Come mai questo gran parlare di Ogm?
In queste settimane, chi legge con regolarità più di un quotidiano (La Stampa, il Corriere della Sera, Il sole 24 ore, l’Unità…) ha avuto modo di farsi una cultura sulle ragioni per cui parte della politica e della ricerca è a favore degli Ogm in agricoltura nel nostro Paese. La coltivazione dei quali, sia detto ad onor di cronaca, è e resta vietata. Poco hanno imparato, invece, i medesimi lettori, sulle ragioni di chi non vuole gli Ogm, che solo in rari casi ha avuto voce, e che comunque, nel nostro Paese, equivale a circa il 90% dei cittadini – agricoltori, consumatori, lettori che siano.
Come mai tutto quest’agitarsi, proprio adesso e proprio qui, su questo tema? Per via del semestre italiano di presidenza europea, diranno alcuni. La nostra visibilità all’Ue è notevole in questo momento, e chi produce Ogm non ha apprezzato le recenti decisioni italiane in fatto coltivazioni geneticamente modificate, dal decreto interministeriale che vieta la coltivazione del mais Mon810 alla – conseguente! – distruzione dei campi seminati illegalmente con quel mais in Friuli Venezia Giulia.
Ma il semestre italiano non è la sola ragione, dicono altri. Esso infatti, finirà, e cederà il passo, pochi mesi dopo, a un altro grande appuntamento, l’Expo 2015, nel quale le aziende che producono sementi gm per l’agricoltura saranno presenti e forse desiderano trovare un Paese meglio disposto, verso di loro, di quanto lo sia oggi. Questa specie di campagna di stampa si spiegherebbe così con la necessità di offrire alle multinazionali un pubblico italiano meno critico rispetto agli Ogm in agricoltura. O, semplicemente, già talmente stufo di sentirne parlare che si lascerà scivolare addosso gli slogan e i toni da crociata che oggi sembrano caratterizzare i sostenitori di quel tipo di biotecnologia.
Forse hanno ragione entrambi i versanti; in ogni caso prendiamola con calma: la strada della tutela della biodiversità, della nostra cultura gastronomica, delle nostre economie locali e della democrazia è lunga, richiede attenzione e resistenza.
Fonte slowfood.it
Cinzia Scaffidi
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