La guerra dell’Olio: gli Usa contro la Toscana. Tutti i retroscena
Da Bertolli a Carapelli: la nostra regione perde marchi e un business mondiale. Ultimo smacco: il gruppo lucchese Salov comprato dai cinesi di Bright Food vuole lanciare in Oriente il Made in Tuscany
Era il gennaio del 2014, giusto un anno fa. Il New York Times sparò a zero sul simbolo della nostra regione. «Il suicidio dell’olio italiano» si intitolava un articolo corredato da una striscia a fumetti. Oggi siamo da capo con la class action intentata dai consumatori della California contro due simboli (più che marchi) del made in Italy: Filippo Berio e Bertolli.
Nei giorni caldi del 2014 il New York Times raccontava di etichette «toscane» dietro cui si nascondevano miscele di olii spagnoli, marocchini e tunisini. In Toscana ci siamo stracciati le vesti giusto una settimana. Poi si è ricominciato: passando dall’indifferenza a qualche complicità. Eppure l’olio d’oliva sta diventando un business mondiale perchè piace sempre di più. Come dice la pubblicità della San Pellegrino (metà famiglia Mentasti, l’altra la multinazionale Nestlè): il mondo vuol vivere all’italiana. Per questo Bright Food, colosso cinese dell’alimentazione, un mese fa ha comprato la Salov (che sta per Società anonima lucchese olii e vini). La società dei Fontana viaggiava sui 330 milioni di fatturato, ultimo gruppo indipendente italiano. Dopo che Bertolli e Carapelli – marchi toscanissimi – sono finiti in Inghilterra e Spagna. Tutto fuggito senza che nessun inquilino di Palazzo Chigi dicesse una parola.
I marchi italiani piacciono perché il nostro extravergine è il miglior d’Europa e quindi del mondo. Così Bertolli nasce a Lucca nel 1865 da Francesco e Caterina Bertolli ma nel 2008 viene venduto dagli olandesi di Unilever agli spagnoli di Sos (oggi Deoleo, incistiata dal fondo inglese Cvc) per 680 milioni di euro. Ma prima di arrivare agli spagnoli è transitato anche da Alimont (gruppo Montecatini, anno 1972) e dalla mitica Sme, la famosa finanziaria di Stato che aveva in pancia anche i panettoni Motta e Alemagna, le confetture De Rica, i pelati Cirio. La Sme è mitica perché la sua conquista anticipò la guerra fra De Benedetti e Craxi, via Berlusconi.
Altri tempi. Per capire quanto valgono questi marchi basta leggere una serie di sentenze del garante per la concorrenza. Dal 1997 non esistono più Bertolli-Lucca, Monini-Spoleto, Olearia del Garda, Carli-Imperia. Via tutte le indicazioni geografiche perché l’olio Bertolli, ad esempio si imbottiglia ad Inveruno (sì, in Lombardia). Ma soprattutto perchè le olive non sono mai locali. Il garante spiega nella sentenza che «l’olio d’oliva costituisce una categoria merceologica sui generis per la quale l’origine territoriale della materia prima riveste agli occhi del consumatore una particolare specificità, data la rinomanza di alcune zone».
Accuse Usa all’olio toscano: due inchieste contestano la qualità del prodotto
Indagine del giudice della California. Le accuse principali sono: etichetta non vera sulla reale provenienza del prodotto e la possibile presenza di olio raffinato anche se si vende come extravergine. Ecco tutti i particolari
La Carapelli ci gioca molto sulla sua fiorentinità. Un recente carosello fa vedere una corte medievale dove tutti parlano con un accentuato e parodistico accento toscano (magari il telespettatore di Cuneo non avesse capito…). Per fortuna Carapelli (fondata nel 1893 a Montevarchi) almeno ha tenuto lo stabilimento a Tavarnelle. Prima di arrivare agli spagnoli l’olio Carapelli è finito in mano al gruppo Ferruzzi, passando anche dal Mps.
Una fine per i nostri marchi che ha dell’incredibile. Se si pensa che ancora negli anni Sessanta la famiglia Bertolli possedeva una banca con agenzie a Lucca e Viareggio.
Tardivo è quindi l’intervento dell’Isa (finanziaria del Ministero dell’Agricoltura) che ha recentemente iniettato liquidità nella società dell’olio Dante, che peraltro possiede anche i marchi Topazio, Olita e Vero.
Quando si parla di olio di grandi produzioni appare chiaro che si parla quasi esclusivamente di marchi. La Cassa depositi e prestiti con il Fondo strategico italiano ha cercato di riportare in Italia Bertolli, Carapelli e Sasso, ma l’asta è stata vinta da un fondo inglese che è entrato in Deoleo. Parliamo, lo ripetiamo, di marchi. Contano solo quelli. Per questo Salov acquisì il marchio Berio (20% del mercato Usa) e tentò anche un approccio per conquistare Bertolli.
È chiaro quindi che un conto sono le olive delle nostre colline, con le quali si fa un extravergine (carissimo). Un conto è il mercato globale. L’evo (extravergine d’oliva) lo fanno tanti. Tutti quelli che si sentono molto farmers: da Sting a Gino Paoli, da Oliviero Toscani a Cesara Buonamici. Anche Lee Iacocca, mitico ceo della Chrisler, comprò una tenuta in Maremma e si mise a fare l’olio. Anche i ristoratori hanno l’olio del proprio podere. Da Fulvio Pierangelini a Romano Franceschini. Non sappiamo se Matteo Renzi ha un suo evo. Ma è noto che l’unico amico che il maestro Puccini aveva a Milano quando giovanissimo andò a studiare al conservatorio, era un commerciante che portava l’olio dall’arborato cerchio al Nord. L’unico che parlasse con il genio di Boheme dopo che aveva lasciato Lucca con sommo scandalo, portandosi dietro Elvira Bonturi, donna già sposata.
Tutto questo per capire cosa rappresenti l’olio per la Toscana e quanto facciano male queste campagne, ormai ripetute. I dati ufficiali dicono che già oggi il 70% dell’evo Igt Toscano (poi ci sono le singole Dop: Lucca, Maremma, Siena, etc) viene esportato negli Usa. Ma questo non può bastare. Era il 1975, giusto 40 anni fa, quando Ancel Keys proclamò la dieta mediterranea la più salubre al mondo. E questo regime anticolesterolo si basa sull’olio d’oliva.
Una delle poche profezie che non ha azzeccato Gino Veronelli, è che «l’olio avrebbe reso i contadini ricchi come è stato per il vino». Non è andata così. Paolo De Castro, ex ministro dell’Agricoltura con Prodi, pugliese, ricorda come oggi: «l’età media degli olivicoltori sia la più alta fra i coltivatori diretti italiani». Se si pensa poi all’annata pessima appena trascorsa, si capisce come la Toscana – fra guerre commerciali, campagne di stampa e marchi in fuga – stia per perdere un business che sta diventando mondiale. Non inizia bene l’anno di Expo 2015.
fonte http://iltirreno.gelocal.it/
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