Lieviti e Farine: un rapporto stabile e duraturo

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Note

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Tipi di lievito

Che esistano varie forme di lieviti, o agenti lievitanti, di sicuro lo sanno in molti. Basta guardare gli scaffali al supermercato per entrare in confusione tra quelli per dolci, per pane o pizza.

Fondamentalmente i tipi di lievito che si trovano sono cinque:

– Lievito di birra fresco: si trova spesso nei bachi frigo dei supermercati in piccoli dadi da 24 grammi. Si conserva in frigo per un mese massimo, dopodiché la sua efficacia si riduce drasticamente. Utilizzato principalmente per le lievitazioni fuori dal forno.

– Lievito di birra secco: la differenza principale é la possibilitá di essere conservato fino ad un anno. Deve essere riattivato prima di poter essere utilizzato, a volte con l’aggiunta di zuccheri e il dosaggio é differente rispetto al lievito di birra fresco.

– Lievito madre: il principe dei lieviti, per la sua alta digeribilitá e grazie alla stabilitá dei microorganismi contenuti al suo interno che devono essere nutriti su base regolare per restare attivi. Come anticipato, il procedimento per produrlo in casa richiede costanza per quanto sia comunque semplice. Il lievito madre cresce e invecchia con chi lo alimenta, diventando anche motivo di vanto per forni o famiglie che lo utilizzano da generazioni e ovviamente, come si dice in molti casi, piú invecchia e piú migliora. Si utilizza prelevandone una parte e aggiungendolo all’impasto che si vuole far crescere.

– Lievito madre secco: di recento si é cominciato a vedere in vendita, ma contiene al suo interno una componente di un altro tipo di lievito che serve a ravvivarlo, visto che il lievito madre secco é tecnicamente “morto” e di conseguenza, meno potente di quello fresco.

– Lieviti per dolci: questi sono i cosiddetti lieviti chimici, che attraverso la reazione di elementi al suo interno innescano la produzione di anidride carbonica facendo crescere l’impasto. Uno degli elementi costitutivi solitamente é il bicarbonato di sodio. Sii usa per le lievitazioni in forno.

La forza della farina

Sono rimasto scioccato la prima volta che ho scoperto che le farine, colore a parte, non sono tutte uguali. Figuratevi quando ho sentito parlare di “forza della farina”. Sembra un concetto Jedi per fornai!

Questa cosiddetta forza,misurata con la lettera W (che va da W90 a W370), é la risultante di due variabili: la tenacitá del glutine (P) e l’estensibilitá (L).

Questi valori sono stati utilizzati per la prima volta a inizio del XX secolo, dopo l’invenzione dell’alveografo. Un macchinario che soffia in un disco di impasto creando una bolla per misurarne la resistenza.

Piú la farina é resistente (creando quindi bolle maggiori) piú é adatta a lunghe lievitazioni, perché é in grado di trattenere con piú efficacia l’anidride carbonica che si sviluppa all’interno degli alveoli. Le farine cosiddette deboli sono adatte per la preparazione di prodotti quali i biscotti, mentre per la panificazione serviranno farine con un W piuttosto alto. Una delle piú forti é la farina Manitoba (W400), che prende il nome dalla regione canadese da cui proviene (che a sua volta prende il nome dai nativi americani che vi abitavano prima). Questa puó essere usata per lunghe lavorazioni o mischiandola ad altre farine per rinforzarle.

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