Arte e Cibo

Il cibo è l’energia che permette la vita. E’ naturale che abbia da sempre occupato un posto di grande rilievo nell’iconografia di tutte le epoche storiche, a cominciare dalle incisioni rupestri fino all’arte contemporanea.

Nelle caverne riproduzioni di scene di caccia e di spiedi rudimentali venivano realizzate con carbone, succhi vegetali o terre. Panifici, birrifici e banchetti erano soggetti frequenti dei bassorilievi di Assiri e Babilonesi, mentre gli Egizi rappresentavano perfettamente la loro quotidianità attraverso gli affreschi delle tombe. 

Nella “mezzaluna fertile”, in Mesopotamia, gruppi di cacciatori e raccoglitori di bacche si trasformavano in agricoltori e allevatori, ed anche questo è stato documentato attraverso la rappresentazione artistica.
L’arte greca sovente rappresentava il banchetto e il simposio nelle decorazione dei vasi di ceramica attica e corinzia, mentre gli Etruschi lo predilessero come soggetto nell’arte funeraria. I Romani tappezzavano i muri e i pavimenti delle sontuose dimore con affreschi e mosaici ridondanti di cibi e bevande, pesci e molluschi, volatili e cacciagione, frutta e verdura.
Nell’alto Medioevo sono rare le rappresentazioni di banchetti, mentre abbondano scene di agricoltura e trasformazione delle materie prime: il grano si raccoglie e si trasforma in farina e poi in pane; così l’uva in vino, le olive in olio. Il cibo era considerato il frutto del duro lavoro dell’uomo e dono di Dio, necessità di nutrimento e non fonte di piacere.
Solo nel tardo Medioevo appaiono scene di banchetti, feste, osterie, tavole imbandite; mentre nel Rinascimento e nel Barocco il cibo diviene addirittura il protagonista di tele, studiato fin nei minimi particolari nelle nature morte. Si torna a rappresentare il cibo come modello estetico, energia cromatica, varietà ed equilibrio di forme. Ma anche i luoghi del cibo diventano importanti: la cucina, la bottega, il mercato.
Attraverso la rappresentazione del cibo possiamo risalire alla situazione storica, sociale ed economica dell’epoca cui essa si riferisce.
L’alimentazione diventa arte nel momento in cui inizia un cammino estetico attraverso il cibo stesso, parallelo a quello della semplice soddisfazione dei bisogni nutritivi. E ciò avviene sì con la rappresentazione estetica degli alimenti e delle preparazioni culinarie, ma prima ancora con l’idea che il cibo stesso possa costituire un materiale espressivo per chi lo manipola, soprattutto, ma anche per chi lo gusta.
Quest’idea parte dal concetto di trasformazione delle materie prime e cottura degli alimenti, peculiare della razza umana.
Vedere il cibo non solo come necessità, ma anche come materia plasmabile, da trasformare in altro, da ammirare, da offrire, da percepire con i cinque sensi: è questo che fa la differenza. Cibo per prendersi cura di qualcuno. Cibo per annusare i profumi della terra, per ammirare i colori della natura. Cibo per esprimersi pittoricamente e plasticamente. Cibo per godere dei piaceri della vita, sovente accostato alla sensualità e sessualità, utilizzato simbolicamente in chiave erotica.
“Mangiare con gli occhi” è il senso di questo passaggio, ciò che stimola il desiderio di cibo con la conseguente “acquolina in bocca” e al tempo stesso permette un’esperienza estetica ed emotiva.
Tutto questo è sempre stato naturale per noi umani: ex cacciatori e raccoglitori di bacche, trasformati in agricoltori e allevatori, abbiamo dedicato alle attività legate all’alimentazione la maggior parte del tempo della nostra vita.
Anche l’artigianato ha ruotato in gran parte attorno al mondo alimentare, con la produzione di utensili, manufatti tessili, mobili atti a contenere e presentare gli alimenti. Manufatti che troviamo non solo nelle case, ma anche nelle tombe, assieme ad affreschi e statue raffiguranti scene di banchetti. Un modo per comunicare col mondo dei morti e trasmettere affetto ai propri cari, prendendosene cura. Dunque il cibo come aspetto essenziale nella vita e nella morte.