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Come fare un buon pane, secondo me.

pane semola Senatore Cappelli e Tritordeum

le fette – Senatore e Tritordeum
le fette – Senatore e Tritordeum

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Come fare un buon pane, secondo me. L’arte bianca è un’arte, appunto. L’artista si esprime mediante la creatività, e il bello è che ogni artista ha un suo stile, che lo diferenzia dagli altri. Quindi, applicato all’arte bianca, ogni panificatore ha un suo stile. Per sillogismo, a mio avviso, non possono esistere delle linee guida univoche per fare un buon pane.

Ecco il motivo per cui su ogni libro o ogni blog troverete delle informazioni diverse. Ho pensato quindi di pubblicare in questo articolo il mio metodo, che poi è diventato il metodo BreadHeArt.. non volendo assolutamente dire che si tratta de IL METODO ma soltanto del mio. Fare un bel pane è la cosa più difficile, ben più complessa che produrre un buon panettone. Io stessa ci sono arrivata dopo più di un anno di pratica, dopo aver sfornato dei bellissimi fermaporte, mattoni e solidi di varie forme con i quali ho rimpinguato le mie riserve di pangrattato per i successivi 36 mesi.

Quello che vado a descrivere è il sistema che mi dà il risultato che cerco, un pane asciutto, con la giusta alveolatura, che posso usare con diversi tipi di farina e diversi tipi di lievito, modificando solamente i tempi di puntatura e/o lievitazione fuori frigo, usando molto il frigo anche per gestire le giornate (visto che lavoro), ottenendo ottimi risultati: è quello che vado ad illustrarvi di seguito.

Non vuole essere un trattato tecnico: ho inserito qua e là alcuni link se volete approfondire, ma di tecnicismo sul pane in rete ce ne sta anche troppo… questo è solamente “il mio metodo”.

Ingredienti:
Gli ingredienti per il pane sono quattro: farina, acqua, lievito, sale. E volendo: aromi, sospensioni, malto o zuccheri vari.

MALTO DIASTASICO:
Senza entrare troppo nei dettagli, vi basti sapere che il malto serve ad aumentare l’attività enzimatica (amilasica) nelle farine che hanno questa caratteristica debole (appunto, aggiungendo potere diastasico). Questo indice si esprime con il Falling Number, ovvero indice di Hagberg. Solo le farine che hanno tale indice superiore a 350 necessitano di essere rinforzate con malto. Generalmente si tratta di farine molto molto forti, tecniche. Fate un giro in rete e leggete le schede, vi sfido a trovare una scheda che riporti un indice superiore a 350. Di conseguenza, possiamo dire che il malto serve solo come miglioratore nelle preparazioni di grandi lievitati. A stimolare tale attività con farine che non ne hanno bisogno si rischia di produrre pani umidi.
Ad ogni buon conto, quando serve faccio uso di malto in polvere, comprato su Tibiona (costa molto meno di quanto costino le micro confezioni di Molino Rossetto che trovo alla Coop). Non tutti i malti (esistono in diverse forme) hanno eguale potere diastasico, quindi dosarlo non è facile. Su quelli di Tibiona è specificata la quantità necessaria rispetto al peso della farina nell’impasto.
L’uso dello zucchero non è sostitutivo di quello del malto: lo zucchero non ha capacità enzimatica. Inoltre, non uso malto liquido perché come il miele dà sapore, ed è difficile da dosare.
Conclusione: perché complicarsi la vita?

FARINA:
Io cerco di usare preferibilmente farine semintegrali o integrali. Non faccio il pane con la manitoba, o con la farina per pizza, uso integrali o tipo 1 e 2 forti, possibilmente bio (d’obbligo per l’integrale, altrimenti vi mangiate tutte le schifezze che restano nella crusca):
E’ bene, per ottenere un impasto liscio e regolare, che l’integrale sia macinata fine, per quanto la nuova Uniqua Rossa che non lo è (una tipo 1 da 400W, nel 2015 era integrale) l’ho provata con risultati portentosi (vedi il mio pane Muqarna).

La forza della farina è la capacità di resistere ai tempi di lievitazione: avrete notato che se un impasto passa di lievitazione si “strappa”, cioè perde di elasticità: tanto più una farina è forte, tanto più la sua elasticità si mantiene col passare delle ore di lievitazione. Questo dato PER LE FARINE DI GRANO TENERO è generalmente collegato alla quantità totale di proteine contenute nella farina (anche se non tutte le proteine formano glutine) ed è espresso con il fattore W che identifica le farine in:
– Manitoba: W400 e oltre (non sempre si tratta di grano di qualità Manitoba, tutte le farine di grano con W alto possono portare il nome commerciale per estensione di Manitoba) – proteine oltre 15%
– Farine forti: da W330 a W400 (per lunghe e complesse lievitazioni, farine tecniche per panettoni colombe etc) – proteine 13,5-15%
– Farine con media forza: da W280 a W330 (farine per maturazioni e lievitazioni oltre 24h) – proteine 13%
– Farine adatte per pane quotidiano: da W220 a W270 (farine senza particolari performances) – proteine 12-12,7%
– Farine deboli: da W150 a W210 (grani antichi) – proteine 10,5-11%
– Farine per pasticceria: sotto W150 (farina 00 comune) – proteine 9-10%

Se volete approfondire questo argomento, leggete questo chiarissimo articolo di Dario Bressanini. Considerate che non esistono, salvo poche eccezioni, grani italiani che senza aggiunta di glutine abbiano naturalmente una forza superiore ai W220. A volte si trovano in commercio farine con poche proteine che dichiarano una forza maggiore di quella che dovrebbe essere: ciò si può ottenere aggiungendo acido ascorbico alla farina.

Quando uso farine deboli (per deboli si intende sotto i 220W, in generale la forza delle farine di grani antichi o di altri cereali si aggira intorno ai W150-170 salvo la farina Miracolo che ha un W80 ma consente delle performances straordinarie), integro con una percentuale di farina più forte, diciamo 30% – indistintamente, a prescindere dalla forza presunta della farina più debole. Uno schema potrebbe essere pertanto:

  • 100% integrale forte: il risultato sarà un pane che necessita di diverse ore di maturazione in frigo, più diverse ore di lievitazione a temperatura ambiente. Idratazione fino a 80%.
  • 70% integrale forte, 30% farina debole (altri cereali, oppure grani antichi tipo Tumminia, Solina etc.): un pane che assorbirà meno acqua (max 70%), e necessiterà di pieghe.
  • 50% integrale forte, o tipo 2, e 50% farina debole: idratazione consigliata max 60-65%.
  • 30% integrale forte e 70% mix di farine deboli: idratazione consigliata max 55-60%.

ACQUA:
si usa generalmente acqua a temperatura ambiente, per quanto secondo molti per ottenere un ottimale avvio della lievitazione si applica la regola del 75: la temperatura della farina più quella del lievito e dell’acqua devono restituire 75: se il lievito è a 25 gradi, e idem la farina, anche l’acqua deve essere a 25 gradi. Il che significa “tiepida”.
L’acqua del rubinetto va benissimo, purché non contenga cloro. Si sente, annusando e odorando: purtroppo in certi acquedotti se ne fa uso. In questo caso, poiché il cloro può rallentare i processi enzimatici, occorre farla “riposare” un paio d’ore in una ciotola larga, in modo che il cloro evapori. Oppure usare acqua minerale liscia.

IDRATAZIONE:
Parlando di percentuali, si intende sempre di una percentuale di acqua relativa rispetto al peso della farina: 1kg di farina idratata al 70% prevede 700gr di acqua. Non si prende in considerazione l’idratazione del lievito, che entra in gioco se invece si parla di idratazione assoluta, ovvero se nel calcolo includiamo anche l’idratazione del lievito. Mi spiego:
Impasto con 500gr di farina e 350gr di acqua, più 150gr di pasta madre solida idratata al 50%):
se calcolo l’idratazione relativa, 350gr su 500gr di farina sono pari al 70% di hyd.
Se includo anche il lievito, devo sommare la farina in esso contenuta (100gr) ai 500gr di farina, e l’acqua in esso contenuta (50gr) ai 350gr di acqua. Totale, 66,66% di hyd. Questo calcolo è utile quando si considerano elevate idratazioni ed elevate percentuali di lievito liquido: si rischia di raggiungere idratazioni eccessive che la farina non riesce ad assorbire.

SALE:
sale fino bianco, rosa, nero e chi più colori ha, più ne metta. Si aggiunge convenzionalmente alla fine dell’impasto (per abitudine di chi impasta con lievito di birra, dato che in questo caso può rallentare la lievitazione). Fa incordare, nel senso che indurisce un poco l’impasto. Si usa rispetto al peso della farina da una percentuale di 1 fino a 2 per ottenere un pane modestamente salato o “giusto”.

LIEVITO:
io uso generalmente il licoli che rinfresco quotidianamente nel rapporto 1:2:2 (una parte di lievito, due di farina e due di acqua) e tengo a temp ambiente. Quando fa caldo rinfresco due volte al giorno. Non ha mai visto il frigo. Il lievito naturale in forma liquida, coltivato con farina di tipo 0, anche con lievitazioni prolungate ad alte temperature producendo fermentazione lattica rende molto difficilmente l’impasto acido.
Il lievito madre solido lo tengo in frigo rinfrescato al doppio (1:2:1) e legato. Lo tiro fuori, lo rinfresco, lo lascio raddoppiare e poi lo uso. La dose di licoli e di solida è semplice da convertire: se si usa la solida e la ricetta è con il licoli, occorre mettere una quantità di solida pari al 150% del licoli indicato, e sottrarre la parte aggiunta dal totale della farina. La percentuale di lievito per fare il pane in inverno in media è di circa il 10-12%, dipende poi dai tempi che vogliamo tenere. Più del 25% di lievito rischia di rendere il nostro impasto pesante, cerchiamo di tenerci al di sotto.

PREFERMENTO, ovvero IMPASTO INDIRETTO (poolish, o biga):
l’uso della poolish e della biga nascono dall’utilizzo di lievito di birra: piccolissime quantità (1-2gr) mescolate con farina e acqua (se la farina è pari al doppio dell’acqua si avrà una biga solida, altrimenti una poolish liquida) fanno ottenere un prefermento che si userà più o meno come un lievito madre. La bassa percentuale iniziale di lievito farà sì che la fermentazione sia più lenta di quanto sarebbe usando invece maggiori quantità di lievito in un impasto diretto. Chiaramente, aumentando il tempo di maturazione, la bontà del pane aumenta.

Con l’uso del lievito naturale non ha senso preparare un prefermento, salvo che si voglia cambiare farina: il mio licoli mangia farina di tipo 0, se voglio fare un impasto con farina integrale o semola ne utilizzerò 20gr, aggiungendo 5 volte farina e 5 volte acqua per ottenere un prefermento di farina quasi del tutto diversa dalla zero.
Il tempo di maturazione del prefermento sarà di 12-14 ore a seconda della temperatura. E’ pronto quando avrà fatto la schiuma e infine “implode” ripiegandosi al centro di se stesso.

AUTOLISI:
Raccomandata per la riuscita di un buon impasto, quando si usano farine forti, o la semola che è molto rigida, e per chi impasta a mano. Si mescola grossolanamente tutta la farina prevista per l’impasto con il 55% di acqua (60 nel caso di integrale forte o semola, che assorbono di più), formando una sorta di preimpasto. L’idratazione della farina innesta appunto il processo autolitico, e gli enzimi si attivano preparando il glutine a formare la maglia glutinica. Sarà molto più facile e veloce incordare l’impasto, e la maturazione dell’impasto si avvia in maniera precoce. Si fa riposare dai 30 minuti alle 3-4 ore. Dopo i primi 18 minuti, si avvia già una sorta di fermentazione (cosa da considerare bene quando fa caldo). Onestamente non ho riscontrato particolari benefici nelle autolisi lunghe, semplicemente le uso a seconda del tempo che ho a disposizione. Se volete approfondire sulla tecnica dell’autolisi, questo articolo sul metodo Giorilli è scritto molto bene.
Al momento di impastare, si aggiunge il lievito e successivamente molto lentamente l’acqua residua.
Attenzione, si sta diffondendo l’uso (che peraltro anche io caldeggio con il metodo Tartine) di aggiungere lievito all’autolisi. Ma tecnicamente esso si chiamerà “preimpasto” in quanto di fatto aggiungiamo un agente lievitante e la lievitazione già inizia.

Procedimento:
IMPASTO:
Chiaramente, la temperatura ambientale influenza tutto il processo. Se siamo in inverno (diciamo fino a 21 gradi) i tempi possono essere dilatati anche del 20% senza particolari danni ; chiaramente, in estate soprattutto oltre i 24 gradi, potrete osservare che già impastando si inizieranno a formare delle bolle: è allora il caso di contrarre i tempi per evitare che soprattutto con farine poco forti, la lievitazione sia troppo avanzata.
Andiamo ora ad illustrare la mia tecnica. Rinfresco il lievito. Quando manca un’ora dall’impasto, se desidero fare  autolisi metto la farina nella ciotola della planetaria con il 55% di acqua e copro . Passata l’ora, aggiungo il lievito e faccio partire a velocità bassa, con il gancio. Aggiungo la restante acqua, poca alla volta e solo quando la precedente dose è stata assorbita. Se non sono sicura della forza delle farine impiegate, parto da pochissima acqua e man mano che aggiungo verifico se l’impasto appiccica il dito: appena appiccica mi fermo.

Quando ho finito con l’acqua aggiungo il sale e faccio aumentare la velocita, tanto più quanto l’idratazione è elevata. Mi fermo solo quando il gancio si porta via l’impasto lasciando asciutti i bordi della ciotola. A questo punto aggiungo le eventuali sospensioni in ragione del 5-10% rispetto al peso della farina, ovvero semi, olive, noci, uvetta etc o gli aromi (1%, 0,5% per la curcuma), faccio andare ancora un minuto per amalgamare bene e mi fermo.

LAVORAZIONE:
Rovescio l’impasto sul piano di lavoro, dò una pirlata cioè arrotondo l’impasto e poi lascio respirare scoperto. Evito di infarinare il piano perché altrimenti non riesco a dare le pieghe.

Aspetto mezz’ora e dò il primo giro di pieghe: se è sostenuto, faccio pieghe a tre. Se è più morbido, una quindicina di pieghe slap, o guardate anche 

Come si gestiscono le pieghe slap in un impasto idratato all'85%?

Pubblicato da MarinaMar. Pastamadre facile, ed altro. su Mercoledì 3 febbraio 2016

“>questo video. La scelta del tipo di pieghe dipende dalla morbidezza dell’impasto, nulla più. Realizzare pieghe slap senza l’uso di una spianatoia, magari di acciaio, attaccata al tavolo, è impresa ardua. Vedrete che man mano che ripetete i giri, il vostro impasto prende consistenza.

Faccio riposare altra mezz’ora scoperto e ripeto. Posso andare avanti per 4 o 5 volte, mi fermo solo quando vedo che l’impasto ‘sta su da solo’ e non si ‘sbraca’ subito appena lo lascio.

MATURAZIONE / PUNTATURA E LIEVITAZIONE:
A questo punto valuto quanto tempo è passato, e la temperatura ambiente: a 21 gradi lo lascio comunque un’altra ora in ciotola finché non vedo che si gonfia; se fa più caldo e l’ho sentito fare le bollicine mentre davo le pieghe allora metto in frigo subito.

Comunque sia, l’impasto ben pirlato va in frigo, nel suo contenitore a pareti verticali, coperto. Può restarci dalle 6 alle 24 ore, a seconda della forza della farina (una W220 tiene tranquillamente 6 ore, una W300 necessita minimo di 18 ore per maturare). Il vostro frigo deve avere una temperatura di 4 gradi: l’impasto ‘maturerà’ lentamente e il lievito sarà molto rallentato dal freddo lasciando tempo agli enzimi di trasformare progressivamente gli amidi contenuti nella farina in zuccheri, pronti per essere mangiati dal lievito appena la temperatura tornerà ad essere adeguata.

Ora, prima di procedere alla formatura devo attendere il raddoppio: se era già quasi raddoppiato in frigo (per via del frigo non freddo, o dell’apertura ripetuta delle porte, o dell’avviata fase di lievitazione prima di inserirlo) posso procedere direttamente, ma il glutine sarà rigido per via del freddo: lasciatelo un po’ sul piano di lavoro e sarà presto più malleabile. Se ancora non è raddoppiato, lo lascio a temp ambiente fino a quando manca un dito al raddoppio (1,8 volte)

Prendete quindi il vostro impasto dal contenitore e mettetelo di nuovo sul piano di lavoro, anche qui possibilmente senza infarinarlo, altrimenti rischiate di trovare l’interno del vostro pane striato di farina.

E’ questo il momento di procedere con eventuale laminazione, che ci consente di inserire sospensioni: apro bene l’impasto sul piano, cospargo con gli ingredienti desiderati e procedo con qualche giro di pieghe a tre finché non ottengo di nuovo una palletta. Pirlo, e faccio la forma che desidero (la pagnotta lunga è quella che secondo me dà più soddisfazione), la sigillo bene e metto di nuovo a lievitare, con la ‘chiusura’ verso l’alto e stavolta in un cestino coperto da un canovaccio lavato senza sapone profumato. Un’ora o due a puntare a temperatura ambiente (anche qui, se oltre i 21-22 gradi riducete: quando vedete che inizia a gonfiarsi mettete al fresco) e poi di nuovo in frigo.

Sempre sfruttando i 4 gradi per rallentare il processo di lievitazione, già avviato dalla puntatura, in frigo il vostro pane crescerà poco. Io lo lascio da un minimo di 6 ore a un massimo di 8-9, sempre secondo le farine e comunque controllandolo ogni 3 ore.

COTTURA, OVVERO IL METODO FRIGO-FORNO:
Che sia raddoppiato o no, perché probabilmente sarà diventato 1,5 volte il volume iniziale, quando decido di infornare accendo il forno a 250 gradi posizionando la griglia con su una leccarda leggera sul binario posizionato a un terzo dell’altezza totale del forno. Sul fondo del forno (elettrico) metto una teglia bassa (o un’altra leccarda) con un po’ d’acqua (due dita in un bicchiere). 5-6 minuti prima di infornare poso la carta riutilizzabile da forno (che si può utilizzare fino a 250 gradi, mentre quella normale non deve essere usata oltre i 220) sopra il cestino contenente pane appena tolto dal frigo, e rovescio il tutto in un sol colpo: la forma grazie al freddo resterà perfetta.

Con un bisturi usa e getta (1€ in sanitaria) pratico i tagli secondo fantasia (meglio un taglio solo longitudinale che tanti trasversali, che fanno aprire e spartire la spinta in più direzioni, oppure se tondo lo taglio tutto intorno formando un cappello), profondi circa un cm e ripassando bene per separare la sfilacciatura dell’impasto.

Come fare un buon pane, secondo me
taglio unico, profondo circa un cm e che separi bene le fibre dell’impasto

Quando il forno è pronto sollevo delicatamente i quattro angoli della carta e inforno, gettando altra acqua sulla leccarda in basso.

I primi 15 minuti cuocio a 250, poi abbasso 10′ a 220, poi a 180 e proseguo la cottura (eventualmente aprendo “a spiffero” o azionando il ventilato negli ultimi 10 minuti) finché la crosta non è ben colorita (avendo la sonda, potete cuocere finché il cuore non raggiunge i 95 gradi, 97 con farine integrali più umide). In totale, per una pagnotta da un kg, 50 minuti di cottura. Per metà peso, 40 minuti in genere bastano.

Sforno, metto in piedi su una gratella e faccio freddare (se fa freddo lo metto sul balcone, si fredda in pochissimo!)

RIPOSO:
Fondamentale comunque aspettare almeno 8-12 ore prima di tagliarlo: resistere alla tentazione di vederne l’interno vi ripagherà in termini di fragranza perché tagliare subito il pane farà uscire il vapore dalla mollica anziché diffondersi lentamente dal cuore verso l’esterno distribuendo fragranze e aromi.

Beh? Come è venuto il vostro pane? Attendo di leggere i vostri commenti!!

Come fare un buon pane, secondo me
pane con semi e farine di tipo 2 e integrale
pane con semi e farine di tipo 2 e integrale
pane con semi, farine di tipo 2 e integrale
Come fare un buon pane, secondo me
Pane 45% farina di farro integrale Mulino Marino, 45% farina di tipo 1 Antiche Macine D’Emilia, 10% farina tipo 2 Molino Iaquone. Idratazione 70%
Come fare un buon pane, secondo me
Pane 45% farina di farro integrale Mulino Marino, 45% farina di tipo 1 Antiche Macine D’Emilia, 10% farina tipo 2 Molino Iaquone. Idratazione 70%
Come fare un buon pane, secondo me
Pane con noci, nocciole e semi, decorato secondo la tecnica di Josep Pascual
pane con semini


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4 Risposte a “Come fare un buon pane, secondo me.”

  1. finalmente un articolo scritto in..”italiano”……..apprezzo molto la semplicità e lucidità del linguaggio: persino l’uso di termini tecnici viene offerto al lettore in maniera chiara e comprensibile…dalla eleganza delle espressioni sembra potersi dire che non si abbia a che fare con l’ennesimo “maestro” di turno in circolazione, bensì con una persona normale e molto preparata che non mette in primo piano se stessa o i propri interessi, bensì il lettore e la sua curiosità di conoscere ed imparare…complimenti e grazie delle spiegazioni, Alessandro

    1. Grazie Alessandro, Ti ringrazio per le gentili parole… sono felice che il messaggio che voglio trasmettere sia chiaro e intellegibile, è proprio l’obiettivo del mio blog (vedi fra tutte le ricette “scialla”, semplicissime e adatte a chi come me ha iniziato dal nulla). Per far bene non è necessario riempirsi la testa (e le mani) di nozioni ridondanti, basta sapere l’essenziale… è esattamente quello che voglio trasmettere. Grazie ancora e buon impasto.

Scrivi qui se hai domande o commenti da fare: