A tavola tornano i legumi, tesoro dell’Appennino
Fra tante brutte notizie sul fronte dei consumi alimentari, vogliamo evidenziarne almeno una che ci rincuora: arriva dall’ultimo rapporto Ismea-Nilsen sui legumi, dove si testimonia una crescita sia nella produzione (+11%) e quindi nella superficie agricola dedicata (+9%) che nei consumi (+1,4%).
Dominano negli acquisti i piselli (42%), seguiti da fagioli (31%), lenticchie (11%), ceci (9%) e fave (2%). Insomma quella che un tempo si definiva «carne dei poveri» riguadagna terreno, proprio nell’anno che la Fao ha dedicato ai legumi.
Certo, siamo lontani dai livelli del secondo dopoguerra, quando nel nostro Paese la quantità di legumi pro capite consumati ogni anno si aggirava sui 15 kg, contro i poco più di 3 kg odierni. Colpa degli eccessivi consumi di carne e cibi pronti. Un’inversione di tendenza rispetto al trend di questi anni è comunque auspicabile anche dal punto di vista agronomico. Le coltivazioni di legumi hanno scarse esigenze idriche e di fertilizzazione chimica, in particolare quella azotata che è la più inquinante: le leguminose infatti sono piante azotofissatrici, cioè sono in grado di apportare azoto ai terreni in cui vengono coltivate.
Queste peculiarità fanno sì che sia possibile coltivarle anche in condizioni difficili. Non è un caso se il 63% della produzione italiana si concentra in Sicilia e in regioni appenniniche come Abruzzo, Toscana, Marche e Umbria.
Abbiamo ancora negli occhi la straordinaria bellezza del borgo di Castelluccio di Norcia, famoso per la sua lenticchia e devastato dal terremoto del 30 ottobre. Quei campi di lenticchie sono un tesoro di biodiversità affidato alla cura di chi lo coltiva , ma anche alle nostre scelte quotidiane.
Fonte: Gaetano Pascale – presidente di Slow Food Italia
photocredit: immagini tratte dall’archivio Slow Food e dalla pagina Facebook Castelluccio di Norcia
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