto cucinare così in fretta, tanto più che nella fattispecie quel maiale ci sembrava molto più grosso del cinghiale di poco prima.

image Ma Trimalcione, dopo che l’ebbe esaminato ben bene, o Come? Come? – sbottò. – Questo porco non è stato sventrato? Proprio no, per dio! Qui, qui il cuoco nel mezzo ».
Il cuoco con aria afflitta si ferma davanti alla tavola ed ammette che di sventrarlo lui se n’è dimenticato. « Come dimenticato? – Trimalcione esclama. – Pare quasi che non ci abbia messo pepe e comino. Spogliarlo! ».
Non si perde un momento: il cuoco viene spogliato e se ne sta lì contrito in mezzo a due aguzzini, però tutti incominciano a intercedere e dire: « Son cose che càpitano. Ti preghiamo, lascialo andare! Se gli càpita di nuovo, più nessuno di noi pregherà per lui ».
Io invece, di una severità veramente spietata, non riesco a trattenermi, ma, chinato all’orecchio di Agamennone, « Proprio un bel fannullone – gli sussurro – ha da essere questo schiavo. Chi andava a dimenticarsi di sventrare un maiale? No, per dio, non gli perdonerei, avesse avuto l’amnesia con un pesce ». Ma non Trimalcione, che, spianato il volto a un sorriso, « Avanti, – disse, – poiché hai la memoria così corta, sventralo davanti a noi ».

image Ricuperata la tunica, il cuoco afferra un coltello e con mano guardinga incide qua e là il ventre del maiale e sul momento dai tagli che via via si allargano sotto la spinta del ripieno traboccano salsicciotti, cotechini e ventresche.
Allo scatto del congegno la servitù proruppe in un applauso e gridò tutta insieme « Viva Gaio! », Ed anche il cuoco si ebbe un invito a bere, ( dato che i pesci son fatti per nuotare e i commensali per bere) con in più una corona d’argento, e la coppa gliela servirono su un vassoio corinzio.