Le favette del sud in cucina

Ieri ero a prendere un caffe’ da un caro amico, caro perche’ mi da un pregiato alimento pugliese che lui stesso produce, l’alimento pregiato della cucina oro delle tavole l’olio. L’amico in questione e’ Domenico Castria titolare dell’omonima azienda Castria vinicola, della quale nel prossimo articolo ve ne parlero piu’ dettagliatamente, ed oggi vado dalla mamma a pranzo perché’ mi prepara la Ncapriata.
A secondo della zona prende vari nomi: Fav’eFogghie, Fav’eCicuere, Fav’eCicuredde, . . . (Fave e Foglie, Fave e Cicorie, Fave e Cicorielle, . . .)
Dell’antichità di questo piatto dice tutto il nome: Incapriata o ‘Ncapriata dal tardo latino e bizantino Caporidia, derivante a sua volta dal greco antico Kapyridia, polenta di farinacei, parrebbe, secondo alcuni, che questo sia il primo piatto, nel vero senso della parola, cucinato dall’uomo, dopo le varie abbrustoliture, accidentali o volute, che avevano cominciato a rendere più commestibili e digeribili i cibi provenienti dalla raccolta direttamente in natura.
Alcuni suggeriscono di aggiungere qualche patata, dicono che favorirebbe la cremosità, noi preferiamo farle alla maniera antica, la patata è giunta da noi quando questo piatto aveva già compiuto sicuramente più di 2.500 anni, ma probabilmente molti millenni di più. Aristofane nella commedia Le Rane, scritta circa nel 450 a.C., racconta di Ercole, il figlio di Giove, quello delle “12 fatiche”, che dopo aver fatto un adeguato pasto col suo piatto preferito, fave e foglie, fece cambiare di stato a più di diecimila vergini, altro che Viagra, ma lui era anche un dio ed un eroe. Passiamo a preparare il piatto con i mezzi più semplici che in ogni cucina sono presenti: una pentola, un cucchiaio di legno ed un tegame basso. Possibilmente la pentola dovrebbe essere di terracotta, la cottura sarà più continua, senza brusche interruzioni, data la refrattarietà della terracotta la temperatura sarà mantenuta più costante negli inevitabili abbassamenti o innalzamenti di fiamma, un cucchiaio di legno, sempre per la refrattarietà, con il manico cilindrico per permetterci una particolare operazione, che spiegheremo al momento giusto, occorre ancora un tegame basso per la cottura delle verdure, anche questo, possibilmente di terracotta per permetterne una soffritura dolce. Tutto questo anche perché, come dice il vecchio saggio: anche l’occhio vuole la sua parte. Teniamo a precisare che anticamente la cottura di questo piatto avveniva “int u pignatiedd” nel pignatello (foto), cioè nella piccola pignatta di terracotta che in genere si usava per tutti i legumi, era ed è, in tutta la Puglia la si trova ancora comunemente, una specie di anfora a bocca larga, panciuta come se fosse incinta, si orientava verso il fuoco del camino sul cui pavimento si posava al mattino presto per una cottura lentissima delle fave o di altri legumi, che alcune volte si protraeva fino a sera; era la cottura lenta ed a bassa temperatura tanto in voga oggi tra i grandi della cucina. La verdura ideale da abbinare alle fave è la Cicoriella selvatica della Murgia, quella che cresce con tanti stenti in una terra ingenerosa ed in assenza d’acqua, tra un sasso di calcare ed un altro; adatta è anche quella che da noi si chiama mesculanza, cioè un misto di verdure di campo, che oltre alle Cicorielle aggiunge Zanconi, Sivoni ed altro. Se delle erbette selvatiche non fossero per niente reperibile si possono usare delle Cicorie coltivate, il loro piacevole amaro esalterà il dolce delle fave.

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Ingredienti per quattro persone:
Fave bianche (cioè secche, private della buccia) 400 g
Cicorielle o Mescolanza selvatica 1,5 kg
quanto basta di Olio Extravergine di Oliva q.b
Sale Grosso q.b
due spicchi di Aglio 2 spicchi
Peperoncini 1 o 2

Procedimento:
Controllate e mondate le Fave, si mettono a bagno per una mezz’oretta, non occorre tenerle a bagno per svariate ore, essendo legumi privi di buccia, come tanti erroneamente suggeriscono.Le Fave, scolate e sciacquate, si pongono in pentola, coperte d’acqua e si mettono al fuoco con coperchio. Sotto la pentola di terracotta sarebbe bene mettere uno spargifiamma. Raccomandiamo di usare un fornello che possa essere regolato ad un minimo molto basso, la cottura dovrà essere, dopo che sarà stata raggiunta l’ebollizione, un sobbollire quasi impercettibile, se possibile, va imitata la cottura al calore del focolare.
Alla prima ebollizione si produrrà della schiuma, che dovrà essere tolta. Si metterà, come detto, ad una cottura lentissima, rimestando spesso, facendo particolarmente attenzione al fondo, le Fave sono facili ad attaccarsi. Questa fase durerà circa due ore o poco più. Con la moderna cottura sul fornello è bene mettere sulla pentola in cottura un recipiente che combaci bene, contenente acqua, che potrebbe essere utile per una eventuale aggiunta, essa sarà ad una temperatura simile alle fave, eviteremo così di fermare la cottura che rischierebbe di incrudirle, avremo anche una scorta d’acqua calda per ogni uso, facendo un recupero energetico, otterremo anche il risultato di avere un gocciolio di acqua, derivante dalla condensazione del vapore ad una temperatura solo di pochissimo più bassa di quella delle fave in cottura; un normale coperchio a contatto con l’aria si raffredderebbe di più e farebbe ricadere acqua più fredda. Acceleriamo così la cottura, pur mantenendo un fornello bassissimo.

Aspettando che siano cotte non ci si annoia perché bisogna preparare la verdura, che non è un accompagnamento ma parte integrante della ricetta. Pulirla come si deve e sbollentarla in non abbondante acqua salata.

Per alcuni la preparazione delle verdure è terminata, in quanto le condiscono semplicemente con olio crudo e le accompagnano alle fave. Preparare l’aglio ed il peperoncino per il soffritto secondo i personali gusti . L’ideale è tritarli grossolanamente, ma possono andare bene tutte le varianti: dal tritato fine, al lasciati sani per toglierli facilmente ad un certo punto della cottura, non sarà la stessa cosa ma sono varianti accettabili, che conferiscono sfumature diverse al piatto finale. Mettere quindi a soffriggere in Olio Extravergine d’Oliva, qui non si può transigere, occorre Olio tipicamente Pugliese per la sua forte sapidità, la soffrittura dovrà essere dolce e lenta per estrarre tutti i sapori e trasmetterli alle verdure e fino al punto di una coloritura fortemente dorata.

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Attenzione durante questa preparazione non dimenticate mai di andare spesso a rimestare vigorosamente le fave, badando sempre al fondo della pentola. Aggiungere la verdura bollita e scolata ma non troppo, al soffritto, aggiustare di sale, rimestare e cuocere a pentola coperta.A questo punto le fave dovrebbero essere quasi del tutto spappolate, per aiutarle cominceremo a sbatterle con il cucchiaio di legno, con questo, facendolo scivolare tra le due mani giunte a mo’ di preghiera, eserciteremo una sorta di frullatura. Quando saranno del tutto spariti i pezzettini, continuando a rimestare e frullare a mano, si aggiunge l’olio EVO a filo, sempre lo stesso di cui sopra, quanto? q.b. non possiamo mica dirvi tutto, l’esperienza e il gusto strettamente personale ve lo diranno. Con questa operazione finale si monteranno un po’. Tenete presente che nella tradizione questa era considerata una finezza da ricchi, che si potevano permettere l’Olio d’Oliva e tanto. Mi raccomando non chiamate ciò: purè, per quello che ne sappiamo non ha un nome, è soltanto una parte in itinere del tutto. A questo punto si può impiattare, e se gradita, si può accompagnare con Cipolla Rossa di Acquaviva o altra cipolla dolce, condita con Olio Extravergine di Oliva,io ho usato l’olio della speciale produzione dedicata al capostipite della casa Castria,SPECIAL ONE LEONARDO (foto) sale, pepe e un po’ di aceto rosso.

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Ricetta in collaborazione con:
http://www.vinicastria.com/

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